ISSN 2039-1676


10 aprile 2018 |

Alle Sezioni Unite la questione sulla possibilità di disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca cd. allargata ex art. 12-sexies L. 356/1992 in relazione al reato di tentata estorsione aggravata ex art. 7 L. 203/1991.

Cass., Sez. II, ord. 9 gennaio 2018 (dep. 5 febbraio 2018), n. 5378, Pres. Diotallevi, Rel. De Crescienzo, ricc. Di Maro e Greco

Contributo pubblicato nel Fascicolo 4/2018

Per leggere il testo dell'ordinanza, clicca in alto su "visualizza allegato".

 

1. Con l'ordinanza qui illustrata, la seconda sezione penale della Corte di Cassazione torna ad analizzare la questione della possibilità di disporre il sequestro preventivo finalizzato alla cd. confisca "allargata" ex art. 12-sexies D.L. 8.06.1992 n. 306, conv. nella L. 356/92 e succ. mod., nel caso di violazione dei reati contemplati dalla predetta norma, anche nella forma del tentativo aggravato dall'art. 7 L. n. 203/91".

In particolare, la Suprema Corte preso atto del cristallizzato contrasto giurisprudenziale formatosi all'interno delle sezioni prima, seconda e quinta della medesima rimette il ricorso alle Sezioni Unite affinché possano dirimere ogni attrito.

 

2. Nella vicenda sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità, il Giudice per indagini preliminari del Tribunale di Napoli disponeva con decreto ex art. 321 c.p.p. e 12-sexies L. 356/1992 il sequestro preventivo di svariati beni mobili ed immobili appartenenti a due coniugi, di cui uno indagato e sottoposto a misura cautelare personale, confermata anche dal Tribunale del riesame, per il delitto di concorso in tentata estorsione aggravata ex art. 7 L. 203/1991, commessa tra il maggio del 2015 e l'agosto del 2016 ai danni di taluni imprenditori. I due coniugi ricorrevano al Tribunale del riesame di Napoli chiedendo l'annullamento del decreto cautelare reale denunciando illegittimità della misura siccome applicata per una ipotesi non prevista dall'art. 12-sexies L. 356/1992 (tentata estorsione aggravata ex art. 7 L. 203/1991), nonché la mancanza del presupposto giustificativo del sequestro, ovvero la sproporzione tra il valore del patrimonio ed i redditi.

Il Tribunale del riesame accoglieva con ordinanza soltanto parzialmente l'istanza dei due coniugi disponendo il dissequestro e la restituzione di tutti i beni acquistati dagli stessi nel periodo 1997-2015 essendo indimostrato il presupposto della "sproporzione" tra il valore dei beni sequestrati e la capacità reddituale dei ricorrenti. Allo stesso tempo veniva confermato il sequestro limitatamente ad una quota di un'imbarcazione di dodici metri comperata nel 2016 dal marito, nonché del saldo di un conto corrente (euro 48.126) intestato alla moglie in quanto ritenuti ingiustificabili, alla luce delle loro complessive entrate reddituali, gli acquisti effettuati dai ricorrenti nell'anno 2016.

 

3. Avverso la suddetta ordinanza i due coniugi ricorrevano per cassazione a mezzo dei rispettivi difensori deducendo ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) c.p.p. l'erronea applicazione degli art. 1 e 56 c.p. e 12-sexies L. 356/1992 ed assenza di motivazione relativamente all'applicazione del sequestro preventivo all'ipotesi del delitto tentato; ex art. 606 comma 1 lett. c) c.p.p., inosservanza dell'art. 324 comma 7 in relazione all'art. 309 ultima parte del c.p.p. per difetto di motivazione relativamente alla mancanza di un'autonoma valutazione da parte del GIP degli indizi dimostrativi di una fittizia intestazione in capo all'imputata; ex art. 606 comma 1 lett. b) c.p.p., violazione dell'art. 12-sexies L. 356/1992 e difetto di motivazione con riferimento alla indimostrata intestazione fittizia dei beni sequestrati e dell'indimostrata inesistenza di un'autonoma capacità reddituale da parte della ricorrente.

