ISSN 2039-1676


22 marzo 2017 |

Alterazione di stato mediante falsità: sui possibili rimedi per la rimozione degli effetti delle pene illegittime irrogate prima di Corte Cost. n. 236/2016

Osservazioni a margine di Trib. Milano, Sez. IX, sent. 3 novembre 2016, n. 11685, Pres. est. Luerti

Contributo pubblicato nel Fascicolo 3/2017

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1. Con la sentenza che può leggersi in allegato, il Tribunale di Milano ha condannato una coppia di cittadini dello Sri Lanka per il delitto di alterazione di stato mediante falsità nella formazione di un atto di nascita (art. 567, co. 2 c.p.). Nel caso di specie, i due imputati avevano falsamente dichiarato all’ufficiale di stato civile del Comune di Milano che la bambina nata dall’imputata era figlia del coimputato, mentre in realtà era stata concepita con un altro uomo, nell’ambito di una precedente relazione della donna; poco tempo dopo la nascita della bambina, la relazione tra i due imputati si interrompeva a causa di gravi episodi di maltrattamenti da parte dell’uomo ai danni sia della compagna sia della presunta figlia: in conseguenza di ciò l’imputata veniva presa in carico da un centro antiviolenza e decideva di rivelare la verità sulla paternità della figlia al personale del centro in questione. Da ciò originava il procedimento penale definito in primo grado con la sentenza di condanna qui segnalata, che – questo il profilo di particolare interesse - è stata pronunciata il 3 novembre 2016, cioè immediatamente prima della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 567, co. 2 c.p., in ragione del carattere sproporzionato della pena comminata, ad opera della sentenza della Corte costituzionale 10 novembre 2016, n. 236[1].

Come è noto, infatti, con la sentenza n. 236/2106 la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo, per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., il quadro edittale (reclusione da cinque a quindici anniprevisto per il delitto di cui all’art. 567, co. 2 c.p., che punisce l’alterazione dello stato civile di un neonato realizzato mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità. Per effetto della sentenza stessa, il quadro edittale della citata incriminazione è stato sostituito con quello, più mite, previsto dallo stesso art. 567 nel primo comma (reclusione da tre a dieci anni).

 

2. La sentenza del Tribunale di Milano, pronunciata solo pochi giorni prima dell’intervento della Corte costituzionale, fornisce l’occasione per richiamare l’attenzione sul problema dei possibili rimedi per rimuovere gli effetti dell’irrogazione di una pena riconosciuta come illegittima perché determinata sulla base dell’originaria cornice edittale di cui all’art. 567, co. 2 c.p. (reclusione da cinque a quindici anni). Occorre distinguere, in proposito, due diverse situazioni, a seconda che la sentenza di condanna sia già divenuta irrevocabile, o meno.

 

2.1. Se non si è ancora formato il giudicato, l’unico rimedio è l’impugnazione (appello o, a seconda,  ricorso per cassazione). Si noti, per inciso: nulla può fare il giudice (oltre a una presa d’atto del novum) qualora – come nel caso della sentenza del Tribunale di Milano – la dichiarazione di incostituzionalità sia intervenuta dopo la lettura del dispositivo, ma prima del deposito della motivazione.  Come è noto, la decisione si “cristallizza” al momento della lettura del dispositivo e la motivazione – pur redatta successivamente – non può che riferirsi a quel momento.

Quanto all’appello, l’interesse ad impugnare (ex art. 568, comma 4 c.p.p.) è evidente: in primis la difesa dell’imputato avrà interesse ad impugnare (art. 571 c.p.p.), lamentando la sopravvenuta illegittimità della cornice edittale, per ottenere il ricalcolo della pena sulla base della nuova cornice e per giovarsi degli ulteriori benefici di legge; ferma restando – eventualmente – la possibilità di impugnare nel merito. Oltre che della difesa dell’imputato, è certamente interesse anche del pubblico ministero - “in ragione delle sue funzioni istituzionali”[2]- che la sentenza venga riformata, poiché la rimozione degli effetti di una pronuncia adottata sulla base di una norma costituzionalmente illegittima, in un sistema ispirato al principio di “giusto processo” (art. 111 Cost.), non può e non deve essere esclusivo appannaggio della difesa dell’imputato: pertanto anche il procuratore della Repubblica o il procuratore generale avranno interesse ad impugnare (art. 570 c.p.p.). Se ne ricava autorevole conferma, d’altra parte, dalla sentenza Gatto delle Sezioni Unite (n. 42858/2014), che pone a carico del p.m. l’obbligo di chiedere al giudice dell’esecuzione la rideterminazione della pena inflitta in sede di cognizione, prima della dichiarazione di incostituzionalità[3]

Analoghe considerazioni, sebbene adattate alla peculiarità del diverso giudizio, possono svolgersi per il ricorso per cassazione avverso sentenze di condanna che applicano una pena illegale in grado d’appello, oppure nei casi in cui è precluso l’appello (come per il “patteggiamento” ex art. 444 c.p.p.[4]): le parti potranno ricorrere alla Suprema Corte deducendo il motivo della violazione (sopravvenuta) della legge penale (art. 606, comma 1 lett. b c.p.p.). In ogni caso, pur in assenza di specifici motivi dedotti dall’appellante o dal ricorrente sul punto, il Giudice – indifferentemente di merito o di legittimità – non potrà che adeguare anche d’ufficio la pena illegale[5].

