17 novembre 2016 |
Reato continuato e quantificazione in executivis dell’aumento per i reati satellite: la parola passa alle Sezioni Unite
Nota a Cass., Sez. I, ord. 22 giugno 2016 (dep. 3 agosto 2016), Pres. Vecchio, Rel. Minchella, Ric. Nocerino
1. Con l’ordinanza in esame viene rimessa alle Sezioni unite la questione «se il giudice della esecuzione nella rideterminazione della pena complessiva finale in dipendenza del riconoscimento della continuazione – una volta individuata la violazione più grave e fatto salvo il contenimento del trattamento sanzionatorio entro il limite della somma delle pene inflitte con ciascuna condanna, come stabilito dall’art. 671, comma 2, cod. proc. pen. – possa quantificare l’aumento per un determinato reato satellite in misura superiore all’aumento originariamente applicato per quel reato».
Oggetto di un risalente e mai sopito contrasto giurisprudenziale, il quesito sul quale il Supremo Consesso si pronuncerà il prossimo 24 novembre concerne la latitudine del potere del giudice dell’esecuzione di quantificare, in sede di applicazione della disciplina del reato continuato, l’aumento della pena per i reati satellite. La problematica interseca delicati profili che spaziano dalla ratio dell’istituto di cui all’art. 81 c.p. alla possibilità di rimodulare in peius il giudicato sul trattamento sanzionatorio dei reati minori.
2. In merito ai criteri di rideterminazione in executivis della pena risultante dal riconoscimento della continuazione, le uniche indicazioni dettate dal legislatore sono quelle contenute negli artt. 187 disp. att. c.p.p. e 671, comma 2, c.p.p. La prima delle richiamate norme, nel sancire che deve essere considerata violazione più grave quella per quale è stata inflitta la pena più grave, anche quando per alcuni reati si sia proceduto con il giudizio abbreviato, àncora l’individuazione della pena base da parte del giudice dell’esecuzione alla valutazione effettuata in concreto dal giudice della cognizione. La seconda, stabilendo che il giudice dell’esecuzione determina la pena in misura non superiore alla somma di quelle comminate con ciascuna sentenza o ciascun decreto, garantisce che l’esito finale delle operazioni di calcolo non si sostanzi in un innalzamento del quantum sanzionatorio complessivo rispetto al cumulo materiale delle pene inflitte.
Nessuna disposizione si occupa, invece, della rivisitazione del trattamento sanzionatorio dei singoli reati satellite (già considerati nelle sentenze di condanna ovvero divenuti tali per effetto del riconoscimento della continuazione): pacifico che il giudice dell’esecuzione possa ridurre le pene per essi comminate, ad essere controverso è il potere di determinarne un aumento, sia pure all’interno di una cornice complessiva rispettosa del limite di cui all’art. 671, comma 2, c.p.p.
3. Nel silenzio normativo, si sono sviluppati due indirizzi interpretativi del tutto contrapposti. Un primo orientamento ritiene che, pur in mancanza di un’esplicita previsione, il giudice dell’esecuzione non possa rettificare in aumento le pene inflitte per le singole fattispecie criminose[1]. Ad essere precluso sarebbe, pertanto, non solo l’incremento della pena complessiva, ma anche quello delle pene irrogate per ciascun reato satellite nelle rispettive condanne. A sostegno di tale conclusione si richiamano la natura della continuazione e l’esigenza di impedire interventi manipolativi post rem iudicatam sfavorevoli al condannato: al cospetto di un istituto improntato al favor rei, il superamento del giudicato sulla misura di pena irrogata dal giudice della cognizione si giustificherebbe «soltanto a vantaggio, e non in pregiudizio, del condannato»[2]. Quest’ultimo, in definitiva, sarebbe titolare di una «legittima aspettativa» all’intangibilità, in senso peggiorativo, del giudicato formatosi sul trattamento sanzionatorio inflitto[3]. Il divieto di reformatio in peius, essendo un principio generale del sistema, esplicherebbe, in tal modo, la sua portata anche nella fase esecutiva[4].
