ISSN 2039-1676


12 luglio 2017 |

Alle Sezioni Unite la questione sull’operatività nel giudizio di rinvio della proroga per il deposito dei motivi ex art. 309, comma 10, c.p.p.

Nota a Cass., sez. I, ord. 23 maggio 2017 (dep. 6 giugno 2017), n. 27828, Pres. Tardio, Rel. Vannucci, Ric. Rezmuves

Contributo pubblicato nel Fascicolo 7-8/2017

 

1. Con l’ordinanza in commento, la prima sezione della Suprema Corte ha richiesto l’intervento delle Sezioni Unite in merito all’interpretazione del nuovo comma 5-bis dell’art. 311 c.p.p.: il dubbio esegetico riguarda in particolare la possibilità per il tribunale del riesame di disporre, in sede di giudizio di rinvio, la proroga del termine per il deposito della motivazione, prevista dal comma 10 dell’art. 309 c.p.p., nel caso di sua particolare complessità.

Com’è noto, il comma 5-bis dell’art. 311 c.p.p. è stato introdotto dall’art. 13 della l. 16 aprile 2015, n. 47, di riforma della disciplina delle misure cautelari, e riguarda il giudizio di rinvio a seguito di annullamento, da parte della Corte di cassazione, di un’ordinanza che ha disposto o confermato una misura personale coercitiva ai sensi dell’art. 309, comma 9, c.p.p.[1].

Fin da subito la nuova disposizione ha posto un problema interpretativo generato da una discrasia con il comma 10 dell’art. 309 c.p.p.: mentre infatti in quest’ultima previsione la l. 47/2015 ha sancito espressamente la possibilità per il giudice di disporre un termine più lungo per il deposito dell’ordinanza, qualora «la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni», analoga disciplina non è stata inserita nell’art. 311 c.p.p.

Questa difformità ha provocato il sorgere di un contrasto giurisprudenziale sulla possibilità di ritenere applicabile al giudizio di rinvio la proroga del termine prevista dall’art. 309, comma 10, c.p.p.

La questione è di un certo rilievo in relazione al diritto inviolabile alla libertà personale poiché, se si opta per l’inoperatività, l’ordinanza cautelare perderebbe immediatamente efficacia qualora la motivazione venga depositata dopo il trentesimo giorno; viceversa, nel caso di opposta interpretazione, la misura continuerebbe ad avere efficacia, purché il deposito della motivazione avvenga entro il quarantacinquesimo giorno dalla decisione.

 

2. Nel caso di specie, il Tribunale di Catanzaro, in sede di rinvio, aveva ritenuto operante la disciplina di cui all’art. 309, comma 10, c.p.p.: infatti, dopo aver confermato l’ordinanza applicativa della misura cautelare in carcere, aveva depositato la motivazione oltre il trentesimo giorno, ma, comunque, entro il quarantacinquesimo.

Il ricorrente aveva così proposto di nuovo ricorso ex art. 311 c.p.p., lamentando, da un lato, la mancata applicazione dell’art. 311, comma 5-bis, c.p.p., dall’altro, l’errata applicazione dell’art. 309, comma 10, c.p.p.

 

3. La Corte ha individuato la presenza di due opposti indirizzi della giurisprudenza di legittimità.

Il primo[2] ritiene che l’art. 309, comma 10, c.p.p. debba essere integralmente applicato anche in sede di giudizio di rinvio, sulla base di due considerazioni.

Innanzitutto, la Cassazione sostiene che, pur prendendo atto della diversa formulazione letterale delle due disposizioni, il comma 5-bis dell’art. 311 c.p.p. avrebbe la funzione di equiparare la disciplina del procedimento di rinvio a quella ordinaria[3]: più specificamente, la ratio della nuova previsione sarebbe quella di introdurre nel procedimento di rinvio un sistema di termini, previsto a pena di inefficacia della misura coercitiva, in parallelo con quanto stabilito nell’art. 309 c.p.p.[4].

