ISSN 2039-1676


10 maggio 2017 |

Un altro tassello nell’evoluzione del ricorso straordinario per Cassazione: da rimedio eccezionale a valvola di chiusura del sistema delle impugnazioni

Commento a Cass., SSUU, sent. 21 luglio 2016 (dep. 17 marzo 2017), n. 13199, Pres. Canzio, Rel. Fidelbo, Ric. Nunziata

Contributo pubblicato nel Fascicolo 5/2017

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1. Il ricorso straordinario per cassazione sta mutando pelle. Introdotto nell’ordinamento italiano su sollecitazione della Corte costituzionale[1], è stato a lungo concepito dalla dottrina[2] e dalla stessa giurisprudenza[3] come un rimedio eccezionale finalizzato a far valere esclusivamente gli errori percettivi nei quali sia incorsa la Corte in una decisione che perfeziona la fattispecie del giudicato di condanna.

Negli ultimi anni, soprattutto per effetto di un’evoluzione giurisprudenziale, il ricorso si sta progressivamente trasformando in un rimedio sempre meno eccezionale. L’ambito di applicazione si è sensibilmente ampliato lungo due direttrici: per un verso, si è estesa la nozione di “condannato”, fino a ricomprendervi il condannato agli effetti civili[4] e il destinatario di una sentenza di annullamento con rinvio limitatamente ai punti che attengono al profilo sanzionatorio[5]; per altro verso, si è avallato l’impiego del ricorso straordinario quale strumento volto a porre rimedio a errores in procedendo o in iudicando verificatisi in cassazione e tali da aver determinato – secondo la Corte di Strasburgo – una violazione della C.e.d.u.[6]. Insomma, il ricorso si è trasformato in un rimedio volto tendenzialmente a far valere un errore giudiziario verificatosi in Cassazione e non altrimenti eliminabile: una sorta di valvola di chiusura del sistema da azionare quando risulta «necessario garantire i diritti inviolabili della persona, sacrificando il rigore delle forme alle esigenze insopprimibili della ‘verità e della giustizia reale’»[7].

 

2. La sentenza in commento si inserisce in questo filone e segna un altro passo nel senso dell’espansione del ricorso straordinario.

Preso atto della sussistenza di un contrasto giurisprudenziale, nel maggio 2016 la quinta Sezione aveva rimesso alle Sezioni Unite la risoluzione della questione «se sia ammissibile il ricorso straordinario ai sensi dell’art. 625-bis c.p.p. avverso la sentenza o l’ordinanza della Corte di cassazione che rigetta o dichiara inammissibile il ricorso del condannato contro la decisione della corte d’appello che ha respinto ovvero dichiarato inammissibile la richiesta di revisione».

In effetti, sul punto erano emersi due indirizzi opposti.

Secondo un orientamento assolutamente maggioritario, il rimedio straordinario dovrebbe ritenersi escluso in queste ipotesi sulla scorta del presupposto che la disposizione di cui all’art. 625-bis c.p.p. – da interpretarsi in modo rigoroso in quanto norma in materia di impugnazioni straordinarie – circoscrive l’esperibilità del gravame soltanto nei confronti delle sentenze della Corte per effetto delle quali diviene definitiva una sentenza di condanna[8]. La decisione emessa dalla Suprema Corte a seguito del ricorso di cui all’art. 640 c.p.p. non chiude la fase processuale tipicamente destinata all’accertamento del fatto e non è dunque collegata in modo “diretto” con la pronuncia definitiva di condanna; in altri termini, non trasforma la condizione giuridica dell’imputato in quella di condannato, ma si limita a verificare – sulla base dei motivi di ricorso – la rispondenza del processo di revisione al modello normativo suo proprio.