 

2.2. Maggiori problemi si presentano invece laddove si sia formato il giudicato. È il caso di sottolineare che nel caso di specie non è stata dichiarata incostituzionale la norma incriminatrice in sé, bensì il trattamento sanzionatorio per essa stabilito. La sentenza di condanna non può essere pertanto revocata ai sensi dell’art. 673 c.p.p., consistendo il rimedio utilizzabile nella rideterminazione da parte del giudice dell’esecuzione della pena inflitta in applicazione della disposizione dichiarata illegittima[6]; e l’esercizio di tale rimedio passerà attraverso l’incidente di esecuzione di cui all’art. 670 c.p.p.[7].

E’ questa una conclusione che ci sembra obbligata a fronte del recente e autorevole orientamento giurisprudenziale - avallato da più sentenze delle Sezioni Unite -, che ha individuato della rideterminazione della pena – e non già nella revoca del giudicato - il rimedio per rimuovere gli effetti di pene diventate illegittime dopo la formazione del giudicato di condanna. E’ questa la soluzione individuata a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale: a) della c.d. aggravante della clandestinità prevista dall’art. 61 n. 11 bis c.p.[8]; b) dell’art. 7, co. 1 d.l. 24/11/2000 n. 341, che impediva la sostituzione della pena dell’ergastolo con trent’anni di reclusione in favore di chi avesse scelto il rito abbreviato[9]; c) dell’art. 69, c. 4 c.p. nella parte in cui precludeva a determinate circostanze attenuanti di prevalere sulla recidiva reiterata[10]; d) della parificazione del trattamento sanzionatorio delle droghe pesanti e delle droghe leggere, operato nel 2006 dalla legge Fini-Giovanardi[11].

Orbene, a noi sembra che il caso della dichiarazione di illegittimità costituzionale della comminatoria di pena dell’alterazione di stato ex art. 567, co. 2 c.p. richieda oggi, a fortiori, l’intervento del giudice dell’esecuzione per la relativa rideterminazione, onde evitare che gli effetti di una pena dichiarata illegittima, perché sproporzionata, continuino a prodursi nei confronti del condannato. Il che è peraltro ancor più vero allorché l’originaria base di partenza del calcolo della pena non abbia consentito, all’esito del procedimento di commisurazione, di concedere benefici quali la sospensione condizionale.

 

[1] La sentenza è stata autorevolmente annotata su questa Rivista da F. Viganò, Un’importante pronuncia della Consulta sulla proporzionalità della pena , nonché, sulla Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 2016, pp. 1956 ss., da  E. Dolcini, Pene edittali, principio di proporzione, funzione rieducativa della pena: la Corte costituzionale ridetermina la pena per l’alterazione di stato.

[2] Cfr. Cass. S.U. n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, in CED Cassazione n. 260697.

[3] G. Romeo, Le Sezioni Unite sui poteri del giudice di fronte all’esecuzione di pena “incostituzionale”, in questa Rivista, 17/10/2014 http://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/d/3361-le-sezioni-unite-sui-poteri-del-giudice-di-fronte-all-esecuzione-di-pena-incostituzionale (nella pronuncia in questione il ricorso era stato effettivamente proposto dal pubblico ministero).

[4] Secondo Cass. pen. S.U. sent. 26/02/2015 (dep. 28/07/2015), n. 33040, Jazouli: “Nel patteggiamento l'illegalità sopraggiunta della pena determina la nullità dell'accordo e la Corte di cassazione deve annullare senza rinvio la sentenza basata su tale accordo”

[5] Cass. S.U. 33040/2015 Jazouli cit.: “Nel giudizio di cassazione l'illegalità della pena conseguente alla dichiarazione di incostituzionalità di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio è rilevabile d'ufficio anche in caso di inammissibilità del ricorso, tranne che nel caso di ricorso tardivo”.

[6] G. Marinucci – E. Dolcini, Manuale di diritto penale, V ed. aggiornata da E. Dolcini e G. L. Gatta, Milano, 2015, p. 131.

[7] F. Viganò, Pena illegittima e giudicato. Riflessioni in margine alla pronuncia delle Sezioni Unite che chiude la saga dei “fratelli minori” di Scoppola, in Diritto Penale Contemporaneo, riv. trimestrale n. 1/2014, p. 252.

[8] Cass. Sez. I, 24/02/2012 n. 19361, Teteh Assic, in CED Cassazione n. 253338; cfr. Marinucci-Dolcini, Manuale di diritto penale cit., p. 132; cfr. G. L. Gatta, Ancora sulla non eseguibilità della porzione di pena inflitta per effetto dell’applicazione della c.d. aggravante della clandestinità (art. 61 n. 11-bis c.p.), in questa Rivista, 29/05/2012 http://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/d/1528-ancora-sulla-non-eseguibilita-della-porzione-di-pena-inflitta-per-effetto-dell-applicazione-della-c

[9] Cass. S.U. n. 18821 del 24/10/2013, Ercolano, in CED Cassazione n. 258651; cfr. Marinucci-Dolcini, Manuale di diritto penale cit., p. 132; ampiamente in merito alla sentenza Ercolano si veda Viganò, Pena illegittima e giudicato. Riflessioni in margine alla pronuncia delle Sezioni Unite che chiude la saga dei “fratelli minori” di Scoppola cit., pp. 250 ss.

[10] Cass. S.U. n. 42858 del 29/05/2014, Gatto cit.; cfr. Marinucci-Dolcini, Manuale di diritto penale cit., p. 132; cfr. Romeo, Le Sezioni Unite sui poteri del giudice di fronte all’esecuzione di pena “incostituzionale” cit.

[11] Marinucci-Dolcini, Manuale di diritto penale cit., p. 132.