ISSN 2039-1676


26 febbraio 2014 |

La Commissione europea denuncia il ritardo degli Stati membri nell'attuazione della disciplina comune in tema di detenzione

Il Rapporto della Commissione europea sull'attuazione delle decisioni quadro 2008/909/GAI, 2008/947/GAI e 2009/829/GAI

Per consultare il comunicato stampa relativo al Rapporto della Commissione, con allegata tabella relativa allo stato di avanzamento del processo di attuazione delle norme europee in tema di detenzione, clicca qui.

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1. Il 5 febbraio 2014 è stato reso pubblico il Rapporto della Commissione europea relativo all'attuazione di tre decisioni quadro in tema di detenzione. I provvedimenti, adottati all'unanimità dagli Stati membri tra il 2008 e il 2009, riguardano rispettivamente il mutuo riconoscimento delle sentenze che irrogano pene detentive e altre misure limitative della libertà personale (decisione quadro 2008/909/GAI), la sospensione condizionale e le pene sostitutive (decisione quadro 2008/947/GAI) e il mutuo riconoscimento delle alternative alla detenzione cautelare (decisione quadro 2009/829/GAI). Le tre decisioni quadro mirano a ridurre il ricorso alle misure limitative della libertà personale, con il proposito dichiarato di consolidare la fiducia reciproca tra i sistemi giudiziari europei e garantire il funzionamento del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie. Come la stessa Commissione ha avuto modo di sottolineare in passato, infatti, il sovraffollamento carcerario e il deterioramento delle condizioni della detenzione possono minare la fiducia reciproca tra gli Stati membri e far così venire meno il presupposto essenziale per la cooperazione giudiziaria nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (cfr. Libro verde sull'applicazione della normativa UE nel settore della detenzione, su cui Grippo, Il libro verde dell'UE sulla detenzione in Europa: un banco di prova anche per l'Italia in questa Rivista). Il report di cui si dà notizia rappresenta dunque un prezioso contributo per monitorare lo sviluppo del diritto penitenziario dell'Unione e della relativa disciplina nazionale di recepimento.

 

2. Nella prima parte, l'analisi elaborata dall'esecutivo di Bruxelles si concentra sullo stato di avanzamento del processo di attuazione delle citate decisioni quadro, evidenziando il ritardo accumulato da numerosi Paesi membri nell'adozione delle misure necessarie ad adeguare l'ordinamento interno alla disciplina eurounitaria. Nella seconda parte, il rapporto reca invece alcune significative considerazioni circa la qualità della disciplina di trasposizione adottata da quegli Stati membri in cui il "pacchetto" di misure in tema di detenzione è già stato oggetto di totale o parziale recepimento. In considerazione di alcune lacune e incongruenze riscontrate nella legislazione nazionale di questi Stati, infatti, la relazione si incarica di fornire un'"interpretazione autentica" delle più significative disposizioni contenute nelle tre decisioni quadro. Per quanto attiene all'ordinamento italiano, in particolare, meritano attenzione le osservazioni relative alla decisione quadro 2008/909/GAI in tema di trasferimento delle persone condannate a pene detentive e ad altre misure limitative della libertà personale. Dei tre provvedimenti richiamati, infatti, solo quest'ultimo ha trovato attuazione nel nostro ordinamento, con l'emanazione del decreto legislativo 7 dicembre 2010 n. 161.

 

3. Per quanto riguarda il processo di attuazione delle decisioni quadro, il rapporto delinea un quadro complessivamente negativo. Come evidenziato dallo stesso comunicato stampa diffuso dalla Commissione, infatti, la disciplina europea in esame ha trovato attuazione in appena la metà degli Stati membri. Più in particolare, va osservato come i termini di recepimento delle tre decisioni quadro scadessero rispettivamente il 5 dicembre 2011, il 6 dicembre 2011 e il 1 dicembre 2012[1]. Sennonché, ad oggi, la decisione quadro relativa al trasferimento dei detenuti è stata recepita soltanto in 18 Stati membri, quella in tema di sospensione condizionale e sanzioni alternative in 14, mentre quella relativa alla detenzione cautelare in appena 12 (per una più dettagliata illustrazione del processo di attuazione in corso nei singoli Stati, si rinvia comunque alla tabella allegata al comunicato stampa).