In tempi recenti, al contrario, la Cassazione aveva accolto una soluzione favorevole alla proponibilità del rimedio ex art. 625-bis c.p.p. avverso una sentenza emessa all’esito di un ricorso per cassazione proposto ex art. 640 c.p.p.[9]: la Corte aveva fatto leva sulla circostanza che il riferimento al “condannato”, operato dall’art. 625-bis c.p.p. per delimitare l’area del soggetto legittimato alla proposizione dell’istanza, se esclude correttamente dal rimedio straordinario le decisioni incidentali emesse in sede cautelare, non può assolutamente indurre a ritenere che i provvedimenti assoggettabili al ricorso straordinario siano esclusivamente quelli da cui deriva, per la prima volta, il consolidamento di tale condizione giuridica (e dunque le decisioni di inammissibilità o rigetto di ricorsi proposti avverso sentenze di merito con cui si è affermata la penale responsabilità del ricorrente).

Tale lettura della disposizione finirebbe infatti con il ricavare (in malam partem) una norma non scritta, posto che “condannato” è anche il soggetto titolare della facoltà di introdurre il giudizio di revisione (art. 632, comma 1, lett. a, c.p.p.) nel cui ambito, in caso di rigetto della domanda, si approda parimenti allo scrutinio di legittimità, con l’emissione di un provvedimento decisorio che – in caso di rigetto o di inammissibilità del ricorso – conferma la condizione giuridica di partenza.

 

3. Le Sezioni Unite hanno abbracciato questa interpretazione estensiva, sulla scorta di tre argomenti.

Il passaggio fondamentale della decisione – che riprende quasi alla lettera l’approccio della pronuncia della prima Sezione – si basa su una considerazione di ordine sistematico e su un rilievo di natura testuale. Secondo il supremo Collegio, se è vero «che la natura straordinaria del ricorso in esame determina la necessità di ricercare un legame funzionale tra decisione della Cassazione e giudicato, tuttavia ciò non vuol dire che l’istituto disciplinato dall’art. 625-bis c.p.p. debba trovare applicazione solo in presenza di una sentenza di legittimità da cui derivi, “per la prima volta”, l’effetto del giudicato. Di un tale requisito non vi è traccia nella legge».

In altri termini, né la disposizione dell’art. 625-bis c.p.p., né la natura straordinaria del rimedio, «autorizzano a ritenere che il nesso funzionale tra decisione della Corte di cassazione e giudicato debba essere immediato e diretto. Ciò che rileva, infatti, è che la decisione della Cassazione contribuisca alla “stabilizzazione” del giudicato, a prescindere dal momento in cui si sia formato». Ed è indubitabile che la sentenza della Cassazione, che rigetti o dichiari inammissibile il ricorso del condannato contro la decisione negativa della Corte d’appello, conferma il giudicato di condanna e lo stabilizza

Il secondo argomento è di carattere assiologico. La Corte ricorda come alla base del favor revisionis vi sia l’esigenza di garantire i diritti inviolabili della persona, rinunciando al rigore delle forme. Tenuto conto di tale esigenza «appare poco comprensibile che il condannato sia legittimato a chiedere la revisione, a partecipare al relativo giudizio, a ricevere la notifica della dichiarazione di inammissibilità dell’istanza, a ricorrere per cassazione contro la decisione della corte di appello, ma poi non possa impugnare, ai sensi dell’art. 625-bis c.p.p., la sentenza della Corte di cassazione affetta da errore di fatto».

L’ultimo argomento ha un respiro costituzionale. Le Sezioni Unite ricordano la genesi del rimedio di cui all’art. 625-bis c.p.p.: si è trattato di una scelta imposta dalla Costituzione, nel rispetto del principio di uguaglianza, di quello di effettività della difesa in ogni stato e grado, del diritto alla riparazione degli errori giudiziari e, infine, di quello diretto ad assicurare il controllo effettivo di tutte le sentenze in sede di legittimità[10]. Negare dunque la ricorribilità avverso le decisioni della Corte rese nell’ambito del giudizio di revisione «equivale a non assicurare la effettività del giudizio di legittimità, quell’effettività che la Corte costituzionale indicò come obiettivo da raggiungere attraverso la previsione di meccanismi in grado di rimediare agli errori della Cassazione».

