ISSN 2039-1676


4 febbraio 2011 |

Sul sequestro per equivalente dei beni della persona giuridica per i reati tributari commessi nel suo interesse

Nota a margine di Trib. Foggia, 27.12.2010 (decreto di sequestro preventivo), G.i.p. Protano

Con il provvedimento in commento, che può leggersi unitamente alla relativa richiesta del p.m. nel PDF allegato in calce, il GIP del Tribunale di Foggia ha disposto il sequestro per equivalente – funzionale ad una eventuale confisca ex art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 – dei beni di una persona giuridica, nel cui interesse l’indagato, legale rappresentante della società, ha agito realizzando, secondo la tesi di accusa, la fattispecie prevista dall’art. 3 d.lgs 74/2000.
 
Com’è noto, l’applicabilità della confisca per  equivalente delineata dall’art. 19 d.lgs. 231/2001 sul patrimonio dell’ente è esclusa nell’ipotesi di commissione di un reato tributario nell’interesse e a vantaggio della persona giuridica, visto che gli illeciti penali tributari non figurano nel novero dei reati-presupposto commessi da soggetti apicali o subordinati della persona giuridica.
 
Al riguardo, tuttavia, è possibile osservare (sia consentito il rinvio a L. Della Ragione, La confisca per equivalente nel diritto penale tributario, in questa Rivista) che la scelta legislativa si pone in netta controtendenza alla linea evolutiva della più recente legislazione, orientata ad ampliare l’area della responsabilità ex delicto dell’ente collettivo.
 
Così come concepito, pertanto, il microsistema sanzionatorio costruito dall'art.1, comma 143 l. 244/07 e centrato sul rinvio all’art. 322 ter c.p., presenta elementi che ne minano la compattezza.
 
Se, invero, il contribuente/persona fisica commette un delitto tributario, subirà la misura ablatoria per equivalente. Ove, invece, il beneficiario del profitto di tale reato sia una persona giuridica, non sarà possibile applicare quella sanzione, mancando una disposizione che espressamente contempli il potere di colpire il patrimonio del fruitore dell’evasione fiscale in quanto estraneo al delitto.
 
A bene vedere, questa scelta appare oltremodo discutibile sul piano politico-criminale, tenuto conto che gli adempimenti tributari di maggiore spessore e consistenza – quali sono quelli che onerano le organizzazioni complesse strutturate in forma societaria – concretizzano ben precise scelte di politiche di impresa cui conseguono vantaggi indebiti soprattutto per l’ente. Ora, in tale contesto, proprio considerando la specificità della materia, sembra quindi irragionevole escludere la confisca per equivalente nei confronti dei contribuenti che, producendo ricchezze significative, rappresentano i protagonisti principali del rapporto tributario e, al contrario, affatto riduttivo punire il solo autore/persona fisica (A. MARTINI, Reati in materia di finanze e tributi, in C.F. Grosso-T. Padovani-A. Pagliaro (a cura di), Trattato di diritto penale, Milano, 2010, 207).
 
Proprio per evitare che, innanzi ad una fenomenologia criminosa intimamente connessa a dinamiche societarie e/o commerciali, sfugga alla strategia di neutralizzazione del vantaggio economico/patrimoniale incamerato dal contribuente/persona giuridica, il provvedimento in esame afferma la sequestrabilità/confiscabilità per equivalente dei beni intestati alla società beneficiaria della frode fiscale.
 
Tutto ciò premesso, riteniamo, sommessamente, che la richiesta di sequestro preventivo per equivalente, cui il decreto del GIP rinvia e che quindi è da considerarsi in sostanza recepita nello stesso, fa dire alla giurisprudenza richiamata più di quanto essa in realtà non dica. Ed invero, quando si afferma che l'impossibilità di concorso tra i reati di frode fiscale e di truffa aggravata, dovendosi quest'ultimo ritenere assorbito nel primo, è tale “da escludere che, con riguardo a fatti commessi prima dell'entrata in vigore della l. n. 244 del 2007 (che ha esteso l'applicabilità dell'art. 322 ter c.p. anche al reato di frode fiscale), possa disporsi il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni di una società di capitali in relazione alla ipotizzata responsabilità amministrativa di quest'ultima per la medesima condotta asseritamente truffaldina che, contestata alle persone fisiche che avevano agito nell'interesse di detta società, doveva ritenersi penalmente rilevante solo ai fini della sussistenza del reato di frode fiscale” (Cass. pen., n. 41488/2009), altro non si fa se non rimarcare la sottoposizione della confisca per equivalente allo statuto garantistico della legalità/irretroattività, in considerazione della natura sanzionatoria dell’istituto.
 
