ISSN 2039-1676


28 gennaio 2016 |

Violenza vs. minaccia: i profili processuali di una classica dicotomia al vaglio delle Sezioni Unite. In tema di archiviazione dei procedimenti per stalking

Nota a Cass. pen., ord. 9 luglio 2015 (dep. 20 ottobre 2015), n. 42220, Est. Zaza

1. La legge sul 'femminicidio' - l. 15 ottobre  2013, n. 119 (che ha convertito il d.l. 14 agosto 2013, n. 93, recante "disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere") - ha ampliato la tutela delle vittime dei reati violenti prevedendo, in materia di archiviazione, una disciplina in deroga all'art. 408 c.p.p. Ai sensi del nuovo comma 3 bis dell'art. 408 c.p.p., infatti, nei casi in cui la richiesta di archiviazione riguardi "reati commessi con violenza alla persona":

a) l'avviso della richiesta di archiviazione è in ogni caso notificato, a cura del pubblico ministero, alla persona offesa - indipendentemente cioè dalla richiesta che, di norma, deve invece essere fatta nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione;

b) il termine entro il quale la persona offesa può presentare opposizione è di venti giorni, pari cioè al doppio di quello ordinariamente previsto.

Questa nuova disposizione ha posto nella prassi il problema della riconducibilità del delitto di atti persecutori (art. 612 bis c.p.) alla categoria dei reati realizzabili con "violenza alla persona", in relazione ai quali è applicabile la disposizione citata. Il problema si pone in quanto le modalità di esecuzione della condotta di atti persecutori sono individuate dalla, come è noto, in reiterate minacce o molestie: non anche pertanto in forme di violenza fisica diretta contro la persona.

 

2. Se può ragionevolmente escludersi che le mere molestie possano qualificarsi come modalità della condotta propriamente "violente", il problema dell'applicabilità dell'art. 408, comma 3 bis c.p.p. allo stalking si pone invece in relazione alle minacce. Nel rimettere la relativa questione alle Sezioni Unite - che dovrebbero pronunciarsi oggi stesso (28 gennaio 2016) - l'ordinanza che può leggersi in allegato individua a nostro avviso correttamente come nodo problematico centrale la riconducibilità della minaccia al genere della violenza alla persona; una questione di ben più ampia portata, che non riguarda solo l'art. 408, comma 3 bis c.p.p. Lo conferma tra l'altro, come segnala l'ordinanza annotata,  il contrasto giurisprudenziale riguardante l'art. 649, comma 3 c.p., il quale stabilisce che le disposizioni relative  alla non punibilità per i reati contro il patrimonio commessi nei confronti dei congiunti non si applicano - oltre che ai reati di cui agli artt. 628, 629 e 630 - anche ad ogni altro delitto commesso "con violenza alle persone"[1]: formula questa riferita da una parte soltanto della giurisprudenza anche ai reati realizzati con minaccia (cioè con violenza morale).

Il quesito posto alle S.U., a fronte di un possibile contrasto giurisprudenziale anche in relazione all'art. 408 c.p.p.,  è così esattamente formulato: "se l'espressione normativa violenza alla persona, di cui agli artt. 408, comma 3 bis c.p.p., introdotto con l'art. 2, comma primo, lett. G d.l. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, con la legge 15 ottobre 2013, n. 119, e 393 e 649, comma terzo c.p., comprenda le sole condotte di violenza fisica o includa anche quelle di minaccia, e se di conseguenza il reato di cui all'art. 612 bis c.p. sia incluso fra quelli per i quali il citato art. 408, comma 3 bis c.p.p. prevede la necessaria notifica alla persona offesa dell'avviso della richiesta di archiviazione".

 

3. Nell'ordinanza qui segnalata la Sezione rimettente espone le argomentazioni a sostegno dell'una e dell'altra soluzione interpretativa, prendendo le mosse dai motivi di ricorso della parte offesa ricorrente, chiaramente interessata a un'interpretazione estensiva dell'ambito di applicazione dell'art. 408, comma 3 bis c.p.p.