Quest’orientamento giustifica tale interpretazione sulla base di un confronto con quanto accadeva prima della riforma: non vi era alcuna disciplina specifica sui termini per il giudizio di rinvio nell’art. 311 c.p.p. e la giurisprudenza consolidata negava l’applicabilità in tal sede dei termini perentori ex art. 309, commi 5 e 9, c.p.p., in considerazione dell’incompatibilità della suddetta disciplina con i tempi e la funzione del procedimento di rinvio; di conseguenza, veniva ritenuta operante la previsione generale sui termini di cui all’art. 127 c.p.p.[5].

Il mutato contesto normativo sarebbe quindi – secondo siffatto indirizzo – espressione dell’intento del legislatore di superare questo precedente orientamento e di uniformare così la disciplina del giudizio di riesame, anche quando questo segua a un annullamento con rinvio, sotto il profilo della perentorietà dei termini entro cui devono pervenire la decisione e il deposito dei motivi. Se questa è la ratio della novella – si conclude –, non vi sarebbe pertanto ragione di escludere anche la proroga del tempo per il deposito dell’ordinanza ex art. 309, comma 10, c.p.p.[6]; ritenere altrimenti pregiudicherebbe questa finalità[7].

La seconda motivazione è di carattere meramente pratico: nel giudizio di rinvio le tematiche e il contenuto possono anche risultare complessi poiché sono sempre valutabili nuovi elementi di fatto, essendo i procedimenti in materia cautelare dei giudizi “allo stato degli atti”[8]; non può quindi trovare giustificazione una «presunzione di maggior semplicità nella redazione del provvedimento»[9].

A conferma di questo assunto, una sentenza constata che il caso concreto su cui doveva pronunciarsi costituiva un chiaro esempio di come non vi sia sempre una minore complessità del giudizio di rinvio a seguito di annullamento. Infatti, in tale fattispecie, l’annullamento della precedente ordinanza del tribunale del riesame era stato dettato da ragioni di natura esclusivamente processuale, con la conseguenza che il giudice del rinvio era stato investito – per la prima volta – dell’intero merito cautelare; era necessario quindi «un impegno motivazionale certamente più complesso e gravoso di quello del giudice che aveva emesso l’ordinanza annullata»[10].

 

4. Su un versante completamente opposto si schierano però, come anticipato, due sentenze[11], le quali escludono l’operatività della proroga del termine per il deposito della motivazione di cui all’art. 309, comma 10, c.p.p. in sede di giudizio di rinvio.

Questo secondo orientamento si basa su tre considerazioni.

La prima è di carattere letterale e si fonda sulla diversa formulazione degli artt. 309, 310 e 311 c.p.p.: tale indirizzo ritiene dirimente che quest’ultima disposizione, a differenza delle prime due, non prevede la possibilità di disporre la proroga del termine per il deposito dei motivi[12].

In secondo luogo, si sostiene che l’inserimento da parte della l. 47/2015 di termini perentori anche nel giudizio di rinvio costituirebbe una risposta all’esigenza di definire con la massima celerità la posizione di chi, pur avendo ottenuto una pronuncia di annullamento da parte della Corte, si trova ancora privato della libertà personale[13]. Una tale disciplina sarebbe quindi coerente con le esigenze di tutela del diritto di cui all’art. 13 Cost. e soddisferebbe inoltre quanto previsto dall’art. 5, § 4, C.e.d.u. e dall’art. 9, § 4, Patto int. dir. civ. pol., i quali sanciscono il diritto di chi è privato della libertà personale di ottenere «in brevi termini» o «senza indugio» una decisione sulla legalità della misura e sulla liberazione[14].

Da ultimo, contrariamente al primo indirizzo, si afferma che la diversità di disciplina tra gli artt. 309 e 311 c.p.p. sarebbe dettata da «una valutazione di non particolare complessità di un nuovo giudizio scaturito dall’annullamento con rinvio»[15].

 

5. La dottrina sembra propendere per questa tesi più rigorosa e quindi per l’inoperatività della proroga del termine di cui all’art. 309, comma 10, c.p.p. nel giudizio di rinvio[16].

