ISSN 2039-1676


03 aprile 2014 |

Il Tribunale di Milano sul caso Dolce e Gabbana: "esterovestizione" di una società  e delitto di "omessa dichiarazione" (art. 5 D.lgs. 74/2000)

Tribunale di Milano, Sez. II, sent. 19 giugno 2013, Giud. Brambilla

1. La sentenza qui brevemente annotata ha definito il primo grado di giudizio del procedimento penale tributario che coinvolge i noti stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana, imputati - come ormai noto, anche per l'ampia evidenza mediatica della vicenda - per i delitti di "dichiarazione infedele" e di "omessa dichiarazione" ai sensi rispettivamente degli artt. 4 e 5 D.lgs. 74/2000.

Per comprendere la decisione in esame è indispensabile un riepilogo, sia pure per larghi tratti, delle "puntate" precedenti di questa tortuosa vicenda, peraltro non ancora conclusa (è attesa infatti a giorni la decisione della Corte d'Appello di Milano).

Come già rappresentato in questa Rivista, Domenico Dolce e Stefano Gabbana (in concorso con altre persone) venivano inizialmente chiamati a rispondere dalla Procura della Repubblica di Milano per i delitti di "truffa aggravata ai danni dello Stato" (art. 640 co. 2 c.p.) e di "dichiarazione infedele" (art. 4 D.lgs. 74/2000), per aver compiuto nel 2004 una operazione commerciale considerata dagli Inquirenti meramente simulata e finalizzata al solo ottenimento di indebiti vantaggi fiscali: e cioè la costituzione in Lussemburgo di una società denominata GADO S.a.r.l., alla quale era stata ceduta per un importo (ritenuto sottostimato) pari a 360.000.000 Euro la proprietà dei marchi della griffe precedentemente posseduti da Domenico Dolce e Stefano Gabbana.

All'esito dell'Udienza preliminare, in data 1° aprile 2011, il Gup pronunciava una sentenza di non luogo a procedere nei confronti di tutti gli imputati, sull'assunto, in estrema sintesi, che il trasferimento della proprietà dei marchi alla società estera GADO fosse stato reale ed effettivo, e che dunque non sussistessero tutti gli elementi oggettivi e soggettivi delle fattispecie in contestazione.

Avverso questa decisione favorevole agli imputati, la Procura della Repubblica di Milano proponeva ricorso per Cassazione.

Con sentenza pronunciata in data 22 novembre 2011, la Suprema Corte, per un verso, precisava che "tutti i reati tributari descritti dal d.lgs. 74/2000 sono da ritenersi in rapporto di specialità rispetto al delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, qualora la condotta incriminata abbia come mera finalità l'evasione o l'elusione della obbligazione tributaria", estromettendo così di fatto, nel caso di specie, la contestazione di "truffa aggravata ai danni dello Stato"; per altro verso, tuttavia, annullava con rinvio la sentenza di assoluzione pronunciata dal Gup, chiamando il Tribunale di Milano a valutare se la costituzione della società lussemburghese GADO integrasse un caso di "esterovestizione" di una società di fatto operante nel nostro Paese, e se i fatti in contestazione potessero rientrare, sul piano oggettivo e soggettivo, nelle diverse fattispecie (ritenute speciali rispetto alla truffa aggravata) di cui agli artt. 4 e 5 D.lgs. 74/2000.

A seguito della decisione della Cassazione, il Pubblico Ministero citava dunque gli imputati direttamente a giudizio avanti al Tribunale in composizione monocratica, contestando questa volta i delitti di cui agli artt. 4 ("dichiarazione infedele") e 5 ("omessa dichiarazione") del D.lgs. 74/2000.

 

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2. All'esito del giudizio di primo grado, il Giudice, con la sentenza in esame, ha ritenuto non sussistente il delitto di "dichiarazione infedele" (art. 4 D.lgs. 74/2000), ma ha condannato gli imputati per il delitto di "omessa dichiarazione" (art. 5 D.lgs. 74/2004), per le ragioni di seguito sintetizzate.

