9 ottobre 2018 |
Le motivazioni delle Sezioni Unite in tema di continuazione tra reati puniti con pene eterogenee
Cass., Sez. Un., sent. 21 giugno 2018 (dep. 24 settembre 2018), n. 40983, Pres. Carcano, Rel. Lapalorcia, imp. Giglia
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1. Con la sentenza in epigrafe le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto in materia di continuazione: “la continuazione, quale istituto di carattere generale, è applicabile in ogni caso in cui più reati siano stati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso, anche quando si tratta di reati appartenenti a diverse categorie e puniti con pene eterogenee.Nei casi di reati puniti con pene eterogenee (detentive e pecuniarie) posti in continuazione, l’aumento di pena per il reato satellite va comunque effettuato secondo il criterio della pena unitaria progressiva per moltiplicazione, rispettando tuttavia, per il principio di legalità della pena e del favor rei, il genere della pena previsto per il reato satellite, nel senso che l’aumento della pena detentiva del reato più grave andrà ragguagliato a pena pecuniaria ai sensi dell’art. 135 cod. pen.”
Come i nostri lettori ricorderanno, il quesito[1] rivolto al massimo collegio riguardava due aspetti di notevole importanza pratica relativi alla disciplina della continuazione tra reati, concernenti in particolare la possibilità di ammettere l’istituto di cui all’art. 81 cpv. c.p. quando i reati commessi siano sanzionati con pene diverse per genere (pene detentive e pene pecuniarie) o per specie (reclusione/multa ed arresto/ammenda) e, in tali casi, quale criterio il giudice debba seguire per applicare lo speciale criterio di determinazione della pena del cumulogiuridico. Occorre subito segnalare che la questione sollevata, nonostante la mancanza di un espresso richiamo in sentenza, interessa anche l’istituto del concorso formale di reati, che condivide con la continuazione proprio il ricorso al criterio del cumulo giuridico.
2. Procediamo per ordine. In relazione al primo versante, le Sezioni Unite osservano che già il dato testuale dell’art. 81 c.p. chiarisce in modo inequivoco che la continuazione tra reati costituisce un istituto di carattere generale, applicabile – in assenza di espresse eccezioni – anche a categorie diverse di reati (delitti/contravvenzioni) ed a prescindere dal genere e dalla specie di pena per essi prevista. In questo senso depone anche la ratio dell’art. 81 c.p. che coincide con il riservare un trattamento sanzionatorio più mite al soggetto che ‘cede ai motivi a delinquere una sola volta’ e cioè soltanto nel momento in cui concepisce l’unitario disegno criminoso.
3. Più complesse le considerazioni in merito alle modalità di determinazione del trattamento sanzionatorio nel caso di divergenza tra le pene previste per la violazione più grave e quelle che il legislatore commina per i cd. reati satellite. In tali situazioni, l’esigenza sullo sfondo è quella di “contemperare…il riconoscimento della continuazione con il rispetto del principio di legalità nella determinazione della pena, integrato dal favor rei”.
In via preliminare, le Sezioni Unite ritengono di dover superare la tesi – accolta dalla prevalente giurisprudenza e dalle Sezioni Unite Ciabotti[2] – secondo cui l’aumento per la continuazione postula l’omologazione delle pene previste per i reati satellite a quella comminata per la violazione principale e l’assunto in base al quale soltanto questa modalità di determinazione della pena sarebbe conforme al principio di legalità.
Sulla scorta di quanto già sostenuto da parte della dottrina, la Corte di Cassazione osserva anzitutto che il concetto di “aumento” ai sensi della continuazione non richiede necessariamente che esso sia realizzato attraverso una porzione di pena omogenea, ma soltanto attraverso una integrazione della pena stabilita per la violazione principale.
In secondo luogo, viene messe in risalto che l’art. 81 co. 3 c.p., nello stabilire che la pena per la continuazione non può essere superiore alla pena che sarebbe applicabile in caso di concorso materiale di reati, sancisce un limite di carattere quantitativo e qualitativo, sicché la disposizione risulterebbe inevitabilmente violata nel caso di trasformazione della pena pecuniaria prevista per il reato satellite in una quota di pena detentiva da infliggere in aumento alla pena stabilita per il reato più grave.
A ciò si aggiunge la disposizione di cui all’art. 76 ult. co. c.p., il quale prescrive che le pene detentive e quelle pecuniarie restano distinte ad ogni effetto giuridico.
Da ultimo, le Sezioni Unite rilevano che l’eventuale omologazione delle pene pecuniarie alla pena detentiva lederebbe il principio di proporzionalità della pena, che proprio attraverso l’indicazione di pene di diversa natura, sanziona la maggiore o minore gravità del reato.