Agli antipodi di tale ricostruzione si colloca un secondo orientamento secondo cui il giudice, una volta individuata la violazione più grave, può quantificare l’aumento per ogni reato satellite anche in misura superiore alla pena originariamente inflitta per quel reato, sempre che non venga superata la somma delle pene comminate con ciascuna sentenza o decreto[5]. L’assenza di disposizioni in punto di quantificazione della pena per i reati minori sarebbe espressiva della volontà del legislatore di circoscrivere il limite dell’aumento solo al risultato sanzionatorio finale, con la conseguenza che, viceversa, nessun vincolo sussisterebbe in relazione alla determinazione delle pene delle fattispecie satellite[6]. Nell’escludere che possa trovare applicazione nei casi de quibus il divieto di reformatio in peius, si evidenzia che la possibilità di travolgere le statuizioni sanzionatorie del giudice della cognizione in merito ai reati meno gravi rientri pienamente nell’ampiezza dei poteri riconosciuti al giudice dell’esecuzione, il quale, nel rideterminare la pena, «ha riguardo ad una situazione complessiva, solo parzialmente nota e frammentariamente valutata dai giudici della cognizione» [7].
4. L’ordinanza che qui si segnala esprime piena e incondizionata adesione a quest’ultimo indirizzo interpretativo, sottolineando come gli elementi posti a fondamento della conclusione sposata siano corroborati da recenti arresti giurisprudenziali su tematiche limitrofe a quella oggetto di esame.
In quest’ottica, a sostegno dell’inoperatività del divieto di reformatio in peius in ordine alla rideterminazione in executivis degli aumenti per i reati satellite, vengono richiamate, ritenendole estensibili al caso de quo, le conclusioni delle Sezioni unite del 2014, secondo cui, allorché nel giudizio di impugnazione risulti mutata «la struttura del reato continuato», il divieto di cui all’art. 597, comma 3, c.p.p. non è violato se il giudice del gravame «apporta per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore»[8]. Il riconoscimento, ai sensi dell’art. 671 c.p.p., del vincolo tra una pluralità di reati oggetto di distinte sentenze implicherebbe ex se quella “ristrutturazione” della continuazione che sterilizza, in base all’impostazione delle Sezioni unite, il divieto di reformatio in peius.
L’ampio potere di rimodulare il trattamento sanzionatorio in executivis troverebbe conferma, inoltre, nell’evoluzione giurisprudenziale che ha valorizzato e ulteriormente incrementato le prerogative quoad poenam del giudice dell’esecuzione: il riferimento è alle Sezioni unite Gatto che, come noto, si inquadrano nel novero delle pronunce mediante cui la Corte di cassazione ha attribuito al giudice dell’esecuzione il compito di rideterminare la c.d. pena illegittima[9], anche là dove l’intervento manipolativo sulle statuizioni sanzionatorie (applicate sulla base di norme dichiarate costituzionalmente illegittime) implichi l’esercizio di poteri valutativi.
Alla luce di tali rilievi, l’ordinanza in esame conclude nel senso che il giudice dell’esecuzione sia «certamente abilitato» ad operare gli aumenti rispetto alle pene originariamente comminate per i reati satellite, senza che ciò determini «alcuna indebita lesione della cosa giudicata». La consapevolezza, peraltro, dell’esistenza del contrario indirizzo esegetico – sostenuto anche da recenti decisioni del giudice di legittimità – ha indotto opportunamente la Prima Sezione a rimettere la questione alle Sezioni unite, al fine di dirimere il perdurante e attuale contrasto giurisprudenziale.
5. In attesa della pronuncia delle Sezioni unite, non possono sottacersi alcune perplessità suscitate dalla conclusione e dalle argomentazioni sostenute dalla Sezione rimettente.
Un primo ordine di riserve riguarda il richiamato approdo cui sono giunte le Sezioni unite del 2014, in tema di divieto di reformatio in peius e reato continuato, e la vis persuasiva che tale precedente può esercitare in relazione alla questione in esame. In quell’occasione, il Supremo Collegio ha di fatto sconfessato – riducendone la portata alla sola residuale ipotesi in cui il giudice del gravame o del rinvio sia chiamato a giudicare della medesima sequenza di reati avvinti dalla continuazione – la più convincente soluzione adottata circa dieci anni prima dalle Sezioni unite William Morales, secondo cui «nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione»[10]. Aspramente criticato dalla dottrina[11], il revirement del 2014 – che si pone à côté di un’altra discutibile coeva pronuncia delle Sezioni unite in materia di divieto di reformatio in peius e circostanze del reato[12] – ha fornito una conclusione che, oltre a svilire la ratio sottesa all’istituto della continuazione, appare distonica rispetto alle previsioni di cui all’art. 597, commi 3 e 4, c.p.p. e al favor rei – nella forma del favor impugnationis – al quale esse sono indubbiamente votate[13].