Il Procuratore Generale della Suprema Corte concludeva chiedendo, in accoglimento del primo motivo di ricorso, l'annullamento dell'ordinanza impugnata.

 

4. Ad avviso dei giudici di legittimità il primo motivo di ricorso, dirimente ai fini della decisione nel caso di un suo accoglimento, con assorbimento di ogni ulteriore questione, impone la risoluzione del seguente quesito: "se sia possibile disporre il sequestro preventivo finalizzato alla cd. confisca "allargata" ex art. 12-sexies D.L. 8.06.1992 n. 306, conv. nella L. 356/92 e succ. mod., nel caso di violazione dei reati contemplati dalla predetta norma, anche nella forma del tentativo aggravato dall'art. 7 l. n. 203/91".

Il problema, puntualizza la Corte, attiene al fatto che il sequestro preventivo costituisce necessario presupposto ai fini dell'applicazione della confisca allargata, la quale ha subito recenti modifiche ad opera delle L. 161/2017 e L. 172/2017.

 

5. Prima di analizzare questo primo motivo di ricorso, la Cassazione si sofferma sui i caratteri, nonché sulle problematiche pratico-applicative che l'istituto ha presentato dal '92 ad oggi.

La confisca allargata ex art. 12-sexies L. 356/1992 fu introdotta nel nostro ordinamento a seguito delle stragi di Capaci e di via D'Amelio per perseguire in modo più incisivo, attraverso l'aggressione di ricchezze illecitamente accumulate, le organizzazioni criminali di stampo mafioso. Questa misura non ha come presupposto la derivazione dei beni dall'episodio criminale per cui la condanna è intervenuta, ma impone la confisca di denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato, per uno dei reati elencati dalla stessa norma, non possa giustificare la provenienza e in ordine ai quali, anche per interposta persona fisica e giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in misura sproporzionata al proprio reddito dichiarato ai fini fiscali. In seguito, si sottolinea l'irrilevanza del requisito della pertinenzialità del bene al reato, puntualizzando anche come la confisca dei singoli beni non sia preclusa nel caso in cui il loro valore superi il provento del reato per il quale è intervenuta la condanna o per il fatto che essi siano stati acquisiti in epoca anteriore o successiva al medesimo reato. Non è richiesto, infine, neppure l'accertamento della derivazione dei beni da confiscare dall'attività illecita del condannato, in quanto si finirebbe per allargare in modo indefinito il thema decidendum.

Sulla natura della confisca in questione si conferma, nonostante la presenza di opinioni contrarie sul punto[1], il costante orientamento che la qualifica come misura di sicurezza (ancorché atipica secondo le Sezioni Unite più recenti e con funzione anche dissuasiva, ove l'atipicità vale a differenziarla dalle confische richiedenti il nesso di derivazione del bene da confiscare con il reato commesso).

 

6. Fra i numerosi profili particolarmente problematici che interessano l'istituto vi è senza dubbio quello attinente l'applicabilità dello stesso ai delitti tentati aggravati ex art. 7 L. 203/1991. La questione è stata in qualche modo “sfiorata” dal egislatore con la L. 161/2017 la quale ha riscritto l'art. 12-sexies L. 356/1992 rimodellando il catalogo dei reati in presenza dei quali la stessa è applicabile (nel testo attuale si rinvia ai reati di cui all'art. 51 comma 3-bis c.p.p.). Più nello specifico, il problema circa l'applicabilità o meno del sequestro finalizzato alla confisca allargata anche nel caso di violazione nella forma tentata delle norme incriminatrici richiamate dall'art. 12-sexies ed in particolare nell'ipotesi della tentata estorsione aggravata ex art. 7 L. 203/1991 vede attualmente articolarsi nel panorama giurisprudenziale tre differenti orientamenti interpretativi.