 

3.1. Un primo argomento di carattere storico/sistematico, invocato a favore della riconducibilità del reato di atti persecutori a quelli realizzabili mediante violenza alla persona, risiederebbe nella formulazione dell'art. 415 bis c.p.p. (avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari), anch'esso modificato dalla legge contro il 'femminicidio'. La circostanza che quest'ultima disposizione del codice di rito menzioni espressamente il delitto di cui all'art. 612 bis c.p. tra quelli in relazione ai quali è obbligatoria la notifica alla persona offesa dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari suggerirebbe, per identità di ratio, di includere il delitto stesso fra quelli per i quali è obbligatoria la notifica dell'avviso di deposito della richiesta di archiviazione.

Un secondo argomento invocato dal ricorrente si riferisce ancora alla ratio dell'intervento legislativo: l'esplicita intitolazione della legge n. 119 del 2013 al contrasto della violenza di genere renderebbe ragionevole riferire al reato di atti persecutori - che di detta tipologia di violenza costituisce manifestazione tipica - una normativa chiaramente funzionale al più efficace contrasto della violenza stessa, quale quella relativa alla notifica alla persona offesa dell'avviso di deposito della richiesta di archiviazione.

 

3.2. Secondo l'ordinanza annotata, tuttavia, gli anzidetti argomenti possono essere portati a sostegno della tesi opposta, che esclude il reato di atti persecutori dal novero di quelli realizzabili con violenza alla persona. Con particolare riferimento all'argomentazione che fa leva sul parallelismo con l'art. 415 bis c.p.p., l'ordinanza afferma che, alla lettura fatta propria dal ricorrente ben può essere contrapposta un'impostazione di segno opposto. La mancata riproduzione - nella disposizione concernente la richiesta di archiviazione - dell'esplicito richiamo al reato di atti persecutori, presente invece nella norma riguardante l'avviso di conclusione delle indagini preliminari, potrebbe infatti essere indicativa della volontà del legislatore di limitare a quest'ultima e diversa ipotesi la rilevanza del reato di cui all'art. 612 bis c.p.

D'altra parte, senza prendere posizione a sostegno dell'una o dell'altra soluzione possibile, l'ordinanza annotata individua - quale possibile argomento sistematico a sostegno della riconducibilità della violenza morale al genere della violenza alle persone - la circostanza che nella rubrica dell'art. 393 c.p. si inquadri nell'"esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone" una realizzabile, alternativamente, con violenza o, per l'appunto, con minaccia.

 

4. La soluzione che ci sembra più ragionevole e conforme al sistema è quella che inquadra gli atti persecutori tra i reati realizzabili con violenza alla persona e, conseguentemente, fra quelli ai quali è applicabile l'art. 408, comma 3 bis c.p.p. A tale risultato è possibile pervenire solo concependo la nozione di violenza alla persona come comprensiva della violenza tanto fisica quanto morale. E ciò è possibile, a noi pare, sul piano della mera interpretazione letterale, senza scomodare il canone dell'interpretazione analogica, ammissibile per la natura processuale della disposizione in esame, ma non anche, a nostro avviso, in considerazione del suo carattere eccezionale (cfr. l'art. 14 disp. prel. c.c.).

Come ha da ultimo ricordato Gian Luigi Gatta in un recente studio monografico sulla minaccia, considerata come modalità della condotta penalmente rilevante, nella nostra tradizione giuridica - e nel relativo linguaggio - la 'violenza' è un concetto di genere riferibile tanto a quella fisica quanto a quella morale. Nel diritto romano la minaccia - quale modalità della condotta umana - "nasce proprio dal tronco della violenza (vis), per staccarvisi e affiancarvisi, come species, su un piano di tipo psicologico. Diversa è infatti la sfera di incidenza: la minaccia è una vis moralis non corpori ma animo illata; affatto estranea alla minaccia è l'idea dell'aggressione fisica - del passaggio alle vie di fatto e del mettere le mani addosso -, che rappresenta invece il nucleo significativo di un concetto restrittivo di violenza" (n.d.r.: la 'violenza' che in molte figure di reato, come ad es. la rapina, è contrapposta, come modalità alternativa della condotta, alla minaccia)[2]. E' pacifico, insomma, che la violenza non sia solo quella fisica: anche la minaccia è una forma di sopraffazione prepotente, al pari della violenza in senso stretto (quella fisica)[3].

