ISSN 2039-1676


18 settembre 2017 |

Mancata estensione della non punibilità per particolare tenuità del fatto alla ricettazione di particolare tenuità: infondata (ma non troppo) la relativa questione di legittimità

Nota a Corte Cost., sent. 24 maggio 2017 (dep. 17 luglio 2017), n. 207, pres. Grossi, rel. Lattanzi

Contributo pubblicato nel Fascicolo 9/2017

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1. La mancata estensione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p. alle ipotesi di ricettazione di particolare tenuità di cui all’art. 648, co. 2, c.p. è o non è irragionevole al cospetto dei principi costituzionali? Questo, in estrema sintesi, il quesito sollevato dal Tribunale di Nola con ordinanza del 14 gennaio 2016 (già pubblicata in questa Rivista con nota della sottoscritta: clicca qui per accedervi). Quesito al quale – lo anticipiamo – la Corte Costituzionale fornisce risposta negativa con la sentenza in commento, pur con alcuni distinguo che contengono utili indicazioni per il legislatore futuro.  

 

2. Ma procediamo con ordine. Innanzitutto ricapitoliamo il caso che ha dato adito al giudizio di legittimità costituzionale.

La vicenda trae origine da un processo penale a carico di un imputato, accusato di aver ricettato trentuno astucci di certa provenienza illecita in quanto muniti di marchi e segni distintivi contraffatti. A fronte di tale addebito, ritenuto fondato in punto di fatto, il Tribunale di Nola rileva che – in considerazione di una pluralità di indici, quali: la qualità, quantità e valore economico della merce ricettata, le modalità di vendita degli astucci in un mercatino rionale, lo stato di incensuratezza dell’imputato nonché la sua condotta complessiva – il fatto possa essere sussunto nella fattispecie attenuata della ricettazione di particolare tenuità di cui all’art. 648, co 2, c.p.

Il Tribunale di Nola, tuttavia, osserva ulteriormente che – alla luce dei medesimi elementi valorizzati ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante – il caso di specie sarebbe astrattamente riconducibile ai casi di particolare tenuità di cui all’art. 131-bis c.p., se non fosse per l’insuperabile sbarramento normativo fissato dallo stesso art. 131-bis c.p.: la ricettazione, ancorché attenuata ai sensi del comma 2 dell’art. 648 c.p. ha, infatti, massimo edittale pari a sei anni, superiore, quindi, al limite inderogabile di cinque anni fissato dal primo comma dell’art. 131-bis c.p.   

 

3. Siffatta impossibilità di applicare l’art. 131-bis c.p. nelle ipotesi di ricettazione di particolare tenuità, tuttavia, appare irragionevole agli occhi del giudice remittente. Tale irragionevolezza discenderebbe in particolare:

a) in primo luogo, dalla disparità di trattamento tra le ipotesi di ricettazione attenuata, astrattamente gravi in quanto il relativo massimo edittale arriva a 6 anni di reclusione, che tuttavia in concreto si manifestano spesso come scarsamente offensive, e fattispecie di reato astrattamente meno gravi in quanto il relativo massimo edittale non supera i 5 anni – e che dunque rientrano del campo di applicazione dell’art. 131-bis c.p. –, ma che in concreto possono manifestarsi come assai lesive del bene giuridico tutelato. A tal proposito il Tribunale di Nola menziona – nel ruolo di tertia comparationis –  sia delitti contro il patrimonio (caratterizzati dunque da una parziale omogeneità dei beni giuridici tutelati), sia una gamma eterogenea di altre fattispecie di reato caratterizzate da una diversità di bene giuridico. Tale disparità di trattamento non sarebbe sorretta «da valori rispondenti ad un principio di ragionevolezza» così traducendosi, in definitiva, in una lesione del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge;

b) in secondo luogo, da considerazioni sistematiche: la scelta del legislatore di ancorare l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. al limite edittale massimo di cinque anni senza tenere in debita considerazione l’assetto complessivo delle singole fattispecie e del relativo trattamento sanzionatorio sarebbe «arbitraria» – e dunque sindacabile da parte della Corte Costituzionale – oltreché foriera di «difficoltà e storture nell’applicazione pratica».

Da ciò il sospettato contrasto dell’art. 131-bis c.p. con l’art. 3 Cost sub specie di principio di uguaglianza e ragionevolezza «laddove, stabilendo che la disposizione del primo comma si applica anche quando la legge preveda la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante, non estende l’applicabilità della norma all’ipotesi attenuata di cui all’art. 648, comma 2, c.p., fattispecie [per l’appunto] irragionevolmente esclusa dall’ambito applicativo dell’art. 131-bis c.p. in ragione del limite massimo della pena astrattamente superiore ad anni cinque».

