28 gennaio 2011 |
Cass., Sez. Un. 28.10.2010 (dep. 19.1.2011), n. 1235, Pres. Lupo, Rel. Fiandanese, ric. Giordano (sul concorso tra truffa e reati fiscali)
Le Sezioni Unite escludono il concorso fra reati fiscali e truffa aggravata ai danni dello Stato
Con la sentenza in epigrafe le Sezioni Unite sono intervenute per dirimere il contrasto giurisprudenziale che si era creato in seno alla stessa Suprema Corte in riferimento ai rapporti tra i delitti di frode fiscale previsti dal d. lgs. 74/2000 e la fattispecie di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640 co. 2 n. 1) c.p.
Come noto, infatti, gli artt. 2, 3 ed 8 del d. lgs. 74/2000 sanzionano quelle condotte che, mediante condotte di emissione di fatture IVA per operazioni inesistenti (art. 8), di annotazione di tali false fatture sui registri contabili (art. 2), o attraverso ulteriori e diversi mezzi fraudolenti (art. 3), si propongano il fine di evadere le imposte.
Fino alla pronuncia in commento, la giurisprudenza oscillava nel riconoscere o negare la possibilità che gli stessi fatti storici potessero integrare, in concorso con le fattispecie tributarie, anche l’ipotesi di truffa ai danni dello Stato, come prevista dall’art. 640 co. 2 n. 1 c.p.
Un primo orientamento riteneva ammissibile il concorso di reati: le fattispecie tributarie, infatti, sono state costruite dal legislatore come reati di mera condotta, in cui la consumazione del reato avviene semplicemente con la presentazione di una dichiarazione infedele delle imposte, a prescindere dal fatto che l’erario si avveda della falsità della dichiarazione, ed a maggior ragione indipendentemente da qualsivoglia danno patrimoniale cagionato al fisco. La corrente giurisprudenziale in esame riteneva dunque applicabili entrambe le fattispecie quando – come del resto di regola avviene – l’erario abbia omesso di richiedere le somme dovute: il reato tributario, infatti, non conterrebbe in sé anche gli elementi (costitutivi del delitto di truffa) dell’induzione in errore del deceptus e del conseguente esborso patrimoniale.
Le Sezioni Unite adottano invece l’opposta interpretazione: il principio di specialità espresso dall’art. 15 c.p. precludere il configurarsi del concorso di reati. La pronuncia in esame nota come il legislatore – nel disegnare le fattispecie penali tributarie – abbia inteso anticipare la tutela penale a quei comportamenti che diano vita a dichiarazioni fiscali non rispondenti al vero: per questo i delitti contemplati dal d.lgs. 74/2000 sono costruiti quali reati di mera condotta, in rapporto di specialità rispetto alla truffa dal momento che sono caratterizzati da una particolare modalità di artifizio, consistente appunto nell’annotazione o emissione di fatture false, ovvero nel predisporre comunque un falso impianto contabile.
Non solo la condotta, del resto, ma tutti gli ulteriori elementi costitutivi del delitto di truffa trovano precisa corrispondente nello schema normativa dei delitti tributari: l’evento di danno patrimoniale ai danni dello Stato contemplato nell’art. 640 co. 2 n. 1 c.p., infatti, non è affatto espunto dalla fattispecie tributaria, ma diviene l’oggetto del dolo specifico, consistente nel “fine di evadere le imposte”. Se dunque il reato tributario si consuma a prescindere dall’effettiva verificazione del danno nei confronti dello Stato, dovrà comunque essere presente la finalità di cagionare un tale danno, attraverso la predisposizione, da parte del contribuente, di un particolare sistema fraudolento atto ad ingannare l’erario.
In nome del principio di specialità, troverà pertanto applicazione la sola fattispecie tributaria, che peraltro è corredata da una cornice sanzionatoria più elevata.