Già opinabile in relazione al contesto in cui è stato formulato, l’assunto delle Sezioni unite genera ulteriori perplessità con riferimento alle dinamiche applicative della continuazione in fase esecutiva, poiché in tale ambito il potere di quantificare in aumento le pene inflitte per i reati satellite si traduce in un superamento in malam partem di trattamenti sanzionatori irrevocabili[14]. In sostanza, la problematica affrontata dalle Sezioni unite in tema di divieto di reformatio in peius e reato continuato si intreccia, nella vicenda de qua, con quella della possibilità di incidere, in senso peggiorativo, sul giudicato formatosi sulle pene comminate per i reati minori.
In proposito, l’esistenza di un simile potere non potrebbe essere sostenuta invocando l’estensione delle prerogative del giudice dell’esecuzione e l’erosione del giudicato sul trattamento sanzionatorio, così come declinate dalla giurisprudenza delle Sezioni unite in materia di rideterminazione della pena illegittima. Le condivisibili acquisizioni giurisprudenziali sul tema – che certamente hanno accentuato e valorizzato (come si afferma nell’ordinanza in esame) l’ampiezza dei poteri cognitivi del giudice dell’esecuzione –, si collocano entro coordinate sistematiche ben definite e dichiaratamente preordinate a tutelare i diritti e la posizione del condannato.
Anzitutto, nel riconoscere il potere/dovere del giudice dell’esecuzione di ricondurre ad una dimensione legittima le pene irrevocabili inflitte sulla base di norme dichiarate costituzionalmente illegittime, le Sezioni unite sono partite dalla duplice premessa della perdurante istanza di legalità della pena in fase esecutiva e del carattere recessivo del giudicato «di fronte ad evidenti e pregnanti compromissioni in atto di diritti fondamentali della persona»[15]. Inoltre, in tali pronunce è stato chiarito che il compito di incidere sul giudicato ai fini indicati e le ampie prerogative ad esso connesse – comprensive all’occorrenza anche di poteri valutativi – sono esercitabili dal giudice dell’esecuzione «esclusivamente in favorem rei»[16]. L’esplicito riconoscimento che «il “giudicato sulla pena” è permeabile ad eventuali modifiche del trattamento sanzionatorio, purché in bonam partem»[17], rafforza l’idea che, al di là e nei limiti delle ipotesi in cui è lo stesso legislatore a consentire espressamente un intervento in malam partem sul trattamento sanzionatorio (v. art. 674 c.p.p.)[18], non possono residuare spazi per rivisitare il giudicato sulla pena in una prospettiva diversa da quella favorevole al reo.
In questo scenario, la rimodulazione in peius delle pene comminate per i reati satellite dovrebbe essere considerata una prerogativa inibita al giudice dell’esecuzione: oltre a costituire di per sé un superamento, in senso peggiorativo, del giudicato formatosi sulle singole condanne, essa avrebbe al contempo l’effetto di mitigare la portata di un istituto marcatamente favorevole al reo. Ed invero, per quanto il condannato, a fronte della previsione dell’art. 671, comma 2, c.p.p., sia tutelato dal rischio di un trattamento sanzionatorio finale più gravoso di quello risultante dal cumulo materiale, ciò non toglie che la possibilità di aumentare le pene inflitte per i singoli reati minori, consentendo di fatto un restringimento dello sconto di pena ricollegato all’accertamento del vincolo di cui all’art. 81 c.p., risulti idonea – come ha rilevato, nel caso di specie, la difesa del condannato – a limitare surrettiziamente i vantaggi derivanti dalla riconosciuta continuazione.
[1] Cass., Sez. I, 21/12/2015, n. 3276, Di Girolamo, in C.e.d. n. 265909; Cass., Sez. I, 18/06/2014, n. 44240, Palaia, in C.e.d. n. 260847; Cass., Sez. I, 24/02/1998, n. 1138, Greco, in C.e.d. n. 210247; Cass., Sez. I, 29/09/1997, n. 5336 Giugliano, in C.e.d. n. 208592; Cass., Sez. I, 31/05/1996, n. 3745, Pistone, in C.e.d. n. 205341; Cass., Sez. I, 13/01/1992, n. 72, Frigato, in C.e.d. n. 189142. In dottrina v. F. Corbi, F. Nuzzo, Guida pratica all’esecuzione penale, Giappichelli, 2003, p. 254.