Secondo una prima tesi[2], portata avanti sulla base di una lettura strettamente letterale della norma, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all'art. 12-sexies D.L. 306/1991 non può essere disposto in relazione al reato di estorsione tentata in quanto la disposizione in questione si riferirebbe solamente ai reati consumati e non a quelli nella forma tentata. A quest'ultimi, proprio perché dotati di una propria autonomia strutturale[3], non possono essere estesi gli effetti sfavorevoli previsti per il caso di violazione di norme incriminatrici senza specifica previsione anche delle ipotesi di delitto tentato e questo neppure qualora il suddetto delitto tentato sia aggravato ex art. 7 L. 203/1991 in quanto si avrebbe in ogni caso un'illegittima estensione della portata della norma, attesa la già richiamata "autonomia" del delitto tentato.

Ad avviso di un secondo orientamento, che in primo luogo si è interrogato sul rapporto intercorrente tra il primo ed il secondo comma dell'art. 12-sexies L. 356/1992 e sulla portata estensiva proprio di quest'ultimo[4], il secondo comma, dev'essere così letto: "le disposizioni del primo comma [relative alla confisca] si applicano anche nei casi di condanna o di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. per un delitto [diverso da quelli già previsti nel primo comma] ove sia aggravato dall'art. 7 legge cit.". Anche quest'ultimo orientamento, tuttavia, attraverso un iter argomentativo diverso soltanto nelle premesse, escludeva la possibilità di applicare la confisca allargata in relazione al reato di tentata estorsione aggravata, in quanto "essendo il tentativo un reato del tutto autonomo rispetto a quello consumato, gli effetti sfavorevoli previsti da una determinata norma, devono ritenersi di stretta interpretazione, e non possono estendersi anche, salvo espressa previsione normativa, al delitto tentato".  

 

7. La prima Sezione della Suprema Corte[5], invece, proprio in relazione ad un caso di tentata estorsione aggravata ex art. 7 L. 203/1991, ha optato per una opposta soluzione ermeneutica affermando esplicitamente che "il chiaro richiamo contenuto nell'art. 12-sexies, comma 1, all'art. 629 c.p., in mancanza di ulteriori specificazioni, non autorizza alcune distinzioni fra reato consumato e reato tentato, in quanto non collega la confisca al provento o al profitto di quel reato, bensì a beni di cui il condannato non può giustificare la provenienza lecita, indipendentemente dalla loro fonte che si presume derivante dalla complessiva attività illecita del soggetto". Non sarebbe condivisibile, ad avviso di questa Corte, l'opinione contraria portata avanti dai predetti orientamenti e questo proprio in base al tenore testuale del comma secondo dell'art. 12-sexies L. 356/1992 secondo il quale "le disposizioni del comma 1 si applicano anche nei casi di condanna o di applicazione della pena (...) per un delitto commesso avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare le attività delle associazioni previste dallo stesso articolo". Il riferimento generico ai delitti aggravati ex art. 7 L. 203/1991 senza alcuna specificazione sul titolo di reato renderebbe, sempre secondo questo orientamento, applicabile l'istituto del sequestro preventivo finalizzato alla confisca aggravata a qualsiasi delitto in tal senso aggravato, tentato o consumato che sia.

Peraltro, una tale chiave di lettura non solo si pone in linea con il dato testuale della norma in questione, ma si presenterebbe in ogni caso coerente con la finalità dell'istituto, diretto a contrastare le forme di accumulazione patrimoniale illecita in presenza della commissione di un fatto-reato formalizzato come indice rivelatore di una particolare pericolosità soggettiva[6].

