28 aprile 2014 |
Le Sezioni Unite sul delitto di "prostituzione minorile"
Cass., Sez. Unite, sent. 19 dicembre 2013 (dep. 14 aprile 2014), n. 16207, Pres. Santacroce, Rel. Fiale, Ric. S.
1. Come già evidenziato in questa Rivista (v. Vizzardi, Alle Sezioni Unite la questione dell'applicabilità della fattispecie di "induzione alla prostituzione minorile" in presenza del mero compimento di atti sessuali a pagamento con il minore, 22.10.2013), la Sezione Terza della Corte di Cassazione, con ordinanza dell'11 giugno 2013 (depositata il 24 luglio 2013), aveva sottoposto alla Sezioni Unite i seguenti quesiti in materia di "prostituzione minorile": "se il concetto di induzione alla prostituzione minorile sia integrato dalla sola condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità posta in essere nei confronti di persona minore di età convinta così a compiere una o più volte atti sessuali esclusivamente col soggetto agente; se il soggetto attivo del reato previsto dall'art. [600-bis] comma 1, cod. pen. possa essere colui che si limita a compiere atti sessuali col minore".
2. In relazione al quesito sopra riportato, sia consentito ricordare brevemente il procedimento che ha condotto all'ordinanza di rimessione. L'imputato, un uomo adulto, aveva compiuto in più occasioni atti sessuali con tre ragazzini minorenni stranieri, in cambio di ospitalità, piccole somme di denaro (dell'ordine di 10 o 20 euro) e "modeste regalie".
I ragazzini, al momento dei fatti, avevano un'età prossima ai diciotto anni e, alla luce di quanto accertato dall'istruttoria di merito, non risultavano essere stati oggetto né di minacce né di particolari condizionamenti, così come si erano sempre "riservati la facoltà di negare gli atti troppo invasivi" e spontaneamente recati presso l'abitazione dell'uomo.
Pur a fronte di questo scenario fattuale, la Corte d'Appello di Brescia aveva condannato l'imputato a sei anni e sette mesi di reclusione per il delitto di "induzione alla prostituzione" minorile di cui all'art. 600-bis comma 1 c.p., per averli indotti a compiere atti sessuali con lui in cambio di elargizioni di vario tipo.
3. Avverso questa pronuncia aveva presentato ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato, il quale aveva rilevato, fra l'altro, che i fatti così come ricostruiti dalla Corte d'Appello, e sopra riepilogati, sarebbero stati al più da ricondurre al delitto meno grave di cui al comma secondo dell'art. 600-bis c.p., e non già all'ipotesi di "induzione alla prostituzione" di cui al comma primo.
Il comma secondo della norma in esame stabilisce infatti che "salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di un corrispettivo in denaro o altra utilità, anche solo promessi, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 1.500 a euro 6.000".
4. La Sezione Terza, investita del ricorso, aveva registrato la presenza, nella giurisprudenza della Suprema Corte, di due orientamenti contrapposti in ordine alla nozione di "induzione alla prostituzione", maturati sul terreno di fattispecie penali diverse.
L'Estensore dell'ordinanza in esame aveva precisato infatti che, con riferimento alla "tradizionale" fattispecie di "induzione alla prostituzione" contemplata dalla legge n. 75 del 1958 (c.d. Legge Merlin), e quindi con riferimento al fenomeno della prostituzione del maggiore di età, la giurisprudenza aveva sempre escluso che il c.d. "fatto del cliente", e cioè il pagamento della prestazione sessuale, potesse bastare ad integrare una condotta di "induzione alla prostituzione" penalmente rilevante.