[2] Cfr. Cass., Sez. I, 18/06/2014, n. 44240, Palaia, cit.; negli stessi termini v. Cass., Sez. I, 24/02/1998, n. 1138, Greco, cit.; Cass., Sez. I, 31/05/1996, n. 3745, Pistone, cit.
[3] Così Cass., Sez. I, 18/06/2014, n. 44240, Palaia, cit.
[4] Cfr. R. Cantone, Esiste ancora “il giudicato” sulla pena?, in Giur. merito, 1998, p. 988; G. Varraso, Il reato continuato. Tra processo ed esecuzione penale, Cedam, 2003, p. 386.
[5] Cass., Sez. III, 29/04/2015, n. 23949, Susto, in C.e.d. n. 263848; Cass., Sez. I, 17/01/2011, n. 5832, Razzaq, in C.e.d. n. 249397; Cass., Sez. I, 09/12/2009, n. 48833, Galfano, in C.e.d. n. 245889; Cass., Sez. I, 06/03/2008, n. 12704, D’Angelo, in C.e.d. n. 239376; Cass., Sez. I, 08/06/2006, n. 31429, Serio, in C.e.d. n. 234887; Cass., Sez. I, 25/02/2003, n. 32277, Mazza, in C.e.d. n. 225742; Cass., Sez. I, 06/07/2000, n. 4862, Basile, in C.e.d. n. 216752; Cass., Sez. I, 22/10/1999, n. 5826, Buonanno, in C.e.d. n. 214839; Cass., Sez. I, 26/02/1997, n. 1663 Spinelli, in C.e.d. n. 207692; Cass., Sez. I, 08/05/1995, n. 2772, Cannavò, in C.e.d. n. 202085. In senso adesivo v. E. Gazzaniga, Sui poteri del giudice dell’esecuzione in tema di computo della pena per il reato continuato, in Cass. pen., 1996, p. 336; D. Vigoni, Relatività del giudicato ed esecuzione della pena detentiva, Giuffrè, 2009, p. 246, la quale, dopo aver sottolineato la rilevanza e la delicatezza dei profili sottesi alla questione, osserva che «proprio l’assenza di precise indicazioni contrarie sul piano legislativo … potrebbe favorire l’opzione interpretativa diretta a consentire che, ai fini della reale praticabilità dell’adattamento sanzionatorio, il giudice dell’esecuzione non debba risentire dei limiti connaturali all’orizzonte parziale derivante dai processi separati». Sono state espresse perplessità, invece, da F. Caprioli, G. Vicoli, Procedura penale dell’esecuzione, 2ª ed., Giappichelli, 2011, p. 279, secondo cui si tratta di un orientamento giurisprudenziale discutibile, e G. Varraso, Il reato continuato, cit., p. 386, il quale osserva che «questo indirizzo omette di considerare, peraltro, che in questo modo si opera una reformatio in peius».
[6] Secondo Cass., Sez. I, 26/02/1997, n. 1663, Spinelli, cit. sarebbe irrilevante anche la qualità della pena relativa ai reati satelliti.
[7] Così Cass., Sez. I, 08/06/2006, n. 31429, Serio, cit.
[8] Cass., Sez. Un., 27/03/2014, n. 16208, C., in C.e.d. n. 258653.
[9] V. Cass., Sez. Un., 24/10/2013, Ercolano, n. 18821, in C.e.d. n. 258649 e Cass., Sez. Un., 29/05/2014, Gatto, n. 42858, in C.e.d. n. 260697, sulla cui scia si sono poste, con riferimento alla rideterminazione in executivis della pena illegittima in materia di stupefacenti (a seguito di Corte Cost., 25/2/2014, n. 32), Cass., Sez. Un., 26/02/2015, n. 37107, Marcon, in C.e.d. n. 264858; Cass., Sez. Un., 26/02/2015, n. 22471, Sebbar, in Dir. pen. proc., 2015, p. 830; Cass., Sez. Un., 26/02/2015, Jazouli, n. 33040, in C.e.d. n. 264205. Gli assunti giurisprudenziali sulla pena illegittima hanno dato nuova linfa alla tematica del potere di intervento del giudice dell’esecuzione sulla pena illegale: v., in proposito, Cass., Sez. Un., 27/11/2014, n. 6240, B., in C.e.d. n. 262327, con riferimento alla pena accessoria extra o contra legem.
[10] Cass., Sez. Un., 27/9/2005, n. 40910, William Morales, in C.e.d. n. 232066.
