ISSN 2039-1676


28 gennaio 2013 |

Bancarotta fraudolenta: confermato l'insegnamento tradizionale sull'irrilevanza del nesso causale tra condotta e fallimento

Cass. pen., sez. V, 24 settembre 2012 (dep. 8 gennaio 2013), n. 733, Pres. Zecca, Rel. Palla, Imp. Sarno

Abbiamo qualche giorno fa segnalato una sentenza della V sezione, depositata lo scorso dicembre, nella quale si affermava, con argomentazione assai articolata, il rivoluzionario principio secondo cui, ai fini di una condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, sarebbe necessario raggiungere la prova del nesso causale tra la condotta e la dichiarazione di fallimento, nonché la prova del dolo rispetto a un tale accadimento, da considerarsi quale vero e proprio evento del reato (clicca qui per scaricare la sentenza in parola - la n. 47502/2012 - e la relativa scheda di presentazione).

Che la questione sia ben lungi dal potersi considerare risolta presso la giurisprudenza della Cassazione è però dimostrato dalla sentenza qui pubblicata, pronunciata dalla stessa V sezione nella medesima udienza del 24 settembre, in cui si afferma il principio esattamente opposto, sulla base del mero richiamo ai costanti precedenti della Corte: "la punibilità della condotta di bancarotta per distrazione non è [...] subordinata alla condizione che la stessa distrazione sia stata causa del dissesto (Cass., sez. V, 6 maggio 2008, n. 34584), in quanto una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento i fatti di distrazione assumono rilevanza penale in qualsiasi tempo siano stati commessi e, quindi, anche quando l'impresa non versava ancora in condizioni di insolvenza (Cass., sez. V, 14 gennaio 2010, n. 11899), né è rilevante, trattandosi di reato di pericolo, che al momento della consumazione l'agente non avesse consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa per non essersi lo stesso ancora manifestato (Cass., sez. V, 26 settembre 2011, n. 44933)".

Un chiarimento urgente sul punto, pertanto, si impone, anche per evitare - almeno per il futuro - ingiuste disparità di trattamento tra imputati che versino in situazioni identiche; un chiarimento che, c'è da sperare, non si esaurisca questa volta in un mero richiamo ai precedenti della Corte, ma si confronti funditus con i dati normativi e con gli argomenti - tutt'altro che inconsistenti - spesi nella sentenza n. 47502 poc'anzi citata.