Accanto a questo primo orientamento, che di fatto ha determinato storicamente l'esclusione della punibilità del cliente della prostituta maggiorenne, nell'ordinanza in esame si rappresentava l'esistenza di un secondo - e ben più rigoroso - orientamento maturato viceversa in relazione alla fattispecie di "prostituzione minorile" di cui all'art. 600-bis c.p., secondo il quale il mero pagamento della prestazione sessuale del minore da parte del "cliente" rappresenterebbe di per sé una condotta di "induzione alla prostituzione" del minore medesimo, tale da attrarre la condotta in esame nell'orbita della fattispecie di cui al comma primo dell'art. 600-bis c.p. (che punisce con la reclusione da sei a dodici anni chi "recluta o induce" il minore alla prostituzione, al pari di chi "favorisce, sfrutta, gestisce, organizza o controlla" la prostituzione del minore).
Il Collegio rimettente precisava che, secondo la giurisprudenza formatasi sull'art. 600-bis c.p., questa interpretazione maggiormente rigorosa sarebbe imposta dal quadro normativo internazionale e sovranazionale in materia di sfruttamento della sessualità dei minori, che giustificherebbe - come si legge in una recente pronuncia - "una tutela penale più pregnante per i minori, rispetto agli adulti, perché i primi sono soggetti manipolabili, inadeguati ad autodeterminarsi, facilmente influenzabili ed inducibili ad atti sessuali che possono avere ricadute negative, anche non emendabili, sul loro futuro sviluppo psico-fisico"[1].
5. Le Sezioni Unite, con la pronuncia in esame, hanno dato una risposta del tutto condivisibile: e cioè hanno chiarito che il c.d. "fatto del cliente", e cioè il mero compimento di atti sessuali a pagamento con il minore, può rientrare esclusivamente nella fattispecie meno grave di cui al comma secondo del delitto di cui all'art. 600-bis c.p., e non integra un'ipotesi di "induzione" descritta al comma 1 della medesima norma penale.
Con le parole della sentenza: "La condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità, attraverso cui si convinca una persona minore di età ad intrattenere rapporti sessuali esclusivamente con il soggetto agente, integra gli estremi della fattispecie di cui al comma secondo e non al comma primo dell'art. 600-bis del codice penale".
6. A questa conclusione la Corte perviene innanzitutto precisando che il concetto di "induzione alla prostituzione", anche con riferimento alla fattispecie di "prostituzione minorile", non può essere diversa dalla nozione tradizionalmente accolta con riferimento alle fattispecie di prostituzione fra adulti, che ha da sempre consentito pacificamente di escludere la punibilità del "cliente".
Secondo le Sezioni Unite, infatti, la nozione penalmente rilevante di "induzione alla prostituzione" abbraccia soltanto le ipotesi in cui il soggetto passivo è indotto a prostituirsi nei confronti di "terzi", e non già quando l'attività persuasiva è rivolta a compiere atti sessuali con lo stesso adulto "induttore": con la precisazione che - per il Collegio - i "terzi" potrebbero essere anche una singola persona diversa dal soggetto agente.
In tal senso, si legge nella sentenza: "anche la condotta di induzione alla prostituzione minorile (...), per essere penalmente rilevante, deve essere sganciata dall'occasione nella quale l'agente è parte del rapporto sessuale e oggettivamente rivolta ad operare sulla prostituzione esercitata nei confronti di terzi. L'induzione del minore alla prostituzione prescinde dall'effettuazione diretta dell'atto sessuale con l'induttore e può riguardare soltanto chi determina, persuade o convince il soggetto passivo a concedere il proprio corpo per pratiche sessuali da tenere non esclusivamente con il persuasore con terzi, che possono consistere anche in una sola persona, a condizione però che questa non si identifichi nell'induttore".
Il Collegio precisa che la nozione di "induzione alla prostituzione" tradizionalmente accolta nel nostro ordinamento giuridico fa riferimento a condotte che vanno inserite nel versante dell'"offerta" della prostituzione altrui, e non già nel diverso versante della "domanda" di prostituzione, al quale va tipicamente ricondotto il c.d. "fatto del cliente". Sul punto, scrive l'Estensore: "Nella nostra tradizione giuridica il tipo normativo della 'induzione alla prostituzione' si pone - infatti - dal lato dell'offerta del sesso mercenario e non della domanda, sicché la basilare distinzione fra induttore e cliente deve muoversi fra attività rientranti nell'ambito dell'offerta di prostituzione e attività rientranti nell'ambito della domanda".