 

2.1. Innanzitutto, con riferimento all'art. 5 D.lgs. 74/2000, il Giudice ha ritenuto che per valutare se una società sia effettivamente operante in un altro Paese (in questo caso, in Lussemburgo), o se viceversa risulti "esterovestita", si devono prendere in considerazione tanto gli indicatori descritti nell'art. 73 co. 3 TUIR, quanto i criteri interpretativi suggeriti in ambito OCSE, che convergono entrambi - in estrema sintesi - verso la valorizzazione di elementi sostanziali ulteriori rispetto al mero dato formale della sede legale, e che consistono nella "sede dell'amministrazione", oppure nel "luogo dove  (la società) esercita l'attività principale per la realizzazione degli scopi primari" o comunque il "luogo di gestione effettiva".

Alla luce di queste coordinate teoriche, il Giudice ha concluso che le evidenze probatorie raccolte nel corso dell'istruttoria dibattimentale abbiano dimostrato che il "luogo di effettiva direzione e comunque il luogo dove veniva esercitata l'attività principale per la realizzazione degli scopi primari di GADO" fosse sostanzialmente "in Italia e precisamente dove era gestita la Dolce & Gabbana s.r.l.".

Più in particolare, come si legge in sentenza, le prove della ritenuta "esterovestizione" della GADO consisterebbero principalmente nelle circostanze che quest'ultima società:

- fosse domiciliata nella sede di un'altra società di servizi, denominata Alter Domus, i cui impiegati si limitavano ad eseguire disposizioni amministrative impartite dall'Italia;

- non disponesse di una organizzazione autonoma, ma si avvalesse dei servizi della medesima Alter Domus;

- per il primo anno d'imposta non risultava avere alcun dipendente, nonostante ricevesse regolarmente il pagamento delle royalties;

- svolgesse, per il tramite di un dipendente distaccato dall'Italia, incombenze meramente "formali e burocratiche" (risultando gli aspetti decisionali comunque gestiti a Milano);

- nel 2007, all'avvio dei primi accertamenti fiscali, fosse stata trasferita in Italia;

- non avrebbe mai gestito i diritti connessi ai marchi (e cioè la gestione e lo sviluppo degli stessi), posto che tale attività risulterebbe essere sempre rimasta in Italia;

- avrebbe esercitato solo "formalmente" l'attività di anticontraffazione dei marchi.

Proprio la ritenuta "esterovestizione" della società GADO è dunque alla base della condanna ai sensi dell'art. 5 D.lgs. 74/2000, per avere gli imputati omesso dolosamente - secondo il Tribunale - di presentare in Italia la dichiarazione dei redditi di una società considerata solo formalmente presente in Lussemburgo, ma di fatto operante in Italia, e dunque per aver dolosamente omesso il pagamento di imposte dovute al fisco italiano.

 

2.2. Con riferimento alla diversa fattispecie di cui all'art. 4 D.lgs. 74/2000 ("dichiarazione infedele"), che in ipotesi d'accusa sarebbe stata commessa sottostimando dolosamente il valore dei marchi ceduti alla società GADO, al fine di ridurre la base imponibile per il fisco italiano, il Giudice perviene viceversa ad una sentenza assolutoria, pur ritenendo le modalità dell'operazione di cessione dei marchi sostanzialmente "elusiva".

Il Giudice, richiamando i "principi di diritto fissati dalla Suprema Corte",  osserva infatti che le operazioni meramente elusive possono avere una rilevanza penale, secondo il principio di tassatività, soltanto qualora integrino una specifica violazione di norme antielusive, quali l'art. 37 bis D.P.R. 600/1973 (richiamato espressamente dalla Procura procedente).

Posto dunque che l'operazione realizzata dagli imputati è sempre stata formalmente qualificata dall'Agenzia delle Entrate (e dalla stessa Commissione Tributaria) come una "cessione", e dunque come una operazione non presente nell'elenco contenuto dall'art. 37 bis D.P.R. 600/1973, la logica conclusione per il Giudice è l'estraneità della specifica condotta al fuoco della fattispecie penale.