Si è affermato, in particolare, che la ragione della discordanza tra gli artt. 309 e 311 c.p.p. è dovuta – salva, comunque, una possibile svista del legislatore – a «una (opinabile) valutazione di non particolare complessità di un nuovo giudizio scaturito dall’annullamento con rinvio della Suprema corte»[17].

Secondo un’altra opinione, la ragione sembrerebbe rinvenirsi «nella circostanza che il tribunale è già in possesso del patrimonio di conoscenze necessario per la decisione ed ha già emesso un provvedimento che dovrà essere rivisto sulla scorta delle specifiche censure della Corte»[18].

Infine, si è ritenuto, criticando il primo indirizzo, che l’assenza della proroga nell’art. 311 c.p.p. trovi fondamento sul «lungo tempo ormai intercorso nella vicenda cautelare», sulla «sostanziale “riduzione” delle tematiche conseguenti all’annullamento» e sull’«eccezionalità della proroga del tempo di deposito della motivazione»[19].

 

6. In effetti, la tesi restrittiva ci pare preferibile per una serie di ragioni.

Innanzitutto, sembra determinante il confronto tra gli artt. 309, 310 e 311 c.p.p. Quest’ultima disposizione, a differenza delle prime due, come più volte emerso, non contempla espressamente la possibilità di prorogare il termine per il deposito della motivazione, onde per cui ciò farebbe propendere per l’inoperatività di siffatta proroga nel giudizio di rinvio: se il legislatore infatti avesse voluto prevederla anche in quest’ultima sede, l’avrebbe introdotta nel comma 5-bis dell’art. 311 c.p.p. o, quantomeno, avrebbe inserito nella relativa disposizione un rinvio al comma 10 dell’art. 309 c.p.p.

Tale assuntopare trovare una spiegazione negli stessi lavori preparatori della l. 47/2015, dai quali emerge come la previsione della proroga per il deposito della motivazione non fosse contemplata nell’originario progetto di legge, ma fosse stata inserita solo in un momento successivo ed esclusivamente negli artt. 309 e 310 c.p.p., tralasciando quindi l’art. 311 c.p.p.[20].

Questa omissione non sembra essere ascrivibile a una svista del legislatore, poiché, tra gli emendamenti presentati durante i lavori della Commissione Giustizia del Senato, ve ne erano alcuni aventi a oggetto proprio la previsione di un termine più lungo per il deposito della motivazione in sede di giudizio di rinvio[21], i quali però erano stati successivamente respinti o ritirati[22].

Pertanto, tale circostanza sembrerebbe dimostrare come la tematica in questione fosse stata trattata in sede di lavori preparatori e che, in definitiva, la volontà fosse stata quella di non prevedere il termine di quarantacinque giorni nell’art. 311 c.p.p.

D’altra parte, si potrebbe obiettare che in realtà il legislatore non avesse ritenuto necessario inserire la proroga del termine per il deposito della motivazione nell’art. 311 c.p.p., in considerazione della disciplina prevista dall’art. 627, comma 2, c.p.p., il quale detta «un principio a carattere generale»[23], applicabile anche in materia de libertate.

In particolare, dal momento che tale disposizione prevede che i poteri del giudice del rinvio – «salve le limitazioni previste dalla legge» – sono gli stessi di quello la cui sentenza è stata annullata, si potrebbe ritenere che il giudice del rinvio in sede cautelare possa legittimamente disporre la proroga per il deposito dei motivi, secondo quanto stabilito dall’art. 309, comma 10, c.p.p.

Allo stesso tempo, però, dal confronto tra quest’ultima disposizione e l’art. 311, comma 5-bis, c.p.p. potrebbe emergere una di quelle «limitazioni previste dalla legge» ex art. 627, comma 2, c.p.p. Infatti, l’art. 311, comma 5-bis, c.p.p. è stato introdotto proprio per regolare i termini nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento di un’ordinanza che ha disposto o confermato una misura coercitiva, e ha previsto una disciplina analoga a quella dell’art. 309, comma 10, c.p.p., con la sola eccezione di aver omesso la proroga del termine per il deposito dei motivi: questa differenza tra le due disposizioni potrebbe essere considerata come un implicito limite stabilito dalla legge e, pertanto, in sede di rinvio, dovrebbe trovare applicazione solo la disciplina specifica ex art. 311, comma 5-bis, c.p.p. e non anche quella dell’art. 309, comma 10, c.p.p.

