ISSN 2039-1676


12 giugno 2018 |

In tema di scarico abusivo di reflui in corsi d'acqua e di 'inquinamento ambientale' (art. 452 bis c.p.)

Trib. Verbania, 21 febbraio 2018 (dep. 23 aprile 2018), n. 68, Est. Alesci

Segnaliamo ai lettori la sentenza in allegato, che rappresenta una delle prime pronunce in relazione al delitto di inquinamento ambientale di cui all’art. 452 bis c.p., con la quale il GUP del Tribunale di Verbania ha dichiarato il non luogo procedere nei confronti dei rappresentanti legali di tre attività commerciali site in Domodossola.

Secondo l’impianto accusatorio, gli imputati avrebbero utilizzato una tubazione di scarico abusiva per sversare reflui organici all’interno di un canale adiacente agli esercizi commerciali, provocando un danno al corso idrico. In particolare, tale attività avrebbe determinato il mutamento del colore delle acque e la morte di alcuni esemplari di fauna ittica locale (per l’esattezza, diciannove esemplari di spinarello).

Dalle analisi effettuate sulle acque del canale, emergeva un piccolo superamento del valore massimo di concentrazione di COD – domanda di ossigeno – mentre tutti gli altri parametri di valutazione risultavano nella norma.

Nel ritenere il compendio probatorio insufficiente per sostenere l’accusa in giudizio, il Tribunale di Verbania ha tra l’altro escluso la ricorrenza del “danno ambientale” richiesto dalla fattispecie di cui all’art. 452 bis c.p.

In linea con i primissimi arresti della giurisprudenza di legittimità in materia, la pronuncia ha infatti sottolineato che il reato di inquinamento ambientale non consiste in una qualsiasi alterazione delle risorse ambientali, ma in una “compromissione o un deterioramento significativi e misurabili. L’uso degli aggettivi impone al giudice di condurre un attento scrutinio dell’offensività concreta del fatto di inquinamento[1]. Nel caso di specie, il superamento modesto ed occasionale di un solo limite tabellare non può perciò integrare la fattispecie contestata.

 


[1] Per l’evento di cui all’art. 452 bis c.p. cfr. Cass. pen., Sez. III, 21 settembre 2016, n. 46170 Rv. 268060, nonché più di recente Cass. pen. Sez. III, 31 gennaio 2017, n. 15865 Rv. 269489.