ISSN 2039-1676


13 febbraio 2017 |

Ripensare al ruolo della Cassazione, e opporsi alla deriva dei processi mediatici: i messaggi chiave della relazione del Primo Presidente all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2017

Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2016

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Per scaricare la relazione orale svolta dal Primo Presidente alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione il 26 gennaio 2017, clicca qui.

Per scaricare la relazione del Procuratore generale, clicca qui.

Per scaricare la relazione sulla giurisprudenza della Cassazione in materia penale nel 2016, clicca qui.

 

1. Anche quest’anno il Primo Presidente della Suprema Corte Canzio ha svolto una densa relazione in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, che siamo lieti ancora una volta di pubblicare integralmente nella nostra Rivista unitamente alla relazione del Procuratore generale, limitandoci qui a segnalare alcuni dei passaggi più significativi che coinvolgono specificamente la giustizia penale.

 

2. Il punto di partenza è l’amara constatazione dell’assenza, anche nel 2016, di interventi legislativi mirati alla deflazione del contenzioso di legittimità, stabilizzatosi nell’ultimo quinquiennio sull’incredibile cifra di 83.000 ricorsi, di cui 53.000 soltanto nel settore penale.

Ciò ha stimolato l’avvio di un percorso di autoriforma della Cassazione, ispirato a una logica di semplificazione, accelerazione e razionalizzazione dei moduli procedimentali, che ha prodotto una serie di effetti positivi posti in luce dal primo presidente, quali – per limitare lo sguardo al settore penale, che qui direttamente rileva – l’innalzamento dei numero dei procedimenti definiti (oltre 58.000) rispetto allo scorso anno, con un indice di ricambio ormai nettamente positivo, una rilevante riduzione della pendenza (in controtendenza rispetto agli scorsi anni), e una durata media dei procedimenti di 8 mesi, largamente al di sotto della media europea.

Risultati, questi, attribuibili anche allo straordinario impegno dei magistrati, che mediamente sono riusciti a definire 481 procedimenti ciascuno nel corso dell’anno.

Il Primo Presidente sottolinea, peraltro, come il complessivo miglioramento delle performances sarebbe utleriormente agevolato da opportuni interventi legislativi, quali quelli previsti dal d.d.l. n. 2067 già approvato alla Camera ma ancora all’esame del Senato, e in particolare dall’esclusione dei ricorsi personale dell’imputato (oggi pari al 20% circa del totale), da limiti incisivi alla ricorribilità delle sentenze di patteggiamento (pari a oltre il 10% dei ricorsi), dalla semplificazione della rilevazione dell’inammissibilità del ricorso.

 

3. Quanto alla funzione nomofilattica della Cassazione, il Primo Presidente rammenta gli arresti più significativi resi dalle Sezioni Unite nel corso del 2016 – tutti già segnalati dalla nostra Rivista –, in materia di messa alla prova, di particolare tenuità del fatto, di riesame delle misure reali e sul braccialetto elettronico, sui nuovi illeciti civili, sulla definizione della condotta di falso in bilancio, sulla rinnovazione della prova dichiarativa nel giudizio di appello promosso dal p.m. avverso la sentenza di assoluzione di primo grado e sulla specificità dei motivi di impugnazione ai fini dell’ammissibilità dell’appello (profili, questi due ultimi, disciplinati anche nel citato d.d.l. n. 2067 all’esame del Senato), nonché sull’uso di captatori informatici nell’ambito di indagini penali.

 

4. Particolarmente significativa anche nell’ottica del penalista appare, inoltre, la recentissima riforma del processo civile di cassazione ad opera del d.l. n. 168/2016, convertito con legge n. 197/2016: una riforma che potrebbe presto essere assunta a modello anche di una parallela riforma del giudizio penale di legittimità.

L’architrave della riforma è la distinzione tra i (meno numerosi) giudizi aventi valenza nomofilattica, discussi con pubblica udienza e decisi con sentenza, nei quali la Cassazione opera – nella notissima terminologia carneluttiana – quale garante dello ius constitutionis; e giudizi miranti invece a verificare la corretta applicazione del diritto nel caso concreto, a garanzia dello ius litigatoris, discussi con udienza camerale e decisi con ordinanza. Tale distinzione dovrebbe consentire alla Cassazione di concentrare i propri sforzi nella formazione di più meditati precedenti, destinati poi a servire da guida alla giurisprudenza di merito nella gestione ordinaria del contenzioso, in un processo di almeno parziale avvicinamento ai modelli rappresentati da tutte le corti supreme di altri paesi.

 

5. Tra gli altri temi affrontati dal Primo Presidente nella propria relazione orale e nell’ampia relazione scritta, merita da ultimo menzione – anche per la risonanza che questo passaggio ha avuto nei resoconti giornalistici – il passaggio sulle distorsioni creati dal fenomeno del c.d. processo mediatico, che crea spesso improprie “aspettative di giustizia, a prescindere da ogni valutazione circa la complessità dei fatti, la validità delle prove, i principi di diritto applicati, le garanzie del processo, la tenuta logica della decisione”; aspettative troppo spesso deluse al momento della sentenza definitiva, in cui tutti questi noti vengono inevitabilmente al pettine.

Il disorientamento creato nell’opinione pubblica, osserva giustamente Canzio, nasce spesso “dalla discrasia spazio-temporale fra l’ipotesi di accusa, formulata nelle indagini, il pre-giudizio costruito nel processo mediatico parallelo, che s’instaura immediatamente, e le conclusioni dell’attività giudiziaria, che seguono a distanza di tempo dalle indagini, già di per sé troppo lunghe”. Il rischio diviene così quello di un “conflitto tra la giustizia ‘attesa’ e la giustizia ‘applicata’, con il pernicioso ribaltamento della presunzione di innocenza dell’imputato”, talvolta favorita da impropri dialoghi con i media e, tramite questi, con la pubblica opinione, intessuti dallo stesso pubblico ministero o dai difensori.

Ciò che ripropone con forza, secondo il Primo Presidente, il tema dell’attrazione (o ri-attrazione) del pubblico ministero nella cultura della giurisdizione, nonché quello della possibilità di “aprire talune finestre di controllo giurisdizionale nelle indagini, piuttosto che prevedere interventi di tipo gerarchico o di disciplinare”.