La Corte supera infine l’obiezione secondo la quale l’errore nel quale sia incorsa la Cassazione non determinerebbe un danno irrimediabile, dal momento che la revisione sarebbe riproponibile a’ sensi dell’art. 641 c.p.p. I giudici precisano che la riproponibilità dell’istanza è basata «sulla condizione essenziale della “novità” degli elementi legittimanti la rinnovata richiesta di revisione, mentre il rimedio straordinario è attivabile solo se la decisione sia irrimediabilmente viziata da uno “sviamento percettivo” del giudizio».

 

4. La pronuncia delle Sezioni unite appare pienamente condivisibile nella parte in cui riafferma con chiarezza la necessità di un nesso tra decisione della Corte e giudicato. Ribadendo che la pronuncia della Cassazione è impugnabile con il ricorso tanto in quanto presenti un legame con il giudicato, il Supremo Collegio sembra aver ha posto un limite prezioso all’estensione – altrimenti inarrestabile – dell’ambito di applicazione del rimedio.

Proprio in virtù di tale nesso la Corte ha opportunamente precisato che rimangono fuori dall’operatività dell’art. 625-bis c.p.p. le «decisioni della Corte di cassazione che intervengono in procedimenti ante iudicatum, come ad esempio i provvedimenti emessi in fase cautelare, le decisioni in materia di misure di prevenzione, quelle in materia di rimessione del processo, nonché le decisioni processuali in materia di estradizione o di mandato di arresto Europeo». Inoltre, per quel che riguarda la fase esecutiva, la Corte ha confermato che la decisione del supremo Collegio – per quanto emessa nei confronti di un soggetto formalmente “condannato” – sarà impugnabile solo quando presenti un nesso con il giudicato, nel senso che lo manipola (come nei casi degli artt. 671 e 673 c.p.p.) oppure quando partecipa in qualche modo alla sua formazione (sono i casi in cui la Cassazione dichiari inammissibile o rigetti il ricorso avverso l'ordinanza negativa del giudice dell'esecuzione chiamato a decidere, ex art. 670 c.p.p., una questione riguardante la validità della notifica della sentenza di condanna di merito, ovvero decida in termini negativi un ricorso contro l'ordinanza che respinga una richiesta di restituzione nel termine per impugnare una sentenza di condanna)[11].   

Non vi è dubbio che l’idea di rendere impugnabili le sole decisioni che presentano un nesso con il giudicato si giustifica pienamente alla luce del carattere di eccezionalità del rimedio, che la stessa Costituzione assegna all’impugnazione avverso le pronunce dell’organo posto al vertice del sistema giudiziario[12].

Il punto è comprendere se questo legame debba essere diretto, come sostenuto in una prima fase di applicazione del rimedio[13] o, come affermato nella pronuncia in esame, possa essere anche indiretto, perché non vi sarebbero argomenti univoci a sostegno della tesi restrittiva, la quale presenterebbe anche delle controindicazioni sul piano assiologico e costituzionale.

In realtà, ci pare che a risolvere la questione non vengano in aiuto indicazioni di ordine costituzionale. L’unica direttiva fondamentale derivante dalla Carta è che il canone di inoppugnabilità delle pronunce della Corte – che ha rilievo costituzionale e rappresenta uno dei cardini del sistema processuale – può essere derogato unicamente quando si tratti di riparare errori di fatto che determinano la lesione del diritto al processo di cassazione, del canone del contraddittorio o – tutt’al più – che cagionano l’ingiustizia sostanziale della decisione sulla sussistenza del dovere di punire. Sotto il profilo della tipologia di provvedimenti da assoggettare al rimedio per l’errore di fatto non vi sono direttive desumibili dalla Carta: la scelta tra consentire il ricorso avverso qualsiasi pronuncia del supremo Collegio e limitarlo solo ad alcune è affidata al legislatore ordinario, ovviamente nel rispetto del canone di ragionevolezza.

Ove si interpretasse il riferimento al condannato come limite meramente “spaziale” – per cui potrebbero essere impugnati tutti i provvedimenti della Cassazione purché abbiano come destinatario un condannato – la disciplina si esporrebbe a gravi censure sotto il profilo dell’art. 3 Cost. Non avrebbe alcun senso delimitare spazialmente il mezzo di impugnazione, ammettendone la proposizione avverso i provvedimenti emessi dopo il giudicato ed escludendola per quelli adottati nel corso del giudizio di cognizione; sarebbe arduo giustificare la scelta di consentire l’impugnazione di un provvedimento reso dalla Cassazione in materia di liberazione anticipata o di permessi premio (artt. 69-bis, 30-bis ord. penit., 678 e 666 comma 6 c.p.p.) e di negarla con riguardo alla decisione presa nel procedimento incidentale de libertate, quando in gioco è la libertà personale di un presunto non colpevole.