 

8. Si evidenzia, infine, nella stessa ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, il fatto che la Suprema Corte, nell'ultimo arresto giurisprudenziale[7] della seconda sezione penale, non abbia in realtà confutato le argomentazioni spese nelle proprie decisioni dalla prima sezione penale andando inevitabilmente a cristallizzare un contrasto interpretativo in merito alla possibilità di disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca cd. allargata in relazione al reato di tentata estorsione aggravata ex art. 7 L. 203/1991. Sul punto si fronteggiano sostanzialmente un primo orientamento fondato esclusivamente sul dato letterale della norma ed un secondo basato su di una diversa interpretazione letterale, teleologica e sistematica della disposizione.

 

9. Sul recente intervento legislativo avvenuto con L. 161/2017 che ha interessato anche l'art. 12-sexies L. 356/1992, la Corte puntualizza che pur non essendo la questione interessata "ratione temporis" dalle modifiche intervenute appare opportuno delineare il quadro normativo mutato a seguito di tale intervento. Il primo comma dell'articolo in questione risulta interamente riscritto e con esso il catalogo dei reati in relazione ai quali l'istituto può trovare applicazione. In seguito alla riforma, l'individuazione dei cd. reati spia ai fini dell'adozione dell'istituto della confisca è stato operato dal legislatore, da un lato, attraverso il richiamo ai delitti di cui all'art. 51 comma 3-bis c.p.p. e dall'altro con l'indicazione di fattispecie penali (fra le quali si rinviene il delitto di cui all'art. 629 c.p.) individuate nominatim. Attraverso tale rinvio "mobile" all'art. 51 comma 3-bis c.p.p. è possibile inoltre arginare quelle problematiche di coordinamento, in passato spesso riscontrate, che si rinvenivano in seguito al costante aggiornamento da parte del legislatore del solo art. 51 comma 3-bis c.p.p. e non dell'art. 12-sexies L. 356/1992, nonostante ricorressero le medesime finalità, creando disarmonia nel sistema.

Pur non formulando espressamente alcuna previsione estensiva all'ipotesi del tentativo, specifica la Suprema Corte, il legislatore ha indifferentemente richiamato tutti i delitti, consumati o tentati, riconducibili alla previsione di cui all'art. 51 comma 3-bis c.p.p., nonché in generale alla categoria dei delitti, senza alcuna specificazione di tipologia, aggravati ex art. 7 L. 203/1991. L'estensione dell'art. 12-sexies L. 356/1992 ai delitti tentati, continua la Suprema Corte, non sembra dunque confliggere con la ratio della norma. La scelta del legislatore è stata, infatti, quella di individuare delitti spia, allarmanti, idonei a ritenere l'esistenza di un'accumulazione economica e ingiustificata e comunque la presenza di un'attività criminale, a sua volta espressione e strumento di ulteriori delitti. L'ipotesi del delitto tentato aggravato ex art. 7 L. 203/1991 costituisce una forma di reato molto allarmante e sintomatica di una capacità criminale che, nonostante si arresti prima della consumazione, è da ritenersi connotata da disvalore analogo o addirittura superiore a taluni reati consumati cui può applicarsi la confisca in questione e ai quali perciò può ritenersi certamente legato un intervento quale quello previsto dalla misura di sicurezza di cui si discute.

Pare dunque alla Corte che il recente intervento legislativo abbia convalidato l'orientamento interpretativo portato avanti dalla prima sezione penale. In ogni caso, concludono i giudici di legittimità, alla luce del contrasto giurisprudenziale formatosi sul punto si rende necessaria, al fine di una sua definitiva risoluzione, la rimessione ex art. 618 c.p.p. alle Sezioni Unite del quesito di cui al punto 1.

 

***

 

10. La parola passa dunque alle Sezioni Unite affinché possano definitivamente dirimere il contrasto formatosi sulla questione.

Nell'attesa di un tale chiarimento, il legislatore pare aver optato, nemmeno silenziosamente, per l'orientamento più estensivo e coerente con la ratio dell'istituto, il quale va ad aggredire le ricchezze illecitamente accumulate tramite, appunto, la confisca di tutti "i valori ingiustificati", ossia quei valori di cui il condannato non può giustificare la provenienza e, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato ai fini fiscali[8].