Quanto sostenuto sembra, peraltro, trovare conferma nella considerazione che, in linea generale, il giudizio di rinvio è regolato dalla disciplina propria della fase a cui il processo è riportato, salva comunque la prevalenza delle specifiche disposizioni che lo regolano[24].

Infine, un ulteriore elemento che farebbe propendere per l’interpretazione più favorevole all’imputato è l’esigenza di tutela della libertà personale.

È da considerare che, nel caso di una pronuncia di annullamento con rinvio, il ricorrente si è visto riconoscere la fondatezza delle sue ragioni e, di conseguenza, «il permanere della limitazione della libertà personale si fonda su un titolo ufficialmente riconosciuto come illegittimo»[25]: una tale situazione sembrerebbe pertanto richiedere la massima celerità possibile del procedimento.

Inoltre, pare condivisibile l’osservazione secondo cui, una volta giunti in sede di giudizio di rinvio, la vicenda cautelare si è ormai protratta per lungo tempo e ciò, quindi, giustificherebbe l’assenza del termine più lungo nell’art. 311 c.p.p.[26].

D’altra parte, non pare del tutto chiaro il ragionamento sotteso al primo indirizzo: si afferma che il mutato contesto normativo rispetto al passato sarebbe manifestazione dell’intento del legislatore di attribuire al nuovo comma 5-bis dell’art. 311 c.p.p. il solo fine di equiparare la disciplina del procedimento a seguito di rinvio a quella ordinaria. In realtà, se la finalità di tale previsione fosse stata solo questa, ci si sarebbe limitati a inserire nell’art. 311 c.p.p. un richiamo all’art. 309 c.p.p. e non si sarebbe prevista, al contrario, una specifica disciplina sui termini, omettendo – con consapevolezza, come sembra emergere dai lavori preparatori, – la possibilità di disporre la proroga.

La prima tesi non pare inoltre sostenibile poiché sembra basarsi sul ricorso surrettizio all’applicazione analogica, in assenza di un presupposto essenziale per utilizzare questa tecnica argomentativa: ovverosia la presenza di una lacuna.

Se prima della l. 47/2015 mancava una disciplina specifica sui termini in sede di procedimento di rinvio, – onde per cui poteva legittimamente ritenersi applicabile quella dell’art. 309 c.p.p. – attualmente, invece, una previsione nel nuovo art. 311 c.p.p. c’è: di conseguenza non può parlarsi di vuoto normativo.

Inoltre, anche se si ritenesse sussistente una lacuna, non potrebbe in ogni caso trovare applicazione l’analogia legis, dal momento che la previsione della proroga del termine è disposizione eccezionale, in quanto deroga alla previsione generale che stabilisce il termine di trenta giorni per il deposito dei motivi.

In forza di tutte queste considerazioni, sembra preferibile l’orientamento più rigoroso. Ben si comprendono le esigenze pratiche sottese al primo indirizzo[27], ma, per l’operare della proroga dell’art. 309 c.p.p. anche nel giudizio di rinvio, sarebbe evidentemente necessario un intervento puntuale del legislatore.

 


[1] Sul nuovo art. 311, comma 5-bis, c.p.p., si veda M. Bargis, Commento all’art. 13,  l. n. 47/2015, Le novità nella disciplina del giudizio di rinvio: una replica imperfetta, in www.lalegislazionepenale.eu, 21 settembre 2015; P. Borelli, Una prima lettura delle novità della legge 47 del 2015 in tema di misure cautelari personali, in questa Rivista, 3 giugno 2015, pp. 32-33; P. Di Stefano, Le impugnazioni, in Aa.Vv., La cautela nel sistema penale, Misure e mezzi di impugnazione, a cura di A. Bassi, Padova, 2016, pp. 442-445; P. Maggio, I controlli, in Aa.Vv., Il rinnovamento delle misure cautelari, Analisi della legge n. 47 del 16 aprile 2015, a cura di T. Bene, Torino, 2015, pp. 117-118; E. Marzaduri, Diritto di difesa e tempi del procedimento dinanzi al tribunale della libertà, in Aa.Vv., La riforma delle misure cautelari personali, a cura di L. Giuliani, Torino, 2015, pp. 243-248.