 

4. Particolarmente serie sono le conseguenze che scaturiscono dal mancato recepimento delle norme comuni in tema di detenzione. Per espressa previsione dei Trattati, infatti, le decisioni quadro sono prive di effetto diretto e non possono perciò essere invocate nell'ambito di un procedimento penale in assenza di una normativa interna di recepimento. Il ritardato adempimento degli obblighi europei in materia ha dunque l'effetto di congelare i risultati raggiunti in tema di cooperazione giudiziaria, paralizzando di fatto il funzionamento degli strumenti di mutuo riconoscimento relativi alla detenzione. Il riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie può infatti operare soltanto tra Stati che abbiano correttamente recepito la normativa sovranazionale, mentre non può applicarsi alle procedure di consegna o trasferimento che coinvolgono Paesi rimasti inadempienti agli obblighi di trasposizione. Come la stessa Commissione ha cura di evidenziare, tuttavia, le decisioni quadro non attuate risultano pur sempre munite di un effetto indiretto. Si allude all'obbligo per le autorità dello Stato membro di interpretare il diritto nazionale in conformità agli atti adottati nell'ambito del c.d. "terzo pilastro" (cioè il Titolo VI del Trattato sull'Unione europea nella versione precedente al Trattato di Lisbona), come stabilito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia a partire dalla nota sentenza Pupino (CGCE, sent. 16 giugno 2005, C-105/03).

 

5. Come anticipato, il rapporto della Commissione contiene una prima valutazione delle norme di recepimento adottate dagli Stati membri. A ben vedere l'esecutivo UE si limita a esaminarne l'astratta compatibilità con il diritto europeo, senza poter tenere conto di eventuali problemi derivanti dalla prassi applicativa. Dai pochissimi dati a disposizione della Commissione[2] risulta infatti come, tra le decisioni quadro in questione, solo quella in tema di trasferimento dei condannati sia stata sin qui oggetto di applicazione giurisprudenziale, mentre non constano ipotesi applicative per gli altri due strumenti esaminati. La relazione evidenzia peraltro l'esistenza di lacune nella normativa di trasposizione che rischiano di pregiudicare il conseguimento dei risultati avuti di mira dalla disciplina europea. Un primo profilo riguarda il requisito del consenso a sottostare alla procedura di consegna o trasferimento, previsto a vario titolo dalle decisioni quadro in esame. Per quanto riguarda segnatamente la decisione quadro in materia di trasferimento dei detenuti (il cui articolo 6 introduce delle deroghe al consenso della persona condannata), la Commissione denuncia la mancata previsione della facoltà del condannato di esprimere il proprio parere in merito al procedimento di esecuzione, come invece espressamente richiesto dallo stesso articolo 6 della decisione quadro 2008/909/GAI. Questa disposizione, applicabile ai soli casi in cui il condannato si trovi ancora nello Stato di emissione, ha la funzione di assicurare il coinvolgimento della persona interessata anche al di fuori delle ipotesi in cui è obbligatorio acquisirne il consenso.

 

6. Ulteriori aspetti problematici riguardano l'obbligo di riconoscere la sentenza di condanna pronunciata dallo Stato di emissione e il conseguente divieto di adeguare al diritto nazionale la sanzione detentiva con essa irrogata[3], nonché l'obbligo di informare le autorità dello Stato di emissione delle disposizioni applicabili in materia di liberazione anticipata o condizionale[4]. Di grande interesse è poi l'analisi relativa ai motivi di rifiuto. Come noto infatti in base al principio del mutuo riconoscimento, il giudice dello Stato di esecuzione è tenuto a dare seguito alle decisioni adottate dalle autorità dello Stato emittente, con la sola eccezione delle ipotesi di rifiuto tassativamente previste dal diritto dell'Unione. In tema di trasferimento dei detenuti, la Commissione ha ritenuto di censurare la scelta (fatta propria anche dal legislatore italiano) di indicare come obbligatori motivi di rifiuto che la decisione quadro configura invece come puramente facoltativi. Il carattere discrezionale dei motivi di rifiuto oltre a risultare chiaramente dal testo della decisione quadro, si giustifica in base agli obiettivi di risocializzazione che questa persegue. Nel disporre la consegna, infatti, il giudice dello Stato di emissione è sempre tenuto a valutare che l'esecuzione della pena all'estero consenta il reinserimento sociale del condannato. Un adempimento, questo, che la previsione di motivi obbligatori di rifiuto sembra invece eludere, non permettendo di fare prevalere le esigenze di risocializzazione sugli interessi che in base al diritto interno ostano al riconoscimento della condanna.

