ISSN 2039-1676


02 dicembre 2016 |

Avocazione delle indagini ad opera della Procura Generale presso la Corte di Appello: spazio all’ipotesi di c.d. inerzia funzionale da parte del Pubblico Ministero

Decreto della Procura Generale presso la Corte di Cassazione, 11 ottobre 2016

Per leggere il testo del decreto della Procura Generale presso la Corte di Cassazione del 16 dicembre 2015, clicca qui.

Per leggere il testo del decreto di avocazione delle indagini emesso dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello il 12 settembre 2016, clicca qui.

Per leggere il testo del decreto della Procura Generale presso la Corte di Cassazione dell'11 ottobre 2016, in questa sede commentato, clicca qui.

 

1. I passaggi che scandiscono la vicenda oggetto del provvedimento che si segnala raccontano di un vivace confronto tra la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano e la Procura Generale presso la competente Corte di Appello, teso ad ottenere la titolarità delle indagini relative ad un delicato caso di colpa medica.

Questi gli snodi processuali salienti: all’esito di un percorso investigativo svolto dal Sostituto Procuratore territorialmente competente, quest’ultimo si risolve ad avanzare richiesta di archiviazione al G.I.P. in ordine al presunto reato di omicidio colposo, ipotizzato a carico di alcuni membri del personale sanitario coinvolti in un parto conclusosi con il decesso del neonato.

Le persone offese, ricevutane notizia, propongono opposizione all’archiviazione, determinando la fissazione dell’udienza ex art. 410 c. 3 c.p.p. con l’inoltro del prescritto avviso al Procuratore Generale ai sensi dell’art. 409 c. 3 c.p.p.

Due mesi dopo, il Procuratore Generale dispone l’avocazione delle indagini preliminari ai sensi dell’art. 412 c. 2 c.p.p. nei confronti della quale la Procura della Repubblica reagisce proponendo reclamo (ex art. 70, c. 6 bis, ord. giud.) ed ottenendo la revoca del decreto per carenza di motivazione.

La Procura Generale, presone atto, reitera il proprio provvedimento di avocazione fondandolo su due ordini di motivi principali: il primo concernente il merito della responsabilità penale, ad avviso della Procura Generale integrata nei necessari rivoli causali e colposi; il secondo riguardante la presunta inerzia del Sostituto Procuratore territoriale nell’indagare su ulteriori reati segnalati dalle persone offese nel proprio atto di opposizione all’archiviazione.

La Procura Generale presso la Corte di Cassazione, investita del nuovo reclamo promosso dalla Procura della Repubblica avverso il secondo decreto di avocazione, in data 11 ottobre 2016 lo rigetta ritenendo legittimo il provvedimento.

 

2. Le obiezioni sollevate dal Sostituto Procuratore della Repubblica, espresse nel secondo reclamo avanzato, danno conto del principale motivo di interesse nei confronti della questione decisa: tralasciando le ragioni incentrate sui profili di fatto della vicenda, si sostiene che il potere di avocazione previsto dall’art. 412 c. 2 c.p.p., rispondente alla logica del controllo gerarchico, non possa essere legittimamente esercitato per ragioni esclusive di dissenso nel merito rispetto alle valutazioni fattuali e giuridiche sposate dalla Procura della Repubblica. Osterebbe ad un meccanismo di tal fatta, nell’ottica del reclamante, lo stesso ruolo rivestito dal Giudice per le indagini preliminari all’interno della procedura di archiviazione: il congegno adottato dal codice di rito, infatti, affiderebbe a quest’ultimo, in quanto organo terzo, il compito di verificare la legittimità del mancato esercizio dell’azione penale da parte dell’organo d’accusa, dopo aver instaurato il contraddittorio tra le parti. Deporrebbe, inoltre, a favore dell’esegesi proposta l’analisi sistematica dell’art. 412 c.p.p.: a fronte di una rubrica che, nella lettera, punta il focus dell’avocazione sul “mancato esercizio dell’azione penale”, il comma 1 della norma si occupa del casi di c.d. “inerzia totale” del pubblico ministero, integrata allorquando egli ometta completamente la definizione del procedimento. Tali previsioni andrebbero, perciò, necessariamente lette in combinazione con il comma 2 del medesimo art. 412 c.p.p., la cui applicazione dovrebbe essere – per l’effetto – ristretta ai casi in cui sia configurabile una pur minima forma di inerzia, per esempio rispetto all’espletamento di taluni atti di indagine cruciali ai fini delle determinazioni finali in ordine all’esercizio o meno dell’azione penale. Solo così, conclude la Procura della Repubblica reclamante, si eviterebbe il rischio di trasformare la Procura Generale in una sorta di doppio giudice del merito, aggiuntivo rispetto al G.I.P.

