ISSN 2039-1676


13 dicembre 2010 |

Cass. pen., sez. VI, 3 giugno 2010 (dep. 18 novembre 2010), n. 40830, Pres. Rel. Mannino (malversazione a danno dello Stato)

Malversazione a danno dello Stato: un'interessante pronuncia della Cassazione sulla nozione di "ente pubblico" e sul dies a quo della prescrizione

La sentenza annotata, in tema di malversazione a danno dello Stato (art. 316-bis c.p.), si segnala per l’affermazione di due diversi principi di diritto:
 
1)      la nozione di “altro ente pubblico” – che assieme allo “Stato” e alle “Comunità europee” è indicato dall’art. 316-bis c.p. tra gli enti erogatori di contributi, sovvenzioni o finanziamenti oggetto di malversazione – va ricostruita facendo riferimento al Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163);
 
2)      il delitto in parola ha natura istantanea, e si consuma nel momento in cui i fondi oggetto di contributi, sovvenzioni o finanziamenti sono distratti dalla loro destinazione; ne consegue che il dies a quo della prescrizione del reato decorre da tale momento, e non già – come se il reato avesse natura permanente – dal momento, successivo, in cui sia eventualmente venuta meno la loro illegittima destinazione.
 
 
Il caso affrontato dalla S.C., in particolare, è il seguente: A.G., amministratore unico della Emiliana Tessile s.p.a., veniva condannato in primo grado per il delitto di malversazione a danno dello Stato (art. 316-bis c.p.), per aver destinato a finalità diverse da quelle concordate un finanziamento ottenuto da Italia Investimenti s.r.l., società a capitale interamente pubblico. I fondi dovevano servire al rilancio industriale ed occupazionale di una azienda situata a Cetraro, nel meridione, gestita dalla stessa Emiliana Tessile. A.G., tuttavia, dopo aver acquistato con i predetti fondi nuovi macchinari a nome della Emiliana Tessile, li cedeva in affitto ad un'altra società della quale era titolare, la Marex s.p.a., e li collocava presso un polo produttivo del nord Italia, a Correggio.
 
Contro la condanna, confermata in appello, A.G. proponeva ricorso per Cassazione, formulando tra l’altro due doglianze.
 
 
1. La prima concerne la qualificazione di Italia Investimenti s.r.l. alla stregua di “ente pubblico”, presupposto oggettivo della condotta incriminata dall'art. 316-bis c.p.
 
Il ricorrente, osservato come l'unico criterio valido per individuare gli “enti pubblici” sia quello cd. formale, basato sull'appartenenza della persona giuridica all'apparato organizzativo della P.A., ritiene che ciò valga ad escludere i soggetti aventi la forma di società per azioni, quand'anche a partecipazione interamente pubblica.
 
La Corte, pur confermando la validità del solo criterio cd. formale, rigetta l'argomento, soffermando l'attenzione sul concetto di “apparato organizzativo della P.A.”, ed evidenziando come Italia Investimenti possa in realtà considerarsi parte di quell’apparato.
 
Ai fini dell'art. 316-bisosservano i giudici di legittimità – la definizione di “altro ente pubblico” va ricercata negli artt. 25 e 26 del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 163/2006), a loro volta contenenti la nozione di “amministrazioni aggiudicatrici”. Tale operazione ermeneutica trova giustificazione nella seguente considerazione: «Il codice, che disciplina i contratti delle stazioni appaltanti, degli enti aggiudicatori e dei soggetti aggiudicatori, aventi per oggetto l’acquisizione di servizi, prodotti, lavori e opere (art. 1), per il suo oggetto si presta a integrare la fattispecie dell’art. 316 bis c.p., che ha ad oggetto contributi sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico interesse» (grassetto aggiunto).
 
Ciò posto, la Cassazione sofferma l'attenzione su una delle figure di “amministrazioni aggiudicatrici” contemplate dal Codice dei contratti, quella di “organismo di diritto pubblico” (art. 26). Affinché un ente possa definirsi tale – osserva la Corte richiamando una recente pronuncia delle Sezioni Unite civili (sent. 7 aprile 2010 n. 8225), a sua volta costruita attorno alle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza comunitaria – devono ricorrere, cumulativamente, i seguenti requisiti: «a) l’ente dev’essere dotato di personalità giuridica; b) la sua attività dev’essere finanziata in modo maggioritario ovvero soggetta al controllo o alla vigilanza da parte dello Stato o di altro ente pubblico territoriale o di organismo di diritto pubblico; c) l’ente (anche in forma societaria) dev’essere istituito per soddisfare esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale. In particolare, quest’ultimo requisito non sussiste quando l’attività sia svolta nel mercato concorrenziale e sia ispirata a criteri di economicità, essendo i relativi rischi economici direttamente a carico dell’ente».
 
Ad avviso dei giudici di legittimità, Italia Investimenti soddisfa tutti e tre i requisiti, con la conseguenza che deve essere considerata “organismo di diritto pubblico” ai sensi del codice dei contratti e dunque, al contempo, “ente pubblico” per gli effetti dell'art. 316-bis c.p.
 
In particolare, quanto al requisito sub b), la Corte evidenzia che l'attività di Italia Investimenti «è finanziata interamente con capitale pubblico ed è soggetta al controllo o alla vigilanza da parte dello Stato, tramite il Ministero dello sviluppo economico»; quanto a sub c), la Cassazione osserva che essa è « Agenzia nazionale...che agisce su mandato del Governo per accrescere la competitività del Paese, in particolare del Mezzogiorno, e per sostenere i settori strategici per lo sviluppo, avendo come obiettivi prioritari di favorire l’attrazione di investimenti esteri, sostenere l’innovazione e la crescita del sistema produttivo, valorizzare le potenzialità dei territorio».
 
 
2. Fondata, ad avviso della Corte, è invece la doglianza relativa all'erronea individuazione del dies a quo della prescrizione.
 
I giudici di merito avevano fatto decorrere i termini prescrizionali dal momento in cui, subito dopo i controlli eseguiti dalla Guardia di Finanza presso l'azienda di Correggio, i macchinari erano stati restituiti al polo produttivo di Cetraro, vero beneficiario del finanziamento pubblico. Tanto sul presupposto che la malversazione costituisse un reato permanente, caratterizzato dal protrarsi della fase consumativa fino al momento della effettiva destinazione dei fondi agli scopi per i quali erano stati concessi.
 
Osserva invece la Cassazione che l’art. 316-bis c.p. sanziona il mero inadempimento dell'obbligazione di impiegare i fondi per le attività di pubblico interesse concordate, mentre non attribuisce rilevanza alcuna al perdurare della situazione antigiuridica, né alla tardiva destinazione dei fondi al loro scopo. Tale fattispecie descrive senza dubbio un reato di natura istantanea, che si consuma nel momento stesso in cui l'inadempimento si verifica, vale a dire quando i fondi vengono distratti, e che non attribuisce rilevanza alcuna alle condotte successive (in senso conforme, sez. VI, 8 novembre 2002, n. 40375; sez. VI, 28 settembre 1992, n. 3362).
 
Applicati al caso di specie, tali principi conducono ad arretrare il dies a quo della prescrizione ad una fase precedente a quella della restituzione dei macchinari, ossia al momento della stipulazione del contratto di affitto, atto distrattivo in forza del quale gli stessi erano stati collocati a Correggio invece che a Cetraro. Il nuovo calcolo del termine prescrizionale, effettuato in base a tale dies a quo, porta la Cassazione, nel caso di specie, ad affermare la prescrizione del reato.