 

7. La Commissione si sofferma inoltre sulle previsioni relative alla durata massima del procedimento nello Stato di esecuzione. Ai sensi dell'articolo 12 della decisione quadro 2008/909/GAI, infatti, la "decisione definitiva" sul riconoscimento della sentenza deve intervenire entro un termine massimo di novanta giorni dal ricevimento della sentenza e del certificato di cui all'articolo 4 della stessa decisione quadro. Salvo che ricorrano circostanze eccezionali, il legislatore nazionale ha dunque l'obbligo di assicurare che i rimedi esperibili avverso la sentenza di riconoscimento non determinino il superamento del limite massimo stabilito dal diritto UE per la conclusione della procedura di mutuo riconoscimento. Come di recente affermato dalla Corte di giustizia, del resto, gli Stati membri, nel garantire il diritto costituzionale all'equo processo, non possono perdere di vista quell'obiettivo di accelerazione delle procedure di consegna che le decisioni quadro mirano a soddisfare (cfr. CGUE, sent. 30 maggio 2013, C-168/13 PPU, Jeremy F. c/ Premier ministre, su cui L. D'Ambrosio, Mandato d'arresto europeo: il diritto dell'UE non osta alla previsione di un ricorso con effetto sospensivo avverso la decisione di estensione del mandato a reati anteriori alla consegna in questa Rivista). Al riguardo, la Commissione evidenzia come taluni Stati membri non abbiano previsto termini massimi di durata per il giudizio di impugnazione della sentenza di riconoscimento, venendo meno così all'obbligo di assicurare la speditezza della procedura di trasferimento. Sul punto, comunque, le norme di recepimento varate dal legislatore italiano non sembrano presentare profili di incompatibilità con la disciplina eurounitaria, ricalcando di fatto le previsioni contenute nella legge di attuazione del mandato d'arresto europeo[5].

 

8. Da ultimo, la Commissione evidenzia le conseguenze derivanti dalla mancata attuazione della disciplina comune in tema di detenzione. Al riguardo, si sottolineano le ricadute che una carente implementazione delle misure UE rischia di produrre sul corretto funzionamento degli strumenti di mutuo riconoscimento. In particolare, la Commissione insiste sulla stretta correlazione tra la disciplina comune in tema di detenzione e la decisione quadro relativa al mandato d'arresto europeo. Gli strumenti esaminati nel rapporto contengono infatti delle disposizioni che integrano la procedura di consegna disciplinata da tale decisione quadro, con particolare riferimento ai motivi di rifiuto[6] e alle condizioni per procedere alla consegna di una persona destinataria di un'ordinanza cautelare europea[7]. La Commissione paventa inoltre il rischio che gli obiettivi avuti di mira dalla normativa oggetto d'esame finiscano per rimanere lettera morta. La piena implementazione degli strumenti di mutuo riconoscimento, nella materia considerata, ha infatti la funzione di disincentivare il ricorso a misure privative della libertà personale nei confronti di cittadini UE non residenti nello Stato in cui è pronunciata la condanna[8]. D'altro canto, l'esecuzione della pena detentiva nello Stato di provenienza del condannato mira a soddisfare il reinserimento sociale di quest'ultimo, avuto riguardo ai vincoli familiari, linguistici e culturali che di norma legano il soggetto al proprio Paese d'origine. Pertanto, a giudizio della Commissione, il mancato recepimento degli strumenti in questione rischia di porre nel nulla gli sforzi compiuti dall'Unione in vista di un complessivo miglioramento delle condizioni della detenzione.