Del resto, è la stessa Corte di Cassazione a riconoscere che  “qualora il reato commesso nell'interesse o a vantaggio di un ente non rientri tra quelli che fondano la responsabilità ex d.lg. n. 231 del 2001 di quest'ultimo, ma la relativa fattispecie ne contenga o assorba altra che invece è inserita nei cataloghi dei reati presupposto della stessa, non è possibile procedere alla scomposizione del reato complesso o di quello assorbente al fine di configurare la responsabilità della persona giuridica”, in ossequio ai crismi di stretta legalità che informano il sistema complessivo di giustizia penale.
 
Ed ancora, il provvedimento in commento richiama un orientamento dottrinario (G. SALCUNI, I reati tributari. Parte generale, in A. Manna (a cura di), Corso di diritto penale dell’impresa, Padova, 2010, 493; A. PERINI, voce Reati tributari, in Dig. disc. pen., 2008, 943 ss.), secondo il quale non pare comunque difficile — in via interpretativa — applicare la confisca per equivalente anche ai beni della società beneficiata dall’evasione fiscale realizzata dal suo amministratore, atteso che di tali beni il reo ha comunque la disponibilità proprio in quanto amministratore (al limite, anche solo di fatto) della società-contribuente; peraltro, si afferma, tali beni neppure apparterrebbero, in siffatte circostanze, ad un soggetto qualificabile come “estraneo al reato”, tenuto conto che il reato tributario verrebbe commesso nell’interesse della società beneficiaria dell’evasione.
 
Ora, questa linea ermeneutica non integra, a ben vedere, un’operazione di mera extensio dell’art. 322 ter c.p., bensì una vera e propria analogia legis, fondata sulla necessità di valorizzare le (condivisibili) istanze politico-criminali sottese all’introduzione della confisca per equivalente nel sistema penale tributario; in questo modo, tuttavia, si viola il divieto costituzionale di applicazione analogica della legge penale, che vincola il giudice alla stretta osservanza di quanto il legislatore è chiamato, sulla base dell’art. 25, comma 2, Cost., a stabilire tassativamente; del resto, una volta dissimulata la natura della "confisca di valore" quale “autentica” sanzione penale, caratterizzata da tratti affittivo-sanzionatori, ne deriva l'applicazione delle garanzie legalitarie e, segnatamente, del principio di tassatività/divieto di analogia.
 
Sotto questo profilo, pertanto, la previsione secondo cui i beni oggetto di confisca per equivalente devono comunque rientrare nella “disponibilità” del reo avrebbe potuto subire, nel diritto penale tributario, una opportuna rimodulazione, magari ponendo l’accento più sulla figura del contribuente-evasore che non su quella del reo.
 
Quanto alla nozione di estraneità al reato, poi, essa caratterizza tutti coloro che non hanno preso parte alla realizzazione dell’illecito, vale a dire l’autore e i compartecipi, sicchè una persona va considerata “estranea al reato” in quanto non abbia concorso, né materialmente né moralmente, al reato stesso. Va quindi considerata estranea al reato la persona giuridica – mera intestataria di beni – nel cui interesse sia stato commesso l’illecito tributario, sempre che non sussistano i presupposti della tipicità concorsuale.
 
Proprio al fine di evitare questo genere di problemi, il legislatore avrebbe potuto evitare il ricorso alla tecnica del rinvio per farsi carico di disciplinare in modo autonomo una tale, importante, innovazione, quale è stata quelle della confiscabilità per equivalente dei proventi dei reati tributari, magari inserendola nel tessuto normativo tramite una disposizione ad hoc.
 
È infatti fuori discussione che proprio il modello della responsabilità ex d.lgs. n. 231/01 – fondato sul paradigma di un omesso controllo sull’agire del dipendente – appaia, allo stato, quello che meglio si presta a colpire le condotte illecite, commesse all’interno degli enti e finalizzate alla realizzazione di profitti, atteso che proprio nel settore tributario la logica del profitto nell’interesse dell’ente è strutturale alla condotta posta in essere dall’autore materiale del reato, sì che devono ravvisarsi nella loro massima estensione le ragioni per cui è stato adottato il sistema della responsabilità degli enti.
 
Opportuno sarebbe, quindi, un intervento organico calibrato sul contesto criminologico della materia penale/tributaria, al fine di favorire sia esiti di effettività della tutela, sia una maggiore corrispondenza al quadro garantistico delineato dal principio di legalità penale, includendo, pertanto, nei reati presupposto ex d.lgs. 231/2001 anche quelli di natura tributaria.
 
Nell’evoluzione così delineata, andrebbe anche effettuato un opportuno coordinamento con il sistema sanzionatorio extrapenale delineato dagli artt. 11, comma 1 del d.lgs. n. 472/1997 e 19, comma 2, del d.lgs. n. 74/2000, al fine di evitare un surplus sanzionatorio che si caricherebbe di connotati vessatori (sanzione penale per la persona fisica + sanzione tributaria per la persona giuridica + sanzione amministrativa da reato per la persona giuridica) e nuocerebbe, pertanto, all’esigenza di promuovere un apparato di tutela che appaia legittimo e giusto.