Evidentemente, il duplice richiamo al “condannato”, inserito in una norma volta a disciplinare un ricorso «straordinario», non può che assumere il significato di limite funzionale: esso va interpretato nel senso di rendere impugnabile la decisione della Cassazione che renda incontrovertibile l’accertamento del dovere di punire oppure quelle che confermano o stabilizzano un giudicato già formato.  

Concepito in siffatti termini, il criterio impiegato per sceverare tra le decisioni impugnabili e quelle inoppugnabili appare pienamente ragionevole e dunque la scelta del legislatore non pare censurabile, sia sotto il profilo dell’art. 3 Cost. che in relazione all’art. 111 Cost. Né appare decisivo l’argomento assiologico: il favor per le impugnazioni straordinarie a esso sotteso porterebbe in realtà a rendere impugnabili per errore di fatto tutte le decisioni della Corte.

Sulla scorta di tali premesse, non si può che condividere il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite in forza del quale «è ammessa, a favore del condannato, la richiesta, ex art. 625-bis c.p.p., per la correzione dell'errore di fatto contenuto nella sentenza con cui la Corte di cassazione abbia dichiarato inammissibile o rigettato il suo ricorso contro la decisione negativa della corte di appello pronunciata in sede di revisione».

Siffatto principio non porta affatto a estendere il ricorso straordinario a tutte le pronunce rese dalla Corte in materia di revisione.

Occorre infatti tenere distinte la decisione resa a seguito di ricorso proposto a’ sensi dell’art. 634 c.p.p. e quella emessa all’esito del ricorso presentato a norma dell’art. 640 c.p.p.

Nel primo caso, infatti, sembra mancare il nesso funzionale tra la decisione della Corte e il giudicato: la pronuncia negativa resa ex art. 634 comma 2 c.p.p. non solo non determina essa stessa l’irretrattabilità della sentenza di condanna, ma neanche stabilizza il giudicato: si tratta di una pronuncia che si limita semplicemente a far scattare una preclusione allo stato degli atti rispetto a una richiesta di revisione basata sui medesimi elementi.

Nel secondo caso, invece, si può ritenere che il processo sia stato effettivamente riaperto: dal momento in cui il Presidente della Corte emette il decreto di citazione a giudizio per la revisione il condannato riacquista lo status di imputato e, pertanto, non si può disconoscere che la sentenza di rigetto della Corte d’appello produca l’effetto di stabilizzare il giudicato precedentemente raggiunto.

Nel caso di specie affrontato dalla pronuncia in esame l’errore censurato si riferiva a una sentenza emessa a seguito del ricorso di cui all’art. 640 c.p.p.: le Sezioni Unite hanno dunque correttamente ritenuto il rimedio ammissibile, salvo poi valutare insussistente l’errore di fatto. Per le decisioni rese a seguito di ricorso proposto ex art. 634 c.p.p., sembra che, anche a seguito dell’arresto della Corte, non vi sia spazio per il rimedio straordinario.

 

[1] Il riferimento è a Corte cost., 28 luglio 2000, n. 395, in Cass. pen., 2000, 393.

[2] Cfr., tra gli altri, A. Capone, Il ricorso straordinario per errore di fatto, in Enc. giur. Treccani, vol. XXXI, Roma, 2004, p. 6; G. Conti, Le nuove norme sul giudizio di cassazione, in Processo penale: nuove norme sulla sicurezza dei cittadini, a cura P. Gaeta, Padova, 2001, p. 196; M. Gialuz, Il ricorso straordinario per cassazione, Milano, 2005, p. 176; G. Romeo, Passato e futuro per gli errori di fatto incorsi nel giudizio di cassazione, in Cass. pen., 2002, p. 3488.