Come recentemente ribadito dalla Consulta[9], l'istituto in questione si presenta come una moderna forma di confisca sul modello di quelle già da tempo adottate, proprio nel tentativo superare i limiti di efficacia della confisca penale “classica” nella lotta alla criminalità organizzata, anche dai sistemi giuridici vicini al nostro. Nel panorama europeo, specificamente, il più diffuso modello di intervento (all'interno del quale si colloca anche l'art. 12-sexies L. 356/1992) è costituito dalla cd. confisca dei beni di sospetta origine illecita, la quale poggia in sostanza su una presunzione di provenienza criminosa dei beni posseduti dai soggetti condannati per taluni reati per lo più connessi a forme di criminalità organizzata. In tal caso, in presenza di determinate condizioni, si presume che il condannato abbia commesso non solo il delitto che ha dato luogo alla condanna, ma anche altri reati, non accertati giudizialmente, dai quali deriverebbero i beni di cui egli dispone. Il ricorso a confische di questa tipologia è, peraltro, sollecitata anche in contesti sovranazionali, come nella Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope del 20 dicembre 1988, nonché nella Convenzione delle Nazioni Unite di Palermo del 15 dicembre 2000 per il contrasto alla criminalità organizzata transnazionale. Infine, più recentemente, con direttiva 3 aprile 2014, n. 2014/42/UE, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell'Unione Europea, il Parlamento ed il Consiglio Europeo hanno specificamente richiesto agli Stati membri di riconoscere all'Autorità Giudiziaria poteri di confisca “estesa”, collocabili all'interno del genus della confisca di beni di origine sospetta.

Per quanto riguarda il campo applicativo della “confisca allargata”, la Corte Costituzionale ricorda che essa resta circoscritta ad un ambito di cd. “ragionevolezza temporale”[10]: il momento di acquisizione del bene non dovrebbe risultare, cioè, talmente lontano dall'epoca di realizzazione del “reato spia” da rendere ictu oculi irragionevole la presunzione di derivazione del bene stesso da una attività illecita, sia pure diversa e complementare rispetto a quella per cui è intervenuta condanna. Tale fondamentale accorgimento giurisprudenziale risponde chiaramente all'esigenza di evitare un'abnorme dilatazione della sfera di operatività dell'istituto della confisca “allargata”, peraltro recentemente riformata dal legislatore proprio in un'ottica di potenziamento ed ampliamento del suo ambito di applicazione.

Una tale presa di posizione costituisce senza dubbio un ulteriore tassello nel contrasto ai sodalizi criminali di stampo mafioso che rappresentano un notevole ostacolo alla crescita di qualunque sistema, nonché una delle principali minacce per la sicurezza umana e per lo sviluppo economico, politico e sociale di una collettività. In altra sede, si è sostenuto che il rafforzamento di misure che trasformino i beni sottratti alle mafie in opportunità di sviluppo per le zone maggiormente incise da fenomeni delinquenziali ed il rafforzamento di strumenti idonei a contrastare in modo più efficace l'infiltrazione criminale nell'economia legale costituiscono fattori in grado di concorrere ad una ripresa etica ed economica del Paese[11].

Non va dimenticato, tuttavia, che nella concretezza applicativa un tale istituto rischia spesso di assumere connotati particolarmente penetranti, afflittivi e repressivi, con effetti spesso devastanti. Si auspica dunque alla possibilità per le Sezioni Unite di trovare il giusto contemperamento tra le opposte esigenze di garanzia e giustizia sostanziale e, più in generale, ad un utilizzo della misura, da parte dell'Autorità Giudiziaria, attento, ragionevole e proporzionato con le esigenze da perseguire.