[2] V. Cass., sez. V, 8 gennaio 2016, n. 18571, in Giur. it., 2016, p. 1499; Cass., sez. V, 8 gennaio 2016, n. 18572, in Ced. Cass., n. 267219; Cass., sez. I, 5 ottobre 2016, n. 5502, inedita.

[3] Cfr. Cass., sez. V, 8 gennaio 2016, n. 18571, cit., pp. 1499-1500.

[4] In questi termini, v. Cass., sez. I, 5 ottobre 2016, n. 5502, cit.

[5] Siffatto indirizzo giurisprudenziale era stato avviato da una pronuncia delle Sezioni Unite del 1996 (Cass., sez. un., 17 aprile 1996, D’Avino, in Giur. it., 1996, II, c. 631). Tra le tante altre sentenze, si veda, ad esempio, Cass., sez. I, 14 giugno 2013, n. 30344, in Ced. Cass., n. 256798, la quale, peraltro, aveva ritenuto manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale, sollevata con riferimento agli artt. 3, 13 e 111 Cost., per la diversità della disciplina prevista per il riesame rispetto a quella del giudizio di rinvio: in quest’ultima sede – secondo il ragionamento della Corte – «l’urgenza di intervenire è meno pressante», dal momento che dall’annullamento con rinvio si dedurrebbe «chiaramente come non si vers[i] in ipotesi di radicale insussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura, ipotesi per la quale, invece, [dovrebbe] intervenire la decisione di annullamento senza rinvio, conclusiva in via definitiva del corso del procedimento»; diversa, invece, sarebbe la situazione nel giudizio di riesame in cui vi sarebbe l’urgenza a verificare la sussistenza dei presupposti che legittimano la privazione della libertà personale; Cass., sez. VI, 29 maggio 2006, n. 22310, ivi, n. 23476; Cass., sez. VI, 16 giugno 2003, Bici, in Riv. pen., 2004, p. 89; Cass., sez. V, 2 dicembre 1997, Sette, in Cass. pen., 1999, pp. 3191-3192. Sul tema, si veda, M. Bargis, Commento all’art. 13, cit., pp. 7-8; E. Marzaduri, Diritto di difesa e tempi del procedimento, cit., pp. 245-246.

[6] Cfr. Cass., sez. I, 5 ottobre 2016, n. 5502, cit.

[7] Così Cass., sez. V, 8 gennaio 2016, n. 18571, cit., p. 1500.

[8] Cfr. Cass., sez. II, 12 marzo 2014, n. 16359, in Ced. Cass., n. 261611, secondo cui, sebbene il giudice del rinvio sia vincolato al principio di diritto affermato dalla Cassazione e debba limitarsi all’esame del punto della decisione colpito dall’annullamento, con il divieto di estendere l’indagine ai vizi di nullità o inammissibilità non riscontrati dalla Corte, «è salva, nella specifica materia, la sopravvenienza di nuovi elementi di fatto, sempre valutabili nel giudizio allo stato degli atti». V. anche Cass., sez. IV, 14 marzo 2000, n. 1733, in Cass. pen., 2001, p. 2424.

[9] V. Cass., sez. V, 8 gennaio 2016, n. 18571, cit., p. 1500. Nello stesso senso, cfr. la coeva sentenza Cass., sez. V, 8 gennaio 2016, n. 18572, cit.

[10] In questi termini, v. Cass., sez. I, 5 ottobre 2016, n. 5502, cit.

[11] Cfr. Cass., sez. II, 6 maggio 2016, n. 20248, in Ced. Cass., n. 266898; Cass., sez. II, 6 maggio 2016, n. 23583, inedita.

[12] V. Cass., sez. II, 6 maggio 2016, n. 20248, cit.