[3] Cfr., per tutte, Cass., Sez. un., 27 marzo 2002, Basile, in CED Cass., n. 221281.

[4] Cass., Sez. un., 21 giugno 2012, Marani, in Cass. pen., 2013, p. 2592.

[5] Cass., Sez. un., 21 giugno 2012, Brunetto, in Cass. pen., 2013, p. 2600, con nota di A. Capone, Annullamento parziale con rinvio e ricorso straordinario.

[6] Il riferimento è a Cass., Sez. II, 12 settembre 2013, Drassich, in Giur. it., 2014, p. 177, con nota di F. Giunchedi,  Il giudice nazionale tra sistemi multilivello ed interpretazione conforme (a proposito del caso Drassich); per approfondimenti, cfr. A. Bigiarini, Il caso Drassich dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 113 del 2011, in Dir. proc. pen., 2014, p. 847; S. Quattrocolo, La ‘vicenda Drassich’ si ripropone come crocevia di questioni irrisolte, in Dir. Pen. Cont. – Riv. Trim., 2013, n. 4, p. 161; Cass., Sez. V, 28 aprile 2010, Scoppola, in Giur. it., 2010, p. 2643, con nota di S. Furfaro, L’esecuzione delle decisioni europee di condanna: riflessioni sullo ‘stato dell’arte’ anche in prospettiva di scelte normative; Cass., Sez. VI, 18 settembre 2009, Drassich, in Cass. pen., 2010, p. 2608, sulla quale si veda la nota di S. Quattrocolo, Giudicato interno e condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo: la Corte di cassazione ‘inaugura’ la fase rescissoria, ivi, p. 2622; Cass., Sez. VI, 12 dicembre 2008, Drassich, in Cass. pen., 2009, p. 1462. Per una critica a tale estensione sia consentito rinviare a M. Gialuz, La doglianza per errore di fatto, in Le impugnazioni straordinarie nel processo penale, a cura di P. Corvi, Torino, 2016, p. 155.

[7] In tal senso, v. la celebre pronuncia Cass., Sez. un., 26 settembre 2001, Pisano, in Foro it., 2002, II, c. 475.

[8] In tal senso, Cass., sez. VI, 17 settembre 2014, Zambon, in CED Cass., n. 260820; Cass., Sez. VI, 22 ottobre 2013, Fredesvinda, ivi, n. 258453; Cass., Sez. III, 25 novembre 2011, Fabbroncino, in Arch. pen., 2011, p. 751, con nota critica di G. Sola, Ricorso «straordinario» per errore di fatto: storia di un ricorso estremamente “ordinario”; Cass., Sez. VI, 17 gennaio 2007, Rossi, in Cass. pen., 2008, p. 2963; Cass., Sez. V, 16 giugno 2006, Nappi, in Arch. n. proc. pen., 2007, p. 641; Cass., Sez. V, 9 novembre 2004, Asciutto, in Guida dir., 2004, n. 49, p. 91.

[9] Il riferimento è a Cass., Sez. I, 15 gennaio 2015, N.S., in CED Cass., n. 261781. Questa posizione è stata sostenuta in dottrina, tra gli altri, da B. Lavarini, Tipologie e caratteristiche dei provvedimenti suscettibili di ricorso straordinario, in Le impugnazioni straordinarie, cit., p. 172; G. Sola, Ricorso «straordinario» per errore di fatto, cit., p. 752.

[10] Sul punto, la Corte riprende Cass., Sez. un., 21 giugno 2012, Marani, cit., p. 2596.

[11] Si tratta proprio degli esempi che avevamo prospettato in M. Gialuz, Il ricorso straordinario, cit., pp. 196 ss..

[12] Più volte la Corte costituzionale ha ribadito la centralità del canone di inoppugnabilità delle decisioni della Corte: al riguardo, sia consentito rinviare a M. Gialuz, voce Ricorso straordinario per cassazione, in Enc. dir., III Annali, Milano, 2010, p. 1043.   

[13] Cass., Sez. un., 27 marzo 2002, De Lorenzo, in Cass. pen., 2002, p. 2617.