La prospettata interpretazione, che restituisce al concetto di "induzione alla prostituzione" un significato unitario, e cioè un significato valido tanto in materia di prostituzione minorile, quanto in materia di prostituzione fra adulti, è per le Sezioni Unite del resto imposta da ulteriori considerazioni.
In primo luogo, osserva il Collegio, a ragionare diversamente - e cioè a ritenere che il mero pagamento di una prestazione sessuale sia di per sé una condotta di "induzione alla prostituzione" - si finirebbe per abrogare implicitamente la fattispecie di cui al comma secondo dell'art. 600 bis c.p.: "tenuto conto che la fattispecie di cui al secondo comma dell'art. 600-bis cod. pen. presuppone la necessaria correlazione causale fra la dazione o la promessa di danaro o di altra utilità e la prestazione sessuale del minore, deve essere altresì evidenziato che la figura polivalente ed ubiquitaria del cliente mero fruitore del sesso a pagamento che, come tale, contestualmente indurrebbe il minore alla prostituzione comporterebbe, di fatto, l'abrogazione implicita dello stesso secondo comma dell'art. 600-bis (che, come osservato da autorevole dottrina, sarebbe 'nato già morto')". In secondo luogo, la collocazione sistematica della fattispecie di "induzione alla prostituzione" nel comma primo dell'art. 600-bis c.p., che viene equiparata a condotte di "indubbia maggiore gravità", ne impone - secondo il Collegio - una interpretazione che esclude la "mera fruizione di una prestazione sessuale a pagamento": "L'induzione di cui al primo comma dello stesso art. 600-bis è stata distinta dal legislatore dalle mera fruizione di una prestazione sessuale a pagamento in quanto equiparata a condotte di indubbia maggiore offensività (reclutamento, sfruttamento, favoreggiamento, organizzazione e gestione della prostituzione minorile) che ben giustificano - a fronte della collocazione sistematica delle due fattispecie all'interno del medesimo articolo - il diversissimo quadro edittale di pena".
Infine, la Corte precisa che l'interpretazione accolta, che ripudia la tesi secondo la quale il mero pagamento di una prestazione sessuale al minore integra il delitto di "induzione alla prostituzione" di cui all'art. 600-bis comma 1, non determina alcun vulnus alle esigenze di maggior tutela del minore. Osservano infatti le Sezioni Unite, del tutto correttamente, che proprio la fattispecie di cui al comma 2 dell'art. 600-bis in esame, nel momento in cui consente di punire anche il cliente del minore che si prostituisce, rappresenta la risposta del legislatore alle istanze di natura sovranazionale ed internazionale di protezione del minore contro ogni forma di sfruttamento della immaturità sessuale.
Sul punto, si legge infatti in sentenza: "Dagli stessi lavori preparatori della legge n. 269 del 1998 (relazione alla proposta di legge dell'on. Serafini) emerge chiaramente che solo con il secondo comma dell'art. 600-bis cod. pen. 'si introduce [...] una figura nuova nel nostro codice: la figura del cliente'; ne consegue che l'unica fattispecie utilizzabile ai fini dell'incriminazione del cliente è quella prevista dal secondo comma dell'art. 600-bis cod. pen.
Tale opzione interpretativa non compromette le esigenze di maggior tutela del minore rispetto all'adulto affermate anche a livello sovranazionale, poiché la valenza persuasiva strutturalmente insita nel pagamento del minore per ottenere una prestazione sessuale diretta è già assorbita dal disvalore tipico del fatto descritto nel secondo comma dell'art. 600-bis cod. pen."
[1] Cfr. Cass., Sez. III, 11 gennaio 2011, n. 4235