4. Escluso, dunque, che la soluzione della omologazione sia l’unica possibile, la Corte di legittimità si sforza di affermare in termini positivi quale debba essere il criterio di determinazione della pena in caso di diversità di sanzioni.
Sul punto sono astrattamente ipotizzabili due soluzioni: la regola del cumulo giuridico per addizione, sostenuta dalla pressoché unanime dottrina, in base a cui l’aumento della pena deve essere effettuato aggiungendo una quota dello stesso tipo di sanzione previsto per il reato satellite e il cumulo per moltiplicazione, fatto proprio dalla dominante giurisprudenza, in base a cui occorre aumentare la pena base inflitta per la violazione più grave.
Le Sezioni Unite accolgono infine questo ultimo criterio di determinazione della pena, che considerano più conforme alla “previsione, anche testuale, dell’art. 81 cod. pen., oltre che [alla] struttura unitaria, quod poenam, del reato continuato”, precisando tuttavia – in virtù delle considerazioni sopra esposte – che esso deve in ogni caso rispettare il genere della pena prevista per il reato satellite.
Per raggiungere tale risultato, le Sezioni Unite affermano che l’aumento conseguente alla continuazione deve essere effettuato seguendo un giudizio bifasico: in coerenza con l’accoglimento del criterio della moltiplicazione, il giudice deve anzitutto procedere a determinare l’aumento della pena prevista per la violazione più grave e, (solo) in un secondo momento, considerato che la legge non richiede necessariamente che la sanzione sia assimilata a quella del reato più grave, deve ragguagliare la quota dell’aumento di pena detentiva nel genere della pena pecuniaria prevista per il reato satellite, secondo i criteri di cui all’art. 135 c.p.
Questa regola di carattere generale va poi integrata dalla disposizione di cui all’art. 76 co. 2 prima parte c.p., secondo cui “le pene di specie diversa concorrenti a norma degli articoli 74 e 75 si considerano egualmente, per ogni effetto giuridico, come pena unica della specie più grave”.
Da tale disposizione discende, osservano le Sezioni Unite, che in caso di concorso tra reati puniti con pene dello stesso genere (detentiva e pecuniaria), ma di diversa specie (reclusione-arresto/multa-ammenda), l’aumento per la continuazione comporta che la pena prevista dal reato satellite diventi omogenea a quella prevista per il reato più grave. Laddove invece la violazione più grave sia punita con la reclusione ed i reati satellite con una pena pecuniaria, l’aumento di pena all’esito del ragguaglio sarà in ogni caso la pena della multa, a prescindere dal fatto che la pena comminata per i reati satellite sia l’ammenda o la multa.
5. Da ultimo, con l’evidente intento di fornire un aiuto per la determinazione della pena in caso di continuazione, le Sezioni Unite offrono un quadro delle principali ipotesi che si possono presentare nella pratica, indicando per ciascuno le modalità di determinazione della pena da infliggere. Conviene qui riportarli fedelmente:
I. se il reato più grave è punito con penadetentiva ed i reati satellite esclusivamente con pena pecuniaria, l’aumento di pena effettuato (dapprima) sulla violazione più grave deve essere ragguagliato a pena pecuniaria ex art. 135 c.p.;
II. se il reato più grave è punito con penadetentiva ed i reati satellite con pena congiunta, l’aumento di pena si effettua con pena detentiva della specie di quella prevista per la violazione più grave;
III. se il reato più grave è punito con pena congiunta ed i reati satellite esclusivamente con pena pecuniaria, l’aumento si effettua (dapprima) su entrambe le pene comminate per la violazione più grave. L’aumento sulla pena detentiva deve poi essere ragguagliato a pena pecuniaria ex art. 135 c.p.;
IV. se il reato più grave è punito con pena congiunta ed i reati satellite con pena alternativa, il giudice può operare l’aumento su una soltanto delle pene previste per la violazione più grave, motivando la sua scelta secondo i criteri ex art. 133 c.p.;
V. se il reato più grave è punito con pena congiunta ed i reati satellite con pena detentiva, si aumentano entrambe le pene previste per la violazione più grave;
VI. se il reato più grave è punito con pena alternativa ed i reati satellite con pena pecuniaria, il giudice aumenta una soltanto delle pene previste per la violazione più grave, motivando la sua scelta secondo i criteri ex art. 133 c.p. In caso di aumento della pena detentiva, deve poi procedere al ragguaglio a pena pecuniari ex art. 135 c.p.
VII. se il reato più grave è un delitto punito esclusivamente con la multa e quello satellite una contravvenzione punita con pena congiunta, o alternativa, si aumenta soltanto la pena pecuniaria nella forma della multa.