A tale censura si aggiunge poi, nella prospettazione del giudice remittente, quella relativa alla violazione del principio di offensività, ricavabile dagli artt. 13, 25 e 27 Cost.

 

4. Come anticipato, la Corte ritiene, nel merito, non fondate le censure formulate dal giudice remittente. 

In particolare, circa la prospettata violazione dell’art. 3 Cost., la Corte esordisce sgombrando il campo da ogni equivoco quanto al fatto che l’esistenza di un’attenuante che preveda quali elementi costitutivi la particolare tenuità del danno o del pericolo possa comportare automaticamente l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. Se è vero, infatti, che la sussistenza di un’attenuante che valorizzi la tenuità di alcuni elementi costitutivi del fatto in sé non osta all’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto – e ciò ai sensi del disposto del quinto comma dell’art. 131-bis c.p. – nondimeno le considerazioni che soggiacciono alla valutazione in termini di tenuità variano a seconda che si sia in presenza di un’attenuante o della causa di esclusione della punibilità di cui al 131-bis c.p.[1], sì che «tra l’attenuante del fatto di particolare tenuità, prevista per il reato di ricettazione, e la causa di non punibilità dell’art. 131-bis cod. pen. non può stabilirsi alcun collegamento che possa comportarne l’applicabilità».

 

5. Svolta questa preliminare considerazione, la Corte dichiara non fondata la violazione dell’art. 3 Cost. attesa l’assenza, nel caso di specie, di limiti costituzionalmente vincolanti alla discrezionalità legislativa. In particolare, la Consulta sottolinea l’inidoneità dei tertia comparationis indicati dal giudice remittente a fungere da parametro di riferimento ai fini della verifica della lesione del principio di ragionevolezza. Nessuna delle fattispecie di reato proposte dal Tribunale di Nola costituisce – a parere della Corte – un valido «modello comparativo, al quale fare riferimento per individuare una soluzione costituzionalmente obbligata». Le figure di reato proposte dal giudice a quo, infatti, sono ritenute incomparabili con la ricettazione «sia per quanto attiene alla loro struttura, sia anche, per la maggior parte di esse, per quanto attiene ai beni tutelati». Sintomatico di tale inidoneità sarebbe proprio il fatto che il giudice remittente abbia indicato quale termine di paragone un elenco molto nutrito di reati e non uno solo o alcuni di essi. Così, richiamando la propria giurisprudenza sul punto[2], la Corte ribadisce che «anche in presenza di norme manifestamente arbitrarie o irragionevoli, solo l’indicazione di un tertium comparationis idoneo, o comunque di specifici cogenti punti di riferimento, può legittimare l’intervento della Corte in materia penale, poiché non spetta ad essa assumere autonome determinazioni in sostituzione delle valutazioni riservate al legislatore. Se così non fosse, l’intervento, essendo creativo, interferirebbe indebitamente nella sfera delle scelte di politica sanzionatoria rimesse al legislatore».

 

6. Anche la questione relativa alla scelta di ancorare l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. al solo massimo edittale viene ritenuta dalla Corte infondata. E ciò in quanto il giudizio di ponderazione che soggiace alla scelta di estendere o meno a determinate fattispecie una causa di esclusione della punibilità appartiene – in prima battuta – al legislatore[3] ed è pertanto sindacabile dal giudice costituzionale nelle sole ipotesi di manifesta irragionevolezza; ciò che a parere della Consulta non è ravvisabile nel caso di specie.

 

7. Una volta esclusa la violazione dell’art. 3 Cost. sub specie di principio di ragionevolezza e uguaglianza, molto sinteticamente la Corte rigetta anche le ulteriori censure prospettate dal giudice remittente poiché fondate sull’erroneo presupposto che l’ambito di applicazione della causa di esclusione della punibilità in parola comprenda fatti in concreto inoffensivi, mentre – come noto[4] – il beneficio di cui all’art. 131-bis c.p. entra in gioco solo in presenza di fatti caratterizzati da una certa, seppur minima, offensività.

 

8. Nonostante la declaratoria di non fondatezza delle censure prospettate dal giudice remittente, la Corte riconosce tuttavia il carattere insoddisfacente della situazione normativa attuale in materia di ricettazione, e le conseguenze che da essa discendono in relazione alla causa di non punibilità in questione. Due, in particolare, i profili che la Corte sottolinea:

a) anzitutto, «l’anomalia» della cornice edittale della ricettazione di particolare tenuità, anomalia risultante dall’ampia forbice edittale tra il minimo e il massimo (quindici giorni – sei anni) e dalla «ampia sovrapposizione» con il quadro edittale previsto per l’ipotesi base della ricettazione (due anni – otto anni);

b) inoltre, poi, il fatto che è ben possibile immaginare che possano presentarsi casi concreti – punibili con la pena minima di soli quindici giorni di reclusione – in cui sussistano tutti gli altri requisiti richiesti per dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, soprattutto ove si consideri che «invece, per reati (come, ad esempio, il furto o la truffa) che di tale causa consentono l’applicazione, è prevista la pena minima, non particolarmente lieve, di sei mesi di reclusione. Pena che, secondo la valutazione del legislatore, dovrebbe essere indicativa di fatti di ben maggiore offensività».

