16 gennaio 2015 |
Le Sezioni Unite si pronunciano sul dies a quo nel computo del termine di prescrizione della pena in caso di revoca dell'indulto
Cass. pen., Sez. Un., 30 ottobre 2014 (dep. 2 gennaio 2015), n. 2, Pres. Santacroce, Rel. Zampetti, ric. Maiorella
1. Con ordinanza del 21 marzo 2014 (depositata il 9 luglio 2014), n. 30007, la Corte di Cassazione, sezione I penale, rimetteva alle Sezioni Unite la decisione in merito alla seguente questione di diritto: «se, nel caso in cui l'esecuzione della pena sia subordinata alla revoca dell'indulto, il termine di estinzione della sanzione, a norma dell'art. 172, quinto comma, cod. pen., decorre dalla data in cui è divenuta definitiva la sentenza di condanna che costituisce il presupposto dal quale dipende la revoca del beneficio, o, invece, dalla data in cui è divenuta definitiva la decisione che accerta la sussistenza della causa di revoca del condono» (clicca qui per accedere all'ordinanza ed alla relativa scheda).
La Suprema Corte ha risolto il quesito in parola accogliendo la prima delle soluzioni proposte, in particolare affermando che «nel caso in cui l'esecuzione della pena sia subordinata alla revoca dell'indulto, il termine di prescrizione della pena decorre dalla data d'irrevocabilità della sentenza di condanna, quale presupposto della revoca del beneficio».
2. L'ordinanza di rimessione trova ragione nel contrasto giurisprudenziale esistente in ordine all'individuazione del dies a quo nel computo del termine di prescrizione della pena ex art. 172, comma 5 c.p. - ai sensi del quale "Se l'esecuzione della pena è subordinata alla scadenza di un termine o al verificarsi di una condizione, il tempo necessario per l'estinzione della pena decorre dal giorno in cui il termine è scaduto o la condizione si è verificata" - nel caso in cui l'esecuzione della stessa sia subordinata alla revoca del beneficio dell'indulto precedentemente concesso.
In particolare, occorre chiarire se - in presenza di un indulto risolutivamente condizionato alla condanna per altro delitto - il termine di prescrizione di cui all'art. 172 c.p. decorra dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna costituente il presupposto da cui dipende la revoca del beneficio; oppure da quello, successivo, in cui è divenuto irrevocabile il provvedimento che, accertato l'effettivo verificarsi della condizione risolutiva, ha disposto la revoca del beneficio ai sensi dell'art. 674 c.p.p.. Breve: ci si chiede se il dies a quo vada fissato nel momento in cui si verifica il suo presupposto ovvero in quello, successivo, in cui tale presupposto viene formalmente accertato con un provvedimento definitivo.
Sul punto, si sono sviluppati due contrapposti orientamenti giurisprudenziali.
Secondo un primo orientamento, più risalente nel tempo, nei casi contemplati dall'art. 172, comma 5 c.p. il termine iniziale di decorrenza della prescrizione va individuato nel momento in cui diviene irrevocabile il provvedimento giudiziale di revoca dell'indulto. Nonostante la sua natura meramente dichiarativa e accertativa, solo tale pronuncia definitiva renderebbe la pena concretamente eseguibile.
Invero, secondo questa giurisprudenza di legittimità, l'indulto conserva la sua efficacia anche dopo il passaggio in giudicato di quella sentenza di condanna che ne costituisce condizione risolutiva; ciò fino a quando non sia divenuto irrevocabile il successivo provvedimento che, accertata l'effettiva sussistenza dei presupposti per la revoca, dichiari la formale rimozione del beneficio.
L'orientamento in parola troverebbe il proprio fondamento normativo nel principio sancito dall'art. 172, comma 4 c.p., in conformità al quale «il termine per la prescrizione della pena decorre dal giorno in cui la condanna è divenuta irrevocabile ovverosia allorché essa abbia acquisito forza esecutiva giusto l'art. 650 cod. proc. pen. e sia concretamente utilizzabile come titolo esecutivo» (Cassazione, sezione I penale, 28 febbraio 2000, n. 1441, Zanon, Rv. 216007).