[13] Cfr. Cass., sez. II, 6 maggio 2016, n. 20248, cit.

[14] In questi termini, Cass., sez. II, 6 maggio 2016, n. 23583, cit.

[15] Così Cass., sez. II, 6 maggio 2016, n. 20248, cit.

[16] V. E. Aprile-F. D’Arcangelo, Le misure cautelari nel processo penale, 3a ed., Milano, 2017; p. 538; M. Bargis, Commento all’art. 13, cit., p. 9; P. Borelli, Una prima lettura, cit., p. 32; R. Bricchetti-L. Pistorelli, Annullata la misura se gli atti non arrivano entro cinque giorni, in Guida dir., 2015, n. 20, p. 57; G. Illuminati, Verso il ripristino della cultura delle garanzie in tema di libertà personale dell’imputato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, p. 1160; E.N. La Rocca, Le nuove disposizioni in materia di misure cautelari personali (Ddl 1232b), in www.archiviopenale.it, 2015, pp. 9-10; P. Maggio, I controlli, cit., p. 117; V. Pazienza, Le nuove disposizioni in tema di misure cautelari, Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, n. III/5/2015, in questa Rivista, 7 maggio 2015, p. 34; G. Spangher, L’art. 309, 10° comma, c.p.p.: una norma “usa e getta”, in Giur. it., 2016, p. 1501.

[17] Cfr. V. Pazienza, Le nuove disposizioni, cit., p. 34.

[18] In questi termini, P. Borelli, Una prima lettura, cit., p. 32.

[19] Così G. Spangher, L’art. 309, 10° comma, c.p.p., cit., p. 1501.

[20] Cfr. Atti parlamentari, XVII Legislatura, Senato, Aula, res. sten., seduta 2 aprile 2014.

[21] Cfr. Atti parlamentari, cit., Senato, II Commissione permanente, res. sommario, seduta 4 febbraio 2014.

[22] V. Atti parlamentari, cit., Senato, Aula, res. sten., seduta 1 aprile 2014.

[23] V. E.N. La Rocca, Il riesame delle misure cautelari personali, Milano, 2012, p. 208.

[24] Cfr. F.R. Dinacci, L’inquadramento sistematico del giudizio di rinvio, in A.a.Vv., Le impugnazioni penali, dir. da A. Gaito, t. II, Torino, 1998, pp. 708-710, il quale afferma che la formulazione dell’art. 627, comma 2, c.p.p. «è una chiara presa di posizione autoritativa di prevalenza delle regole dettate per il giudizio di rinvio su quelle contemplate per il procedimento ordinario su cui si è innestato il giudizio di rinvio»; G. Iadecola, Cassazione della sentenza penale e giudizio di rinvio, in Giur. merito, pp. 2585-2586, secondo cui «la “recessività” della disciplina propria della fase o del grado cui il processo è riportato per effetto dell’annullamento scaturisce dallo stesso testo normativo (art. 627, co. 2, c.p.p.)»; E.N. La Rocca, Il riesame, cit., pp. 207-208.

[25] Cfr. G. Illuminati, Verso il ripristino, cit., p. 1160.

[26] V., supra, § 5.

[27] Ci si riferisce in particolare a quelle vicende di straordinaria complessità nelle quali può essere necessario avere più tempo per la redazione dei motivi dell’ordinanza cautelare; si pensi, ad esempio, ai procedimenti per delitti di criminalità organizzata. In effetti, uno degli emendamenti proposti (il n. 15.6, presentato dal sen. Casson e altri) in sede di lavori della Commissione Giustizia del Senato – in seguito però ritirato – aveva avuto a oggetto proprio l’inserimento nell’art. 311 c.p.p. di un termine più lungo per il deposito della motivazione qualora l’ordinanza cautelare fosse stata emessa per i delitti previsti dagli artt. 270, 270-bis, 306, 416, 416-bis c.p., 74, d.P.R., 9 ottobre 1990, n. 309 e 260, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152: Atti parlamentari, cit., Senato, II Commissione permanente, res. sommario, seduta 4 febbraio 2014.