 

9. Sulla base delle considerazioni svolte, la Commissione rivolge dunque un severo monito agli Stati membri, rammentando la possibilità di adire la Corte giustizia per fare dichiarare la persistente violazione dell'obbligo di trasporre le decisioni quadro. Come noto, infatti, a partire dal 1 dicembre 2014, il controllo giurisdizionale della Corte di giustizia si applicherà nella sua interezza anche agli atti varati nell'ambito del c.d. "terzo pilastro" dell'Unione europea, fino a tale data sottratti alla procedura di infrazione e al giudizio della Corte ex articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Con la fine del periodo transitorio previsto dall'articolo 10 del protocollo n. 36 al Trattato di Lisbona, infatti, le decisioni quadro, anche ove non siano state precedentemente convertite in regolamenti e direttive, risulteranno sottoposte al regime di tutela giurisdizionale previsto per questi atti, con conseguente competenza della Corte di giustizia a conoscere dei ricorsi per inadempimento promossi dalla Commissione e dagli Stati membri.

 

 


[1] I dati relativi allo stato di avanzamento del processo di attuazione si basano sulle comunicazioni trasmesse dagli Stati membri alla Commissione sino a dicembre 2013.

[2] Il rapporto precisa infatti come, al momento della pubblicazione, solo tre Stati membri (Belgio, Finlandia e Paesi Bassi) avessero fatto pervenire alla Commissione i dati relativi all'applicazione giurisprudenziale delle decisioni quadro.

[3] Quale unica eccezione a tale regola, la decisione quadro prevede l'ipotesi in cui natura e durata della pena irrogata risultino incompatibili con il diritto interno. La Commissione evidenzia tuttavia come alcuni Stati membri abbiano previsto ulteriori motivi di adeguamento della sentenza di condanna, riservandosi di fatto la possibilità di valutare "nel merito" la condanna pronunciata nello Stato richiedente, in contrasto con "gli obbiettivi e lo spirito" della decisione quadro. Peraltro, analoghi divieti sono previsti, mutatis mutandis, dall'articolo 9 della decisione quadro 2008/947/GAI e dall'articolo 13 della decisione quadro 2009/829/GAI.

[4] La Commissione, lamentando l'inadempimento di alcuni Stati sul punto, sottolinea la necessità di dare piena attuazione a tale obbligo di informazione, ritenuto essenziale per garantire la fiducia reciproca tra gli Stati membri quanto all'effettività dell'esecuzione della pena. Questa ipotesi risulta peraltro espressamente disciplinata dalla legge italiana di trasposizione (art. 16 del decreto legislativo 7 dicembre 2010, n. 161), in base alla quale il Ministero della giustizia informa lo Stato di emissione che ne abbia fatto richiesta delle disposizioni applicabili alla persona condannata in materia di liberazione anticipata, liberazione condizionale e indulto.

[5] In perfetta, simmetria con quanto previsto dalla legge sul mandato d'arresto europeo, infatti, è stabilito che la Corte d'appello provveda entro sessanta giorni dalla data in cui ha ricevuto la sentenza di condanna. Avverso le sentenze pronunciate dalla Corte d'appello può essere proposto ricorso per cassazione e il giudizio sull'impugnazione, da svolgersi nelle forme di cui all'articolo 127 c.p.p., deve concludersi entro quindici giorni dalla ricezione degli atti.

[6] Cfr. articolo 25 della decisione quadro 2008/909/GAI.

[7] Cfr. articolo 21 della decisione quadro 2009/829/GAI.

[8] Nelle intenzioni del legislatore dell'Unione, infatti, la possibilità di ottenere il riconoscimento di una misura non detentiva nel Paese d'origine del condannato dovrebbe condurre il giudice nazionale ad adottare provvedimenti meno restrittivi tanto nella fase cautelare quanto in quella esecutiva. L'assunto da cui muove la normativa UE è che la scelta del giudice in favore della detenzione nei confronti di cittadini non residenti si giustifichi sovente in base alle necessità di evitare che il prevenuto possa sottrarsi al processo o all'esecuzione della condanna. Cfr. Libro verde sull'applicazione della normativa UE nel settore della detenzione, § 3.3. e § 3.4.