La citata monografia di Gatta sottolinea d'altra parte a più riprese, in prospettiva interdisciplinare, come anche nel diritto civile il concetto di minaccia sia da sempre associato a quello di violenza. Emblematica a questo proposito la disciplina dei vizi del consenso, causa di annullamento del contratto (artt. 1434 ss. c.c.), che parla ancora oggi di violenza riferendosi - ed è opinione pacifica sia in dottrina (v. ad es. R. Sacco) che in giurisprudenza - alla sola minaccia[4].

Con riferimento, invece, al diritto penale - e sempre nel senso della possibilità di associare il concetto di minaccia a quello di violenza alla persona - si può notare come, nel codice, diverse norme incriminatrici facciano riferimento, nella rubrica, alla violenza (come concetto di genere) salvo poi dare rilievo, nel corpo della norma, a condotte realizzabili sia con violenza sia con minaccia. Oltre al già citato delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone (art. 393 c.p.), si può menzionare la violenza privata ex art. 610 c.p., che incrimina chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa; o la violenza sessuale ex art. 609 bis c.p., che punisce chiunque con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o a subire atti sessuali. Nello stesso senso, è significativo sottolineare come il capo I del Titolo XIII del codice penale, intitolato "Dei delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alla persone", contenga al proprio interno delitti che annoverano tra le modalità realizzative della condotta tanto la violenza quanto la minaccia: per tutti, i delitti di rapina e di estorsione (artt. 628 e 629 c.p.).

A sostegno della tesi che ci pare più persuasiva (riferire l'art. 408, comma 3 bis c.p.p. anche al delitto di atti persecutori) parla d'altra parte, a noi pare, un'ulteriore argomento: a voler sostenere la tesi opposta - sul rilievo che le minacce non sarebbero inquadrabili nel concetto di "violenza alla persona", si dovrebbe per coerenza escludere l'applicabilità della citata disposizione del codice di rito q qualsivoglia reato - anche caratterizzato da un maggior disvalore rispetto a quello di atti persecutori, come, ad esempio, la violenza sessuale, la rapina o l'estorsione - se realizzato concretamente tramite minaccia. Sarebbe all'evidenza una conclusione irragionevole, che priverebbe la persona offesa di un'importante possibilità d'intervento, in un momento decisivo per il prosieguo del procedimento penale. Tale conclusione restringerebbe di molto la portata della disposizione in esame, in contrasto con la ratio dell'intervento legislativo che, al contrario, mira ad ampliare la tutela delle vittime delle diverse forme di violenza, fisiche o...morali.

 

 

 


[1] Per un primo orientamento secondo cui tale previsione sarebbe da intendersi come limitata alle fattispecie di violenza fisica cfr. Cass. pen., sez. II, 15 marzo 2005, n. 13694, Scibile. Con riguardo ad un secondo orientamento, di segno opposto, per il quale nella nozione di violenza alle persone rientrerebbe anche la violenza morale si veda Cass. pen., sez. VI, 18 dicembre 2007, n. 19299, Casale.

[2] Cfr. G.L. Gatta, La minaccia. Contributo allo studio delle modalità della condotta penalmente rilevante, Roma, Aracne, 2013, p. 18.

[3] E' una delle tesi centrali della citata monografia di G.L. Gatta. V. ivi, p. 19 e passim.

 [4] Cfr. anche su questo punto G.L. Gatta, La minaccia, cit., p. 19 e p. 29 s.