ISSN 2039-1676


13 marzo 2015 |

F. Basile, I delitti contro la vita e l'incolumità  individuale, vol. 3, tomo III, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, a cura di G. Marinucci - E. Dolcini, Cedam, Padova, 2015, pp. 770

Presentazione del libro

 

Con questo ponderoso volume di Fabio Basile viene messo, all'interno del Trattato di diritto penale - parte speciale, un ulteriore, importante 'tassello' nell'illustrazione della fondamentale categoria dei delitti contro la vita e l'incolumità individuale, che si affianca al volume di Paolo Veneziani del 2003, dedicato all'omicidio colposo (art. 589 c.p.) e alle lesioni colpose (art. 590 c.p.).

Si tratta, peraltro, di un 'tassello' di cui vi era una forte necessità. Prima di tutto, si trattava di dar conto delle novità legislative che negli ultimi anni hanno interessato questo gruppo di reati: in particolare, i delitti di cui agli artt. 583-bis (pratiche di mutilazioni degli organi genitali femminili) e 583-quater c.p. (lesioni personali gravi o gravissime a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive), che nel presente volume trovano, finalmente, un'organica e meditata trattazione, anche alla luce delle loro prime applicazioni giurisprudenziali.

Ma anche figure di reato 'classiche' nel sistema della tutela della vita e dell'incolumità individuale ricevono nuovo smalto in quest'opera, perché Basile le illustra con un grado di approfondimento e di costante confronto con la prassi applicativa che non conosce pari nella letteratura giuridica di questi anni. Si pensi, ad esempio, alla meticolosità sistematica e al rigore logico, congiunti alla ricchezza di esemplificazioni giurisprudenziali, con cui l'Autore procede alla descrizione, tanto ampia quanto limpida, dei vari eventi che vanno ad integrare le figure di lesioni gravi e gravissime di cui all'art. 583 c.p.; oppure all'accurata analisi - condotta sulla scorta anche della letteratura medico-legale - del concetto di "malattia" rilevante all'interno dell'art. 582 c.p., la quale consente di fare chiarezza e di correttamente intendere la portata (solo apparentemente risolutiva) del più recente orientamento elaborato in proposito dalla nostra Cassazione, anche a Sezioni Unite; si pensi, altresì, alla precisa e sapiente ricostruzione del criterio d'imputazione dell'evento nell'omicidio preterintenzionale e nel delitto di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, due figure di reato che segnano un ambito in cui il progresso di civiltà ottenuto grazie all'interpretazione costituzionalmente conforme seguita dalla più recente giurisprudenza in relazione all'art. 586 c.p. stride acutamente con la monolitica opposizione della Corte di Cassazione alla penetrazione della colpa nell'art. 584 c.p.

L'opera di Basile ha un ulteriore grande merito: rompe il lungo silenzio serbato dalla dottrina italiana su alcune figure di reato che, all'interno del sistema dei delitti contro la vita e l'incolumità individuale, giocano un ruolo - sia pur per motivi diversi - di primaria importanza.

Si tratta, in primo luogo, del delitto di rissa, quotidianamente applicato dalle nostre corti, ma del tutto trascurato dalla dottrina (per trovare una trattazione organica di tale reato bisogna risalire ad un'antica monografia del 1934). Eppure l'art. 588 c.p. costituisce un vero ginepraio di questioni controverse, gravide di implicazioni pratiche: si pensi, solo per fare qualche esempio, ai dubbi circa il numero minimo di soggetti richiesti per dar luogo ad una rissa, alla controversa configurabilità della legittimità difesa, o ancora alla possibilità di riconoscere un concorso della rissa con i delitti di omicidio e lesioni personali, nonché alle incerte condizioni in presenza delle quali di tali ultimi reati possano rispondere (ex art. 110 o ex art. 116 c.p.?) anche i corrissanti che non ne sono stati gli esecutori materiali.

Si tratta, in secondo luogo, del delitto di abbandono di persone minori o incapaci, rimasto a lungo ai margini dell'attenzione della dottrina italiana, anche di quella contemporanea, e ciò nonostante la sua recente 'rivitalizzazione' da parte della giurisprudenza, la quale negli ultimi anni ha di molto ampliato il tradizionale raggio di azione dell'art. 591 c.p., applicandolo non più soltanto a vicende che si esauriscono nell'ambito familiare o domestico, ma anche a ipotesi di malpractices mediche, infermieristiche o, più in generale, assistenziali, di cui sono protagonisti, loro malgrado, dirigenti sanitari, direttori amministrativi, medici o infermieri di istituti di cura e/o di ricovero per anziani, per disabili o per malati, che hanno tradito la relazione di "cura" o di "custodia" con le persone loro affidate.

Si tratta, infine, del delitto di omissione di soccorso, il quale continua ad essere menzionato in ogni manuale come paradigma di tutti i reati omissivi propri, continua a svolgere un fondamentale ruolo, per così dire, didascalico (per l'illustrazione di tale categoria di reati) e simbolico-culturale (per la sua funzione di presidio penalistico del valore della solidarietà), ma in relazione al quale non è stata condotta alcuna indagine sistematica - con l'eccezione degli scritti di Alberto Cadoppi - che possa dare conto della macroscopica divaricazione ad oggi registrabile tra la comune percezione di plurimi, quotidiani casi di omessa assistenza a persone in pericolo, da un lato, e l'assai esiguo numero di applicazioni giurisprudenziali dell'art. 593 c.p., dall'altro: una divaricazione in gran parte dovuta alla inutilizzabilità 'di fatto' di tale norma a causa della sua formulazione letterale, tanto imprecisa quanto obsoleta, fonte di non poche questioni dubbie, alla cui soluzione l'opera di Basile fornisce finalmente una risposta chiara, persuasiva e al passo coi tempi. 

Tutte le questioni affrontate in questo volume - da quelle più tradizionali a quelle solo da ultimo emerse nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale - vengono, insomma, esposte con esemplare chiarezza e compiutamente analizzate anche nei risvolti prasseologici, al fine di fornire al lettore (si tratti di magistrato, di avvocato, di studioso o di studente del diritto) le coordinate per approdare ad un'applicazione dei delitti anzidetti che risulti razionale, conforme ai parametri costituzionali, coerente con i principi della teoria generale del reato.

Con grande soddisfazione, quindi, posso affermare che anche il volume di Fabio Basile centra appieno l'obiettivo del presente Trattato di "riaccostare la legge alla vita"[1], al fine di sanare quel "divorzio tra la teoria e la pratica" che aveva reso "gli studiosi sempre più insensibili alle esigenze della vita, facendo loro dimenticare che il diritto è posto innanzitutto e sopratutto per risolvere delle questioni concrete e non per affermare dei principi che siano fine a sé stessi"[2].

Di tale risultato si sarebbe molto compiaciuto Giorgio Marinucci, a noi sottratto mentre ancora fervida era la sua opera e prolifico il suo ingegno: è, infatti, insieme a lui, e a chi scrive, che Basile aveva concepito, programmato, impostato e discusso il presente volume, nelle cui pagine più intense - l'attento lettore non mancherà di rilevarlo - emerge l'eco dell'antica, e sempre vivida, intransigenza del Maestro nel condurre la sua ricerca scientifica su binari di onestà intellettuale al servizio di un diritto penale giusto, umano e liberale, tanto nei suoi presupposti teorici quanto nelle sue applicazioni pratiche.

 


[1] Delitala, Postilla, RIDPP 1936, 536.

[2] Pisapia, Introduzione alla parte speciale del diritto penale, I, Milano, 1948, 10.