ISSN 2039-1676


23 marzo 2014 |

La Corte costituzionale sulle misure cautelari per i tossicodipendenti interessati a programmi di recupero

Corte cost., 13 marzo 2014, n. 45, Pres. Silvestri, Rel. Frigo

 

1. Con la sentenza qui pubblicata, la Corte costituzionale chiarisce i termini effettivi della disciplina che regola il trattamento cautelare per i tossicodipendenti accusati d'aver commesso reati particolarmente gravi.

L'occasione è data da una questione di legittimità concernente il comma 4 dell'art. 89 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. La norma pone un limite al regime di favore disegnato dai primi due commi dello stesso articolo per i tossicodipendenti nei confronti dei quali sussisterebbero i presupposti per la custodia in carcere, e che tuttavia - se sono impegnati, o intendono impegnarsi, in un programma di recupero con determinate caratteristiche - vanno sottoposti agli arresti domiciliari (salvo il caso di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza): il regime in questione non si applica nei confronti di persone accusate di reati molto gravi (quasi tutti quelli compresi nel catalogo di cui all'art. 4-bis della legge di Ordinamento penitenziario).

Va subito chiarito come non si tratti di una norma preclusiva della misura alternativa al carcere: semplicemente, la disposizione limita la portata di un regime derogatorio, ed ha dunque la funzione di ripristinare, quanto ai reati particolarmente gravi, il regime ordinario di individuazione della misura cautelare da applicarsi.

Anche il giudice che ha sollevato la questione si è guardato dal cadere nell'equivoco, ed anzi si è posto, nella prospettiva della rilevanza, il problema di una possibile applicazione della misura alternativa per effetto delle regole generali dettate all'art. 275 cod. proc. pen. Tuttavia ha ritenuto che nel caso di specie l'operazione fosse preclusa dall'effetto solo parzialmente devolutivo dell'appello cautelare, e dunque ha ragionato, di fatto, come se la legge vietasse l'adozione della misura: una preclusione nascente, in realtà, dai limiti cognitivi del giudice di appello, che però si sarebbe voluto superare «allargando» le maglie della disciplina, derogatoria ed obbligatoria, specificamente dettata per i tossicodipendenti in fase di recupero.

Così è nata l'esigenza di verificare se l'articolazione interna all'art. 89 del T.u. in materia di stupefacenti abbia basi razionali, e sia compatibile con le relative esigenze di cura e recupero. In particolare, secondo il giudice rimettente, la norma in questione contrasterebbe con l'art. 3 Cost., per la discriminazione operata tra tossicodipendenti in base al titolo del reato contestato, e per l'indebita parificazione, in chiave preclusiva, del trattamento di fattispecie anche molto diversificate tra loro (in altre parole: eccessiva ampiezza del catalogo di cui all'art. 4-bis ord. pen.). La custodia «obbligatoria» contrasterebbe con l'ampio spazio per misure alternative previsto nella fase dell'esecuzione (artt. 3 e 27 Cost.), e con il principio di «minore sacrificio necessario» per il diritto alla libertà personale (art. 13 Cost.); discriminerebbe la condizione di tossicodipendenza patologica rispetto ad altre patologie per le quali la legge prevede misure non carcerarie (art. 275, comma 4-bis, cod. proc. pen.); comporterebbe una indebita anticipazione della funzione punitiva della detenzione (art. 27 Cost.) e comprimerebbe intollerabilmente la tutela del diritto alla salute (art. 32 Cost.).

 

2. La disciplina posta dai primi due commi dell'art. 89 - già si è accennato - presenta carattere derogatorio rispetto alle regole generali di individuazione della misura cautelare appropriata ai singoli casi.

Come emerge dalla logica del sistema, ma prima ancora dal tenore letterale delle disposizioni, la legge impone qui l'applicazione degli arresti domiciliari nei confronti di persone che, altrimenti,  dovrebbero essere ristrette in carcere («qualora ricorrano i presupposti per la custodia cautelare in carcere»). La funzione essenziale della norma censurata è dunque quella di escludere gli indagati per reati gravi dallo speciale regime di favore, con la conseguenza che, nei confronti di costoro, resta applicabile la disciplina generale dettata all'art. 275 del codice di rito. La quale per altro, ed ormai, vieta solo parzialmente l'applicazione degli arresti domiciliari  nei confronti degli accusati per gravi reati, ed in particolare non comprende nel divieto il reato contestato nel giudizio a quo (associazione finalizzata al narcotraffico).

È vero dunque che il comma 4 dell'art. 89 discrimina fra tossicodipendenti, ma non nei termini che potrebbero essere suggeriti da una prima e parziale lettura del sistema.

In tutte le situazioni regolate dalla norma ricorrono le medesime condizioni: sussistono i presupposti per l'applicazione della custodia in carcere, e al tempo stesso si manifestano concrete e specifiche prospettive di recupero dell'interessato. Il legislatore introduce due diversi criteri di bilanciamento tra le aspettative sociali ed individuali di superamento della tossicodipendenza e le esigenze di prevenzione speciale: l'uno, concreto ed affidato alla valutazione discrezionale del giudice, lascia prevalere le seconde quando i rischi indicati all'art. 274 cod. proc. pen. siano elevatissimi; l'altro, astratto e presuntivo, valorizza la qualità del reato in contestazione per individuare indici di pericolosità particolarmente elevata.

È in questi termini che la diversificazione di trattamento doveva essere valutata, ed in questi termini è stata in effetti vagliata dalla Consulta, con esiti di infondatezza delle questioni sollevate.