 

3. Il decreto conclusivo della procedura di reclamo, che qui si segnala, respinge l’impostazione ermeneutica avanzata dal Pubblico Ministero reclamante, riconoscendo diritto di cittadinanza processuale alla c.d. inerzia funzionale: «indipendentemente dalla valutazione sull’adeguatezza delle investigazioni svolte, il Procuratore Generale potrebbe decidere di intervenire sulla base di un giudizio di non infondatezza della notitia criminis, desumibile dagli atti già acquisiti, oppure in caso di diversa opinione sull’inquadramento giuridico del fatto, ovvero quando, pur mancando una condotta stricto sensu inerte da parte del pubblico ministero, tuttavia sia proponibile un diverso e più proficuo taglio investigativo» (pagg. 3 e 4  decreto).

Non occorrono, pertanto, situazioni di patologica conduzione delle indagini – vuoi nel loro iter vuoi nella determinazione finale che da esse genera – perché il Pubblico Ministero possa essere espropriato del proprio fascicolo: una diversa opinione in ordine all’infondatezza della notizia di reato – e dunque alla scelta di chiederne l’archiviazione – legittima la Procura Generale ad intervenire avocando a sé le indagini ex art. 412 c. 2 c.p.p. Simile assetto – sempre nell’ottica proposta dal provvedimento in analisi -  può servire anche a porre rimedio all’eventuale dissenso tra p.m. e g.i.p. circa la condivisibilità della richiesta di archiviazione avanzata dal primo, come pure ad apprestare un controllo più penetrante sull’operato del titolare delle indagini, onde prevenire (o quantomeno ridurre) proprio tali casi di dissenso[1].

Ulteriore argomento a favore dell’impostazione proposta dalla Procura Generale presso la Corte di Cassazione risiede nella ritenuta tutela che tale meccanismo appresterebbe all’art. 112 Cost.: la verifica sull’esaustività delle indagini svolte e sulle determinazioni conclusive che dalle medesime trae l’organo istituzionale preposto all’accusa, infatti, rappresenta un ulteriore controllo - aggiuntivo e non alternativo - rispetto a quello apprestato dal Giudice per le indagini preliminari,  da quest’ultimo intrinsecamente distinguibile per la presenza di diretti poteri investigativi non riconosciuti – come noto – all’organo giudicante terzo ed imparziale[2].

 

4. In conclusione, accedendo all’orientamento ermeneutico estensivo veicolato dal decreto in commento, parrebbe possibile ricostruire il ventaglio delle situazioni che consentono l’avocazione delle indagini preliminari da parte del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, individuando una serie di situazioni tipiche: anzitutto il caso di inazione (art. 412 c. 1 c.p.p.), ricorrente quando il pubblico ministero non assume alcuna posizione all’esito delle indagini (pur avendole svolte), cui va associata (per affinità patologica) l’ipotesi di grave carenza investigativa preesistente alla richiesta di archiviazione. Segue il caso dell’omissione di alcune indagini che, agli occhi del Procuratore Generale, appaiono opportune ai fini della prognosi di sostenibilità dell’accusa in giudizio. Ancora: la c.d. inerzia funzionale[3], oggetto del provvedimento qui in esame; infine l’ipotesi in cui il Pubblico Ministero abbia omesso l’iscrizione della notizia di reato nel registro mod. 21 ovvero l’abbia impropriamente iscritta nel registro mod. 45 (c.d. pseudo notizie di reato), in virtù della «necessità del più rigoroso controllo sul corretto esercizio dell’azione penale da parte del p.m., in ossequio al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale fissato nell’art. 112 Cost.; controllo che certo non può essere escluso nell’ipotesi di un uso distorto del potere di cestinazione»[4].

 

5. In ordine all’ultima delle ipotesi citate, tuttavia, è opportuno segnalare il decreto n. 393 del 16 dicembre 2015 emesso dalla Procura Generale presso la Corte di Cassazione (sempre in sede di reclamo), in seno al quale viene operata una netta distinzione tra il caso delle pseudo notizie di reato che determinano “cripto archiviazioni” e quello di semplice dissenso della Procura Generale presso la Corte d’Appello rispetto alle decisioni – assunte dalla Procura della Repubblica territorialmente competente – circa l’iscrizione nominativa delle notitiae criminis nell’apposito registro. Mentre la prima alternativa sarebbe all’origine di un legittimo controllo verticistico sul corretto utilizzo dei poteri assegnati al Pubblico Ministero in ordine all’esercizio dell’azione penale (inscrivendo, per l’effetto, l’eventuale avocazione entro i confini di un uso regolare dello strumento processuale), la seconda evenienza andrebbe – stando alla pronuncia in analisi – decisamente espunta dal novero dei presupposti legittimanti l’avocazione delle indagini da parte della Procura Generale.