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6. Riservando ad altre sedi un più meditato commento, vorrei qui riprendere alcuni snodi fondamentali della sentenza in esame.
Appariva, per la verità, piuttosto scontata la soluzione relativa all’ammissibilità della continuazione tra reati puniti con sanzioni eterogenee. Come osservano le stesse Sezioni Unite, in materia non vi era un contrasto effettivo in seno alla giurisprudenza di legittimità. La tesi più restrittiva accolta da alcune pronunce giungeva infatti ad escludere la continuazione al solo scopo di scongiurare l’irrogazione al reo di una quota di pena detentiva invece della pena pecuniaria originariamente prevista per il reato satellite, tentando di eliminare a monte (ammissibilità della continuazione) un problema che si poneva a valle (determinazione del trattamento sanzionatorio). La Cassazione ha il merito di ribadire che il dato testuale dell’art. 81 c.p. non lascia spazio ad alcuno dubbio: la continuazione è un istituto di applicazione generale, pacificamente applicabile a qualunque categoria di reato ed a prescindere dal trattamento sanzionatorio previsto.
7. Il vero nodo della questione riguardava invece le regole di determinazione della pena in caso di continuazione. Sul punto la Corte afferma alcuni fondamentali principi:
I. il criterio della moltiplicazione della pena va concettualmente distinto dalla tesi della omologazione/assimilazione, che richiede l’omologazione degli aumenti di pena al genere e alla specie della pena comminata per la violazione più grave;
II. la tesi della omologazione/assimilazione contrasta con il principio del favor rei;
III. il principio di legalità comporta che il criterio della moltiplicazione sia preferito a quello dell’addizione;
IV. l’art. 76 co. 2 c.p. prevede che le pene di specie diversa si considerano egualmente “per ogni effetto giuridico” e trova applicazione anche laddove le pene siano di genere diverso.
Presupposto implicito dell’impianto motivazionale della sentenza è la considerazione per cui la determinazione della pena secondo il criterio della moltiplicazione, ossia attraverso la moltiplicazione della pena base inflitta per la violazione più grave, non implica necessariamente che lapena finale debba essere di un unico genere. Un conto è muovere nella determinazione della pena dalla moltiplicazione della pena prevista per il reato più grave, altro conto è infliggere una sanzione finale dello stesso genere.
Posta questa distinzione, pienamente condivisibili sono le censure che la Corte rivolge alla tesi della assimilazione/omologazione.
La disciplina del reato continuato prescrive l’imposizione di una pena complessiva, ma non di una pena unificata nel genere. Inoltre, il criterio della assimilazione finisce per condurre all’inflizione di una pena contra legem, dal momento che la pena finale irrogata sarà deteriore – sotto il profilo qualitativo – a quella che sarebbe applicabile in caso di concorso materiale di reati
Ancora, osservano acutamente le Sezioni Unite, l’imposizione di una pena “omologata” si pone in contrasto con il principio di proporzionalità della pena e con la scelta del legislatore di ricorrere a sanzioni pecuniarie e non di tipo detentivo.
Di notevole interesse è poi la scelta di accogliere il criterio della cd. moltiplicazione della pena anziché quello della cd. addizione.
Come ben noto, la moltiplicazione consiste nel procedere all’aumento exart. 81 c.p. attraverso la moltiplicazione della pena base per un fattore inferiore a tre[3] (atteso il limite di cui all’art. 81 co. 3 c.p. “è punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo”), mentre l’addizione comporta che l’aumento sia determinato attraverso la somma di un quantum di pena per ciascuno dei reati satelliti, utilizzando i criteri di cui all’art. 135 c.p. in chiave di verifica dei limiti massimi previsti dall’art. 81 c.p.
Come anticipato, la preferenza per il criterio della moltiplicazione viene motivata dalla Corte di legittimità alla luce del principio di legalità della pena. Nel solco dei precedenti costituzionali e di numerose pronunce di legittimità le Sezioni Unite affermano infatti che, in caso di continuazione tra reati, il principio di legalità della pena viene garantito dall’operare di un autonomo meccanismo di determinazione della pena – quello delineato dall’art. 81 c.p. – diverso dal trattamento sanzionatorio originariamente previsto per i reati satellite, che invece – usando la terminologia della giurisprudenza tradizionale[4] – “non esplica più alcuna efficacia”.
Dal punto di vista della commisurazione della pena, l’accoglimento della tesi della moltiplicazione comporta che il giudice debba determinare l’aumento di pena direttamente sulla pena base determinata per la violazione più grave, conservandone il genere e la specie. In un secondo passaggio, gli aumenti di pena vengono ragguagliati ex art. 135 c.p. al genere di pena stabilito dal legislatore per i reati satellite, i quali riacquistano, in ragione del principio del favor rei, una parziale incidenza sulla irrogazione del trattamento sanzionatorio finale.
