ISSN 2039-1676


23 giugno 2016 |

Esclusione del responsabile civile dal giudizio abbreviato: inammissibile il dubbio di incostituzionalità  per difetto di rilevanza

Corte cost., ord. 6 aprile 2016 (dep. 20 maggio 2016), n. 114, Pres. Grossi, rel. Frigo

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1. Chiamata a giudicare la questione di legittimità costituzionale della norma che prescrive l'esclusione, anche d'ufficio, del responsabile civile una volta ammesso il rito abbreviato (art. 87 comma 3 c.p.p.), per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., la Consulta non la definisce, chiudendo il giudizio con ordinanza - che si annota - di manifesta inammissibilità per «difetto di congrua motivazione sulla rilevanza». A conclusione analoga era approdato lo scrutinio di costituzionalità promosso in passato sul medesimo thema decidendum (Corte cost., ord. 2 luglio 2008, n. 247), cosicché è ancora una volta il profilo processuale, appunto l'accertamento sulla rilevanza della questione, a precludere il controllo di legittimità sul contenuto della disposizione interessata.

 

2. Alla base del sindacato di legittimità, azionato dalla Corte di appello di Milano nel corso di un procedimento per i reati di omicidio colposo plurimo, commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, e di guida in stato di ebbrezza, si pone l'estromissione da parte del giudice dell'udienza preliminare del responsabile civile (nella fattispecie, l'assicuratore, citato su richiesta delle parti civili e costituitosi nel processo), quale conseguenza dell'accoglimento della richiesta di giudizio abbreviato avanzata dall'imputato. L'art. 87 comma 3 c.p.p., norma di riferimento, è difatti inequivocabile nel prevedere siffatto automatismo[1], stabilito in quanto congeniale alla fisionomia - originaria - del procedimento speciale che ci occupa, caratterizzato dalla massima celerità e definito «allo stato degli atti», cioè sulla scorta di elementi probatori raccolti nella fase di indagine preliminare, ove non è contemplata la partecipazione del responsabile civile[2].   

Trattasi di discorso giustificativo, certamente sensato con riguardo all'impianto primigenio del rito abbreviato ma destinato a perdere di significato se rapportato alla sua struttura attuale, per come modificata dalla l. 16 dicembre 1999, n. 479. Refrattario al consenso del pubblico ministero e aperto a integrazioni probatorie, su richiesta di parte (art. 438 comma 5 c.p.p.) o su iniziativa officiosa del giudice (art. 441 comma 5 c.p.p.), il procedimento abbreviato - si è sostenuto - ha assunto un aspetto diverso, divenendo giudizio alternativo o parallelo a quello dibattimentale[3] e, per tale ragione, è apparsa ingiustificata la regola di esclusione del responsabile civile da questo rito speciale.    

Da tale considerazione deriva, per il rimettente, la non manifesta infondatezza della questione di illegittimità dell'art. 87 comma 3 c.p.p., ritenuto in contrasto con l'art. 3 Cost., stante l'irragionevole disparità di trattamento che la parte civile verrebbe a subire sul piano delle pretese civilistiche; con l'art. 24 Cost., poichè sempre per detta parte risulterebbe leso il suo diritto di agire in giudizio; infine, con l'art. 111 Cost., posto che intraprendere un giudizio civile per ottenere il risarcimento e le restituzioni dal civilmente responsabile estromesso, inciderebbe sul principio della ragionevole durata del processo. 

 

3. Il profilo appena descritto non viene, tuttavia, affrontato dalla Corte, che reputa la questione sottopostale non rilevante, o meglio carente di congrua motivazione sulla rilevanza.

Come noto, prima di sollevare questione di legittimità costituzionale, il giudice a quo deve accertare se la norma che egli ritiene di applicare e della cui legittimità dubita, sia indispensabile per la risoluzione del giudizio di merito[4]. Nel caso di specie, tale accertamento difetterebbe. E invero, mentre il rimettente considera la questione in oggetto rilevante - avendo l'imputato riproposto nell'atto di appello l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 87 comma 3 c.p.p. rimasta inascoltata dal giudice dell'udienza preliminare, e permanendo nel giudizio di appello le conseguenze dell'applicazione di quella norma -, per la Consulta non è spiegata l'incidenza che l'accoglimento della questione avrebbe sul giudizio a quo. In particolare, considerato che a seguito dell'estromissione avvenuta nel primo grado di giudizio il responsabile civile non riveste più la qualifica di parte processuale, il rimettente avrebbe dovuto preliminarmente interrogarsi circa l'esistenza di possibili rimedi esperibili avverso l'ordinanza di esclusione dell'obbligato solidale.