E la via per ovviare a «situazioni di questo tipo» viene individuata dalla Corte proprio nella discussa possibilità di introdurre[5], all’interno dell’art. 131 bis c.p., «oltre alla pena massima edittale, al di sopra della quale la causa di non punibilità non possa operare, […] anche una pena minima, al di sotto della quale i fatti possano comunque essere considerati di particolare tenuità», intervento che tuttavia non può che spettare al legislatore.

 

* * *

 

9. In attesa di più autorevoli e meditati commenti alla pronuncia della Corte, siano consentite alcune riflessioni di prima lettura sulla sentenza in parola. Invero, chi scrive aveva già avuto modo di esprimere la propria opinione sul punto, in sede di commento della relativa ordinanza di rimessione (cfr. S. Santini, L’articolo 131-bis c.p. al vaglio della Corte Costituzionale: irragionevole la sua mancata estensione alla ricettazione di particolare tenuità ex art. 648, comma 2, c.p.?, in questa Rivista, 22 dicembre 2016). In quell’occasione, avevamo cercato di proporre alcuni argomenti, parzialmente distinti rispetto a quelli valorizzati dal giudice remittente e ai quali semplicemente rinviamo, a sostegno della violazione dell’art. 3 Cost. all’esito di un sindacato di (ir-)ragionevolezza della fattispecie impugnata che fosse svincolato dalla necessaria individuazione di un valido tertium comparationis.

A sostegno di un sindacato fondato sull’irragionevolezza intrinseca della fattispecie impugnata indicavamo in particolare l’orientamento espresso dalla stessa Corte Costituzionale con la sentenza 236/2017 in tema di proporzionalità della pena, nella quale la Corte ha «strutturato il cuore della motivazione non già attorno alla disparità di trattamento tra la disposizione censurata [alterazione dello stato civile di un neonato realizzata mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità] e altra disposizione assunta come tertium comparationis, quanto piuttosto attorno all’irragionevolezza intrinseca del trattamento sanzionatorio previsto dalla disposizione oggetto di scrutinio»[6]

Tale orientamento, tuttavia, non è stato ripreso nella presente occasione; e, anzi, proprio l’assenza di un valido tertium comparationis – effettivamente non individuabile –, e più in generale l’assenza di limiti costituzionalmente vincolanti della discrezionalità legislativa in base ai quali intervenire “a rime obbligate”, è stato l’argomento centrale della declaratoria di non fondatezza della questione di legittimità sollevata.

 

10. É però nello spiraglio finale lasciato aperto dalla Corte Costituzionale che forse risiede l’aspetto più significativo della pronuncia in commento.

Il fatto che la Corte abbia ritenuto di non poter sindacare la scelta operata dal legislatore, non le ha però impedito di evidenziare quei profili di stortura di cui sopra abbiamo dato conto. Storture alle quali è la stessa Corte a proporre un possibile rimedio: introdurre, nella disciplina della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, il criterio del minimo edittale, al di sotto del quale – seppur superato il limite massimo dei cinque anni – lasciare la facoltà al giudice del caso concreto di vagliare l’applicabilità della causa di esclusione della punibilità. 

Insomma, a buon intenditore poche parole: giacché «di tali interventi […], una volta che ne sia stata rilevata l’esigenza, non può non farsi carico il legislatore, per evitare il protrarsi di trattamenti penali generalmente avvertiti come iniqui»[7].   

 


[1] Al riguardo la Corte Costituzionale richiama la sentenza Corte di cassazione, Sez. Un., 25 febbraio 2016, n. 13681.

[2] In particolare il riferimento è alle sentenze nn. 236 e 148 del 2016.

[3] A tal proposito la Corte richiama la propria precedente sentenza n. 140/2009.

[4] In tal senso v. Cass., Sez. Un., 25 febbraio 2016, n. 13681.

[5] Sul punto, cfr. T. Padovani, Un intento deflattivo dal possibile effetto boomerang, in Guid. dir., 2015, n. 15, p. 20

[6] Così F. Viganò, Un’importante pronuncia della Consulta sulla proporzionalità della pena, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim, 2/2017, pp. 61-66.

[7] Così la Corte Costituzionale nella sentenza in oggetto, p. 9.