 

3. Si accennava poco sopra alla «riespansione» della disciplina generale per i tossicodipendenti accusati di reati riconducibili all'art. 4-bis dell'Ordinamento penitenziario.   

Il fenomeno comporta in sostanza che l'accesso agli arresti domiciliari non sarà «obbligatorio», ma potrà essere disposto caso per caso dal giudice che procede, qualora ne sussistano le condizioni. Il segnale di pericolosità che in astratto promana dal fatto, cioè,  può essere bilanciato in concreto da fattori meritevoli di apprezzamento, tra i quali naturalmente può primeggiare la disponibilità a proseguire od iniziare un programma di recupero con determinate caratteristiche di serietà ed affidabilità.

Certo, dopo le modifiche progressivamente recate dal legislatore al comma 3 dello stesso art. 275, gli arresti domiciliari potrebbero essere preclusi, nonostante la disponibilità al recupero, dalla norma generale sull'adeguatezza esclusiva della custodia in carcere.

Viene meno però, in questa prospettiva, almeno il sospetto di un trattamento deteriore rispetto a persone, non tossicodipendenti, che esprimano livelli comparabili di pericolosità. Soprattutto, la progressiva demolizione del meccanismo preclusivo che la Corte costituzionale ha avviato nel 2010 conduce ad una corrispondente restrizione dell'ambito di «irrilevanza» necessaria della tossicodipendenza e della documentata tensione verso un suo superamento.

È risultato decisivo, nel caso di specie, il fatto che la Consulta abbia eliminato in particolare, dal novero delle contestazioni che comportano la necessaria applicazione della custodia in carcere, un reato frequentemente contestato proprio ai tossicodipendenti, e cioè quello di cui all'art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 (in tal senso, com'è noto, la sentenza n. 231 del 2011).   

Insomma, un tossicodipendente accusato del reato in questione (compreso nell'elenco dell'art. 4-bis ord. pen.) non ha «diritto» agli arresti domiciliari, ma può comunque ottenerli, anche valorizzando la prospettiva del recupero. In sostanza il titolo del reato determina il passaggio da un raro caso di «automatismo in favor» - come giustamente la Corte ha definito le prescrizioni dei primi due commi dell'art. 89 - ad una logica di apprezzamento del caso concreto: la discriminazione esiste, ma si limita a riflettere l'indebolimento del regola di esperienza che almeno in parte giustifica il citato automatismo, e che deriva dalla gravità del reato in contestazione.

La Corte chiarisce il suo pensiero nella parte finale della sentenza in commento: come al legislatore sono preclusi automatismi che impongano la custodia cautelare in carcere in base al solo titolo del reato, a meno che non presuppongano una tendenziale indefettibilità di coincidenza tra fisionomia dei casi concreti e valutazione astratta di pericolosità (sentenza n. 265 del 2010 e successive),  così allo stesso legislatore è consentito di limitare automatismi che vietino la custodia in carcere, quando la valutazione astratta che li giustifica dovrebbe estendersi a sottoclassi che non garantiscano, nei casi concreti, la corrispondenza alla logica di bilanciamento che induce la previsione.

 

4. La ragionevolezza della discriminazione, nel pensiero della Corte, non vale solo ad escludere la violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Poiché il tossicodipendente accusato del reato di associazione per il narcotraffico non è indefettibilmente escluso dalla possibilità di seguire un programma di recupero in stato di arresti domiciliari, non sussistono le denunciate violazioni del principio di inviolabilità della libertà personale (art. 13, primo comma, Cost.) e della presunzione di non colpevolezza (art. 27, secondo comma, Cost.).

Vengono poi riprese, relativamente ad altri parametri, considerazioni che la Corte aveva già per la gran parte sviluppato con una decisione di manifesta infondatezza assunta per questioni analoghe (ordinanza n. 339 del 1995), e che ancora si connettono alla ritenuta corrispondenza tra diversificazione del trattamento ed obiettiva eterogeneità delle situazioni comparate.

A proposito del diverso livello di tutela che del diritto alla salute sarebbe garantito ai tossicodipendenti (art. 32 Cost.), riguardo ad altre categorie di persone per le quali la custodia in carcere deve essere evitata a prescindere dalla gravità del reato commesso (commi 4 e 4-bis dell'art. 275 cod. proc. pen.): non tutti i divieti di carcerazione - osserva la Corte - si connettono ad esigenze concernenti la salute degli interessati, e, comunque, la comparazione è istituita tra situazioni palesemente eterogenee quanto ai rischi sociali di una rinuncia alla custodia in carcere. Soprattutto, quando la carcerazione attenterebbe al nucleo incomprimibile del diritto alla salute, rispetto al quale non è ammissibile la configurazione di esigenze soverchianti, la condizione del tossicodipendente è allineata a quella di ogni altra persona, attraverso il potere-dovere del giudice di applicare l'art. 4-bis, ultima parte, dell'art. 275 cod. proc. pen.

A proposito infine della logica «invertita» che segnerebbe la carcerazione cautelare rispetto alle forme di esecuzione della pena definitivamente inflitta nei confronti dei tossicodipendenti (artt. 3 e 27 Cost.), che comprendono la sospensione dell'esecuzione l'affidamento in prova al servizio sociale (artt. 90 e 94 del d.P.R. n. 309 del 1990): a prescindere dai limiti che segnano anche l'applicazione di tali istituti, la Corte ribadisce l'incomparabilità delle situazioni poste a confronto, «essendo manifestamente diversa la condizione personale implicata (di imputato in un caso, di condannato nell'altro) e la funzione (cautelare, ovvero emendativa e retributiva, rispettivamente) dei corrispondenti istituti evocati».