D'altro canto, si registra anche un diverso orientamento sviluppatosi in tempi più recenti. Invero, in più pronunce la Suprema Corte ha individuato il dies a quo nel computo del termine di prescrizione della pena nel verificarsi della condizione che determina il venir meno del beneficio, ovvero nel passaggio in giudicato della sentenza di condanna comportante la revoca dell'indulto precedentemente concesso. Ciò che rileva, dunque, è la sussistenza di quei presupposti che si pongono quale causa della revoca, e non anche la formale adozione del provvedimento di rimozione dell'indulto. Alla base dell'indirizzo giurisprudenziale in parola sono state poste diverse considerazioni di ordine logico e sistematico.
Anzitutto, una tale soluzione è stata ritenuta maggiormente conforme al dettato normativo. Infatti, è lo stesso art. 172, comma 5 c.p. a individuare quale termine iniziale «il giorno in cui [...] la condizione si è verificata».
In secondo luogo, si è sostenuto come questo indirizzo interpretativo appaia essere più compatibile sia con la ratio dell'istituto della prescrizione sia con i principi costituzionali. In particolare, subordinare la decorrenza del termine prescrizionale a un provvedimento - quale quello di revoca - potenzialmente emesso in tempi dilatati in ragione dell'inerzia dell'autorità competente contrasterebbe sia con l'esigenza di certezza posta alla base della disciplina della prescrizione sia con i «principi di ragionevolezza e di tempestività nella esecuzione delle pene, di cui agli artt. 3 e 27, secondo comma, della Costituzione» (Cassazione, sezione I penale, 5 marzo 2009, n. 18552, Canarecci, Rv. 243644).
3. Ciò premesso in ordine al contrasto esistente, occorre ora soffermarsi sul il percorso seguito dalle Sezioni Unite per giungere alla formulazione del principio di diritto sopra riportato, il quale - si ricorda - si pone in linea con il secondo e più recente degli orientamenti giurisprudenziali citati.
Secondo i giudici di legittimità, la correttezza della soluzione interpretativa che aggancia il dies a quo al momento della verificazione del presupposto risolutivo (e non del suo successivo accertamento giudiziale) è confermata tanto sul piano testuale quanto su quello logico-sistematico; la stessa si pone, peraltro, in perfetta armonia con un'interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione di cui all'art. 172 c.p.
a) In primo luogo, per quel che attiene al profilo testuale, la Corte sottolinea anzitutto come l'interprete, in ossequio al principio di tipicità, non possa disattendere il dato normativo letterale.
In tale ottica, nel caso sottoposto all'esame dei giudici, occorre guardare al disposto dell'art. 172, comma 5 c.p. nonché alla specifica disciplina indulgenziale che ha trovato applicazione nel caso concreto.
In particolare, da un lato, la normativa codicistica prevede che «se l'esecuzione della pena è subordinata [...] al verificarsi di una condizione, il tempo necessario per la estinzione della pena decorre dal giorno in cui [...] la condizione si è verificata»; dall'altro lato, gli artt. 10 del D.P.R. 18 dicembre 1981, n. 744 e 11 del D.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865 espressamente sanciscono che «il beneficio dell'indulto è revocato di diritto qualora chi ne abbia usufruito commetta, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, un delitto non colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva».
Ad avviso della Suprema Corte, dal combinato disposto di queste norme emerge in modo chiaro come non vi sia alcuna connessione tra il provvedimento di revoca dell'indulto e la decorrenza del termine per la prescrizione della pena.
Invero, ai sensi della normativa indulgenziale, il beneficio è revocato ipso jure qualora l'interessato venga condannato a pena detentiva per aver commesso un delitto nel termine indicato; si tratta, dunque, di una sentenza che costituisce condizione risolutiva dell'indulto. È poi lo stesso art. 172, comma 5 c.p. a disporre che, nel caso di esecuzione della pena sottoposta a condizione, il termine di prescrizione cominci a decorrere dal momento in cui tale condizione si verifica.