Problematica, quest'ultima, da risolvere in negativo se si dovesse estendere alle ordinanze de quibus - come pare - la soluzione fornita in dottrina e in giurisprudenza con riguardo alle ordinanze di esclusione della parte civile: inoppugnabilità in virtù del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione (art. 568 c.p.p.)[5]. Del resto, preclusa apparirebbe anche la strada dell'impugnazione in via differita (art. 586 comma 1 c.p.p.), atteso che chi non è più parte (perché escluso dal processo penale) non è legittimato ad impugnare e che la possibilità di impugnazione congiunta con la sentenza riguarda le sole ordinanze dibattimentali e non anche, come nel caso concreto, quelle emesse in udienza preliminare.         

 

4. La decisione di inammissibilità per difetto di motivazione sulla rilevanza della questione sembra lasciare margine per una sua riproposizione in futuro.

Se si tiene fermo che la logica sottesa all'esclusione ex lege del civilmente responsabile dal processo celebrato nelle forme del rito abbreviato è quella di evitargli il pregiudizio di essere condannato a risarcire il danneggiato in forza di materiale probatorio su cui non ha potuto esercitare il contraddittorio, allora sembra corretto espungere dal sistema processuale tale rigida regola, che risulta scollegata dalla odierna fisionomia di questo procedimento speciale. Ivi, è previsto che possa svolgersi attività di assunzione della prova, rispetto alla quale l'interesse del responsabile civile a interloquire per contrastare le pretese civilistiche della parte civile che partecipi al rito, andrebbe tutelato. La disciplina verrebbe così ricondotta a coerenza: per regola generale, la fuoriuscita del responsabile civile opererebbe nel caso in cui la parte civile desista, cioè non accetti il rito speciale (art. 441 comma 2 c.p.p.), o venga esclusa[6].

Alla prossima occasione, tuttavia, occorrerà che la questione di legittimità dell'art. 87 comma 3 c.p.p. diventi scrutinabile nel merito, ciò che implica un corretto uso dei poteri da parte del giudice a quo: oltre a motivare circa la rilevanza della questione, la dovrà sollevare prima di applicare la norma in esame[7], cioè prima di escludere il responsabile civile.

 


[1] Per giurisprudenza costante, in questo caso l'esclusione opera anche in mancanza di un apposito provvedimento del giudice che la dichiari. Cfr., Cass. pen., sez. II, 10 ottobre 2014, n. 44571; Cass. pen., sez. V, 7 giugno 2011, n. 37370 e Cass. pen., sez. III, 12 ottobre 2011, 5860.

[2] Cfr., per tutti, Pulvirenti, sub art. 87, in Conso-Illuminati, Commentario breve al codice di procedura penale, II ed., Cedam, 2015, p. 280.   

[3] Lo hanno riscontrato, tra gli altri, Amodio, Lineamenti della riforma, in AA.VV., Giudice unico e garanzie difensive, a cura di Amodio-Galantini, Giuffrè, 2001, p. 34 e Illuminati, Il giudizio senza oralità, in AA.VV., Verso la riscoperta di un modello processuale, Giuffrè, 2001, p. 77 ss.

[4] Sul tema, v. Martines, Diritto costituzionale, Giuffrè, 2013, p. 495 s.

[5] Così, Cass. pen., sez. VI., 7 gennaio 2015, 2329; Cass. pen., sez. V, 25 novembre 2014, n. 10111; Cass. pen., sez. VII, 11 ottobre 2012, n. 10880; Cass. pen., sez. I, 8 ottobre 2007, n. 4060; Cass. pen., sez. un., 19 maggio 1999, n. 12.

[6] La presenza del responsabile civile nel processo penale è legata a quella del danneggiato, come emerge dagli artt. 83 comma 6 e 85 comma 4 c.p.p.

[7] Prima, cioè, di «consuma[re] il proprio potere decisorio: con la conseguenza di rendere ininfluente, sotto il profilo della rilevanza, un'eventuale pronuncia di incostituzionalità della norma stessa» (così, Corte cost., ord. 2 luglio 2008, n. 247, cit.)