 


[1] Vedi, Cass. Pen., Sez. V, n. 14044 del 2014, dove si sostiene “che essendo venuto meno il requisito della attualità della pericolosità sociale, quale condizione per l'applicazione della confisca antimafia, la stessa non sarebbe più volta a neutralizzare la pericolosità sociale, finalità tipica delle misure di sicurezza. Avrebbe, viceversa, assunto una finalità più spiccatamente afflittiva e sanzionatoria, atteggiandosi più a pena che a misura di sicurezza, onde l'assoggettamento della relativa disciplina, anche quella innovativa introdotta nel 2008 e nel 2009, ai principi previsti per le norme penali, in specie quello di cui all'art. 25 comma 2 Cost. e 7 CEDU nella parte in cui impongono l'irretroattività della legge penale sfavorevole”.

[2]   Da ultimo ribadita in Cass., Sez. V, 17 febbraio 2015, n. 26433;

[3]   Sul punto la stessa Cassazione ribadisce come "il delitto tentato costituisca fattispecie criminosa autonoma risultante dalla combinazione di una norma principale – la norma incriminatrice – e di una norma secondaria prevista dall'art. 56 c.p.; che gli effetti sfavorevoli, previsti con specifico richiamo a determinate norme incriminatrici debbono intendersi riferiti alla sola ipotesi di reato consumato e non anche al tentativo in quanto le norme sfavorevoli devono ritenersi di stretta interpretazione; ed hanno rammentato che la giurisprudenza di legittimità ha fatto costante applicazione di tale principio, escludendo la praticabilità di un esercizio ermeneutico in malam partem, comportante un ampliamento della portata precettiva della norma, in tema di esclusione della causa di non punibilità per l'estorsione, prevista dall'art. 649 c.p. ultimo comma per i fatti commessi in danno dei congiunti, applicabile solamente al reato consumato e non alla corrispondente fattispecie tentata che costituisce figura criminosa autonoma a sè stante e da luogo ad un autonomo titolo di reato".

[4]   Secondo questo orientamento la confisca allargata può essere disposta a seguito di una condanna per uno dei delitti elencati al comma 1, nonché, ai sensi del comma successivo, per il delitto di contrabbando di cui all'art. 295, comma 2, D.P.R. 43/1973, e per qualsiasi altro delitto che, pur non rientrando nel catalogo di cui al 12-sexies, comma 1, sia però aggravato ex art. 7 L. 203/1991;

[5]   Vedi Cass., Sez. I, 28 maggio 2013, n. 27189; da ultimo Cass., Sez. I, 12 giugno 2016, n. 45172;

[6]   Secondo questo indirizzo, una tale presa di posizione è necessaria anche alla luce dell'orientamento che la Corte di Cassazione ha intrapreso in materia di inapplicabilità dell'indulto disposto con la L. 241/2006 alle pene inflitte per i reati in relazione ai quali ricorre la circostanza aggravante dell'agevolazione o del metodo mafioso. Anche in questo caso, come nel comma 2° dell'art. 12-sexies L.356/1992, la formula utilizzata dal Legislatore non conteneva alcuna specificazione di norme incriminatrici e titoli, includendo così fattispecie consumate e tentate;

[7]   Vedi, Cass., Sez. II, 21 settembre 2017, n. 47062;

[8]   Trattasi di una presunzione che la Corte Costituzionale ha avuto già modo di ritenere, in termini generali, non irragionevole, all'indomani dell'introduzione della misura nel nostro ordinamento, con ordinanza n. 18/1996;

[9]   Vedi, Corte Cost. 21 febbraio 2018, n. 33;

[10] Così, Cass. n. 41100 del 3 ottobre 2014;

[11] V. Per una moderna politica antimafia - Analisi del fenomeno e proposte di intervento e di riforma – Rapporto della commissione per l'elaborazione di proposte in tema di lotta, anche patrimoniale, alla criminalità, www.governo.it, 2013.