Questi, brevemente, i termini concreti della vicenda decisa: il motivo principale di dissenso tra la Procura reclamante ed il Procuratore Generale risiedeva proprio nella mancata iscrizione – da parte della prima – di alcuni nomi nel registro delle notizie di reato, ritenuti esenti da responsabilità penale per difetto di elementi indizianti sulla componente soggettiva richiesta dal reato ipotizzato (art. 648 bis c.p.). La Procura Generale - compulsata dalle persone offese - non condividendo simile valutazione aveva avocato a sé le indagini, prima che queste ultime giungessero al loro fisiologico esito.

La Procura Generale presso la Corte di Cassazione, investita del reclamo proposto dal Procuratore della Repubblica, lo accoglie aderendo all’idea per cui non integra una ipotesi di inerzia del Pubblico Ministero, rilevante ai fini dell’avocazione delle indagini, il caso di selezione dei soggetti da inserire nel registro delle notizie di reato, con iscrizione di alcuni nomi e di mancata iscrizione di altri.

A sostegno della decisione assunta deporrebbero alcuni rilievi fondamentali: stando alla littera della disposizione codicistica coinvolta (art. 412 c.p.p.), non ogni inerzia del p.m. legittimerebbe l’avocazione delle indagini, ma solo quelle annidate nella decisione finale sulle richieste da formulare alla scadenza dei termini. Occorre, dunque, che vi sia una richiesta di archiviazione non accolta oppure una omessa presa di posizione conclusiva dell’organo inquirente all’esito delle indagini espletate. Prima di simile snodo, il rimedio ad eventuali inerzie nelle indagini è dato non dall’avocazione, ma dall’esistenza di termini procedimentali “di fase”, entro i quali il procedimento deve necessariamente concludersi e trasformarsi in processo o essere archiviato.

Al contrario, l’inerzia nella decisione trova il proprio baluardo garantistico nel potere di avocazione del Procuratore Generale, il quale, lungi dall’essere espressione di una «aristocrazia cognitiva ed intellettuale dell’Ufficio superiore», deve rimanere confinato entro gli spazi costruiti dal codice di rito sul momento conclusivo delle indagini. Espandere i confini dell’avocazione fino ad inglobarvi l’intera parabola delle indagini, oltre a costituire una applicazione analogica dell’art. 412 c.p.p. non giustificata né dalla lettera né da una eadem ratio legisuna cosa è l’inerzia nel decidere, altra cosa è l’inerzia nell’indagare»), finirebbe per creare una inopportuna dilatazione dell’istituto, forgiando «un potere decisorio e istruttorio immanente e alternativo a quello del Procuratore della Repubblica» e sfigurando, così, l’architettura concettuale del processo.

 

[1] In tal senso si esprimeva già, in campo dottrinale, V. Grevi, Funzioni di garanzia e funzioni di controllo, in Aa. Vv., Il nuovo processo penale. Dalle indagini preliminari al dibattimento, Giuffrè, 1989, p. 37.

[2] In questo passaggio, il decreto in analisi sembra evocare la nota sentenza della Corte Costituzionale, 9.1.1991 – 28.1.1991, n. 88; si noti, peraltro, che la medesima Corte, in ord. 22.4.1991 – 22.5.1991,  n. 253, ha precisato che «l’intervento sostitutivo del procuratore generale  [è destinato] a consentire ad un diverso ufficio del medesimo organo di apprezzare se in concreto l’attività di indagine sia stata o meno esauriente ai fini che sono istituzionalmente imposti al pubblico ministero». Sottolinea M. L. Di Bitonto (L’avocazione facoltativa, Giappichelli, 2006, p. 72) che l’avocazione rappresenta un efficace presidio dell’art. 112 Cost. anche «perché si atteggia quale strumento di controllo di applicabilità generale, destinato ad essere adottato tutte le volte in cui la scelta di non esercitare l’azione penale non sia stata accolta de plano dal giudice».

[3] Si veda, per tale definizione, G. Conti – A. Macchia, voce “Indagini preliminari”, in Enc. Giur., XVI, p. 19; in senso contrario rispetto alla prospettabilità di simile ipotesi A. A. Sammarco, La richiesta di archiviazione, Giuffrè, 1993, p. 278.

[4] Si veda Cass., SS. UU., 11.7.2001 – 24.9.2001, in Dir. Pen. proc., 2001, p. 1372.