L’esito è dunque quello di un sistema di determinazione della pena che ruota intorno alla cornice edittale della continuazione (violazione più grave aumentata fino al triplo) piuttosto che sui singoli reati satellite avvinti dall’unico disegno criminoso.
8. Pur essendo del tutto soddisfacente il risultato finale, consistente nell’imporre al reo una pena dello stesso genere di quella originariamente prevista per ciascuna delle violazioni in continuazione, la scelta delle Sezioni Unite di percorrere la “strada” della moltiplicazione anziché quella “addizione” si presta a qualche criticità.
Merita anzitutto segnalare che il criterio della moltiplicazione non si concilia perfettamente con quegli indirizzi della giurisprudenza di legittimità che valorizzano l’autonomia dei singoli reati oggetto della continuazione e che sottolineano l’importanza di individuare la misura dell’aumento di pena inflitto per ciascun reato satellite. È sufficiente qui richiamare l’orientamento costante della giurisprudenza in materia di circostanze del reato, in base al quale, gli aumenti e le diminuzioni della pena derivanti dalla configurabilità di una circostanza devono essere determinati sulla pena base prevista per la violazione più grave soltanto se la circostanza acceda al reato più grave, se invece accede ad un reato satellite, la circostanza incide sul quantum di pena da aggiungere in aumento per il reato cui si riferisce[5]. Un simile esempio può essere tratto dalla giurisprudenza in tema di indulto[6], secondo cui detta causa di estinzione della pena va applicata ad ogni singolo reato oggetto del medesimo disegno, con la conseguenza che, nel caso in cui a beneficiare dell’indulto siano i reati satellite, esso riguarda la porzione di pena aggiunta in aumento alla pena base prevista per la violazione più grave. Questi orientamenti giurisprudenziali documentano la crescente importanza di individuare (e motivare) in fase di commisurazione del trattamento sanzionatorio la misura dell’aumento di pena da infliggere in relazione a ciascun reato, in modo da permettere lo scioglimento del cumulo giuridico ogni volta in cui ciò sia richiesto per l’applicazione di determinati effetti previsti dalla legge. Ci pare che, sotto questo profilo, il diverso criterio dell’addizione sarebbe stato foriero di risultati pratici migliori[7].
Senza contare che, seguendo il giudizio bifasico accolto dalla sentenza, il giudice sarà tenuto a “misurare” la gravità di un reato punito originariamente con pena pecuniaria in chiave di “aumento” di pena detentiva, salvo poi convertire con i criteri di cui all’art. 135 c.p. tale aumento nella forma della pena pecuniaria! Tale tortuoso percorso di determinazione del trattamento sanzionatorio desta più di una perplessità. Da un lato, ci si chiede che se non fosse più conforme al principio di legalità un meccanismo di determinazione del trattamento sanzionatorio che muovesse fin dall’inizio dal genere di pena stabilito dal legislatore per il reato satellite, dall’altro lato, pone l’interrogativo di quali siano i criteri di commisurazione della pena applicabili, se il solo art. 133 c.p. (dal momento che l’aumento della pena è anzitutto calcolato come frazione di pena detentiva) o se ad esso vada affiancato l’art. 133-bis c.p. (posto che la frazione finale irrogabile avrà natura di pena pecuniaria).
[1] Per i contenuti dell’ordinanza di rimessione ci sia consentito rinviare a R. Bertolesi, Alle Sezioni Unite la questione sull’ammissibilità della continuazione tra reati punite con pene eterogenee, in questa Rivista, fasc. 5/2018, p. 337 ss.
[2] SS. UU., sent. 28 febbraio 2013 (dep.13 giugno 2013), n. 25939, Ciabotti, in Banca dati DeJure.
[3] Così G. Gualtieri, art. 81 c.p., in Codice penale commentato (diretto da E. Dolcini-G. Gatta), 2015, p. 1528.
[4] Cfr. ex multiis SS. UU., sent. 28 febbraio 2013, Ciabotti cit., SS. UU., sent. 26 novembre 1997 (dep. 3 febbraio 1998), n. 15, Varnelli, in Banca dati DeJure.
[5] Cfr. ex multiis Cass. pen., Sez. I, 13 febbraio 2018, n. 13369; Cass. pen., Sez. II, 8 febbraio 2018, n. 9351, in Bancadati DeJure.
[6] Cfr. Cass. SS.UU., 23 aprile 2009, n. 21501, Astone, in Bancadati DeJure.
[7] Per considerazioni analoghe, cfr. M. Romano, Commentario sistematico del codice penale (art. 1-84), 2004, p. 756; G. Gualtieri, art. 81 c.p., cit., p. 1528.