In conclusione, in ossequio al dato testuale, la condizione risolutiva del beneficio è identificata dalla Corte nel passaggio in giudicato della nuova sentenza di condanna, momento che coincide con il dies a quo nel computo del termine di prescrizione della pena.
b) Far decorrere il termine per l'estinzione della pena dal momento in cui si è verificato il presupposto per la revoca dell'indulto è, secondo i giudici di legittimità, altresì una soluzione «dovuta» in forza di un'interpretazione costituzionalmente conforme della disciplina in tema di prescrizione.
L'opposto orientamento - secondo il quale la pena sarebbe eseguibile e il termine potrebbe decorrere soltanto a seguito del provvedimento definitivo di revoca del beneficio - si pone inevitabilmente in contrasto con taluni principi di rango costituzionale. Invero, consentire che il condannato rimanga in attesa di un provvedimento giudiziale senza alcuna certezza in ordine ai tempi della sua emissione determinerebbe una lesione del principio di uguaglianza, nonché dei principi «relativi all'effettività ed alla ragionevole durata dal processo»; non da ultimo, ciò avrebbe ripercussioni negative anche sulla finalità rieducativa della pena, in ossequio alla quale l'esecuzione e la condanna dovrebbero collocarsi in tempi relativamente vicini.
Ancora, le Sezioni Unite sottolineano come l'opzione interpretativa avallata sia «coerente con i principi di ragionevole durata, di sollecita definizione e di minor sacrificio esigibile evincibili dagli artt. 5 e 6 CEDU».
c) Infine, la sentenza rileva l'infondatezza della diversa opinione giurisprudenziale anche sul piano sistematico. In particolare, ad avviso della Corte, la tesi che subordina l'eseguibilità della pena (e di tal guisa la decorrenza del termine prescrizionale) alla definitività del provvedimento di revoca dell'indulto si fonda su presupposti erronei.
In primo luogo, la lettera dell'art. 172, comma 5 c.p. individua con chiarezza il dies a quo nel verificarsi della condizione; "ritardare" il computo del termine di prescrizione al momento dell'asserita eseguibilità concreta della pena significherebbe, dunque, introdurre una sospensione della prescrizione non prevista dal legislatore e perciò priva di qualsivoglia fondamento normativo.
In secondo luogo, tale opzione ermeneutica erra nel qualificare la pena come eseguibile soltanto a seguito della pronuncia definitiva di revoca del beneficio. Invero, come già visto, il combinato disposto delle norme codicistiche e della disciplina indulgenziale impone di ritenere l'indulto revocato di diritto al verificarsi della condizione risolutiva (ossia la sentenza definitiva di condanna); per l'effetto, anche la pena risulta immediatamente eseguibile a partire dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna, senza che sia a tal fine necessario attendere un provvedimento di contenuto meramente dichiarativo (quale quello di revoca). In tal senso depone, peraltro, anche la possibilità per il giudice del merito di pronunciare la revoca dell'indulto contestualmente alla condanna.
Da ultimo, per dimostrare la fondatezza delle proprie argomentazioni, la Suprema Corte elabora un parallelismo con l'istituto della prescrizione del reato, facendo leva sulla prevalenza del momento sostanziale su quello formale di mero contenuto ricognitivo: «come il dies a quo per l'estinzione del reato decorre dalla commissione del fatto (elemento sostanziale), e non dall'inizio del processo di cognizione diretto ad accertarlo, così il dies a quo per l'estinzione della pena non può non decorrere dall'irrevocabilità della sentenza o, per quanto rilevi, dall'avverarsi della condizione risolutiva che costituisce il presupposto della revoca (elemento sostanziale), e non dall'attività processuale, peraltro di conclamata natura formale e ricognitiva, nonché variabile nei tempi, che prenda atto del già avvenuto avverarsi di tale condizione risolutiva».