[11] Cfr. A. Famiglietti, Un nuovo contrasto in materia di divieto di reformatio in peius, in Proc. pen. giust., 2014, f. 8, p. 77; L. Ludovici, Le Sezioni unite sui rapporti tra divieto della reformatio in peius e reato continuato, in Cass. pen., 2014, p. 2854; G. Spangher, Un’altra violazione del divieto di reformatio in peius (… e non solo), in Giur. it., 2014, p. 1224. A favore della soluzione contraria a quella accolta dalle Sezioni unite v., altresì, H. Belluta, L’odissea del divieto di reformatio in peius: la parola torna alle Sezioni Unite, in questa Rivista, 3 luglio 2013.
[12] Cass., Sez. Un., 18/04/2013, n. 33752, Papola, in C.e.d. n. 255660.
[13] Che il combinato disposto di tali norme mirasse a potenziare la portata del divieto in parola è confermato dalla Relazione preliminare al codice del 1988, in cui si afferma che, con l’introduzione del comma 4, il legislatore ha inteso «rafforzare il divieto della reformatio in peius»: l’obiettivo era quello di sconfessare gli orientamenti giurisprudenziali che, durante la vigenza del codice di rito del 1930, ne avevano vanificato la valenza, ritenendo che il giudice dell’impugnazione potesse confermare la pena complessiva, nonostante l’accoglimento dell’appello dell’imputato circa il riconoscimento di circostanze attenuanti o l’eliminazione di circostanze aggravanti o di reati concorrenti. A tal fine, il comma 4 – nel completare e integrare il divieto del comma 3 di irrogare una pena più grave per specie e quantità – stabilisce che nel caso di accoglimento dell’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati per la continuazione, la pena complessiva irrogata è corrispondentemente diminuita; formulazione, questa, finalizzata proprio a inibire la possibilità di “compensare”, mediante gli aumenti degli altri singoli elementi del trattamento sanzionatorio applicato dal giudice a quo, la riduzione derivante dall’accoglimento del gravame dell’imputato. Inoltre, come è stato chiarito da Cass., Sez. Un., 12/05/1995, n. 5978, Pellizzoni, in Cass. pen., 1995, p. 3329, l’incipit del comma 4 (“in ogni caso”) indica che il dovere di diminuire la pena complessivamente irrogata in misura corrispondente all’accoglimento dell’impugnazione sussiste «anche quando, oltre all’imputato, sia appellante il pubblico ministero, il cui gravame può avere effetti di aumento sugli elementi della pena ai quali si riferisce, ma non impedire le diminuzioni corrispondenti all’accoglimento dei motivi dell’imputato». La lettera della norma non supporta, invece, la pretesa differenziazione tra l’ipotesi in cui il giudice si pronunci sulla stessa sequenza di reati avvinti dal cumulo giuridico e quella in cui si verifichi un mutamento della struttura della continuazione, alla quale le Sezioni unite del 2014 si rifanno per escludere che nella seconda eventualità sia vietato al giudice dell’impugnazione di apportare per uno dei reati in continuazione un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, fermo restando il limite di non infliggere una pena complessivamente superiore.
[14] Le stesse considerazioni sono destinate a valere, naturalmente, là dove sia il giudice della cognizione – investito dell’accertamento in ordine al reato più grave – a dover rideterminare la pena ex art. 81 c.p. per i reati satellite già giudicati con distinti provvedimenti divenuti irrevocabili.
[15] Così Cass., Sez. Un., 24/10/2013, Ercolano, n. 18821, cit., sulla scia di Corte Cost., 18/07/2013, n. 210.
[16] Cfr. P. Troisi, La revoca in executivis della sospensione condizionale illegittimamente concessa, in Arch. pen., 2016, n. 2, p. 9-10.
[17] Cass., Sez. Un., 26/02/2015, n. 37107, Marcon, cit.
[18] Tale norma contempla i casi di revoca di determinati benefici: si tratta di ipotesi di revoca di diritto, salva quella - pertanto più problematica e discutibile - di cui all’art. 674, comma 1 bis, c.p.p.; in proposito v. P. Troisi, La revoca in executivis della sospensione condizionale, cit., p. 10 ss. Ulteriore intervento peggiorativo, ma comunque meramente ricognitivo di una situazione che opera di diritto, è quello di cui all’art. 183 disp. att. c.p.p. in tema di pene accessorie.