ISSN 2039-1676


2 ottobre 2018 |

Presentato alla Camera il nuovo Disegno di legge in materia di corruzione (c.d. ‘Spazza corrotti’)

Disegno di legge n. 1189, presentato alla Camera il 24 settembre 2018 dal Ministro della Giustizia Bonafede (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici)

Per il testo del Disegno di legge e della Relazione di accompagnamento, clicca qui.

 

1. Con il Disegno di legge in esame, presentato alla Camera dei Deputati il 24 settembre 2018 dal Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, torna sul tappeto una nuova riforma in materia di corruzione e di delitti contro la p.a., che promette di dare un ulteriore seguito a una recente stagione di riforme, inaugurata nel 2012 con la c.d. legge Severino. Il c.d. ‘Ddl Spazza corrotti’, che ha avuto una vasta risonanza mediatica in concomitanza con la sua approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, alcune settimane fa, e del quale solo ora finalmente si conosce il testo, incide in modo significativo su un ampio numero di disposizioni del codice penale e di procedura penale, oltre che su diverse norme collocate in altri ambiti dell’ordinamento e, a vario titolo, collegate al contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione. Nel rinviare a futuri commenti una più approfondita analisi del disegno di legge, consegnato al dibattito parlamentare, ci proponiamo in questa sede di proporre una sintesi della progettata riforma e di accennare ai profili che sembrano maggiormente problematici e meritevoli di una meditata riflessione.

 

2. Quanto alle pene principali, l’art. 1, comma 1, lett. i del Ddl dispone anzitutto l’aggravamento delle pene per il reato di corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.), che non sarebbe punito con la reclusione da tre a otto anni anziché da uno a sei. L’esito è quello di inasprire considerevolmente il trattamento sanzionatorio dell’ipotesi generale di corruzione, che raggiungerebbe livelli più prossimi a quelli dell’ipotesi più grave della corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio (reclusione da sei a dieci anni), con la conseguenza che, a fronte della difficoltà di dimostrare la compravendita di un determinato atto d’ufficio, verosimilmente la prassi si orienterebbe verso l’ipotesi generale, il cui termine di prescrizione, peraltro, risulterebbe allungato.

 

3. Particolarmente significative – e decisamente in primo piano nel complesso della progettata riforma – sono poi le modifiche apportate alla disciplina delle pene accessorie dell’interdizione dei pubblici uffici e dell’incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione; modifiche che mirano a realizzare il c.d. DASPO per i corrotti.

L’art. 1, comma 1, lett. h modifica l’articolo 317 bis del codice penale in modo da estendere la pena accessoria dell’interdizione perpetua dei pubblici uffici, attualmente prevista per i soli reati di cui agli artt. 314, 317, 319 e 319 ter c.p., anche ai casi di condanna per i reati di cui agli articoli: 318 (corruzione per l’esercizio della funzione), 319 bis (ipotesi aggravate della corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio), 319 quater, comma 1 (induzione indebita a dare o promettere utilità), 320 (corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio), 321 (corruzione attiva), 322 (istigazione alla corruzione), 322 bis (peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri della Corte penale internazionale o degli Organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri), 346 bis (traffico di influenze illecite) c.p.

Analogamente l’art. 1, comma 1, lett. d sostituisce l’art. 32 quater c.p., estendendo le ipotesi in cui la legge commina la pena accessoria dell’incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione ai casi di condanna per il medesimo catalogo di reati contro la p.a. (con la sola differenza che qui, a differenza che nel nuovo art. 317 bis c.p., si considera solo il comma 1 dell’art. 314 c.p.).

Inoltre, l’art. 1, comma 1, lettere c e h prevede che entrambe le pene accessorie (interdizione dei pubblici uffici e incapacità di contrarre con la p.a.) siano applicate per un periodo non inferiore a cinque e non superiore a sette anni nel caso in cui la pena principale inflitta non superi i due anni di durata. Il Ddl dispone poi, quale ulteriore novità, che la sanzione accessoria dell’incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione sia invece comminata in perpetuo se la pena principale, a seguito di condanna per i reati contro la pubblica amministrazione, supera il limite dei due anni.

 

4. Agli artt. 1, comma 1, lett. f e 2, comma 1 lettere a e b il disegno di legge sceglie di affidare al giudice la valutazione circa l’applicazione delle sanzioni accessorie dell’interdizione dei pubblici uffici e dell’incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione, nel caso di concessione della sospensione condizionale della pena o di applicazione della pena su richiesta. In particolare, l’art. 1, comma 1, lett. f aggiunge un periodo al primo comma dell’art. 166 c.p. stabilendo che «nel caso di condanna per i delitti previsti dagli articoli 314, primo comma 317, 318, 319, 319 bis, 319 ter, 319 quater, primo comma, 320, 321, 322, 322 bis e 346 bis c.p., il giudice può disporre che la sospensione non estenda i suoi effetti alle pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici e dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione». Dal punto di vista sistematico si tratta di un’importante previsione in deroga alla regola generale, introdotta nel 1990, secondo la quale la sospensione condizionale della pena si estende alle pene accessorie (art. 166 c.p.), sulla cui effettività il disegno di legge mostra di fare un considerevole affidamento.

Con riguardo, invece, ai casi di applicazione della pena su richiesta per taluno dei delitti previsti dagli artt. 314, primo comma, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater, primo comma, 320, 321, 322, 322 bis e 346 bis del codice penale, il disegno di legge introduce la possibilità per il giudice di applicare le pene accessorie dell’interdizione dei pubblici uffici e dell’incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione anche nei casi in cui la pena principale irrogata non superi i due anni di reclusione soli o congiunti alla pena pecuniaria. E ciò contrariamente a quanto previsto ora dall’art. 445 c.p.p., che – quando la pena irrogata non supera i due anni di detenzione – fa conseguire al patteggiamento l’effetto premiale, tra gli altri, dell’esenzione dell’applicazione delle pene accessorie.

Sempre in materia di applicazione della pena su richiesta – all’art. 2, comma 1, lett. a – il Ddl inserisce la possibilità che nei procedimenti per i delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater, primo comma, 320, 321, 322, 322 bis e 346 bis c.p., la parte, nel formulare la richiesta di patteggiamento, possa subordinarne l’efficacia all’esenzione dalle pene accessorie previste dagli articoli 32 ter (incapacità di contrarre con la p.a.) o 317 bis c.p. (interdizione dei pubblici uffici) ovvero all’estensione degli effetti della sospensione condizionale anche a tali pene accessorie. In questi casi il giudice, se ritiene di applicare le pene accessorie o ritiene che l’estensione della sospensione condizionale non possa essere concessa, rigetta la richiesta.

 

5. Il disegno di legge introduce poi alcune modifiche alla disciplina della riabilitazione, volte a garantire effettività e persistenza alla pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e del divieto perpetuo di concludere contratti con la pubblica amministrazione, nel caso di condanna per alcuni reati contro la p.a. In quest’ottica l’art. 1, comma 1, lett. g, del Ddl – aggiungendo un comma all’art. 179 c.p. (Condizioni per la riabilitazione) – prevede ora che «nel caso di condanna per uno dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319 bis, 319 ter, 319 quater, primo comma, 320, 321, 322, 322 bis e 346 bis, la riabilitazione concessa a norma dei commi precedenti non produce effetti sulla pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e su quella dell’incapacità di contrattare in perpetuo con la pubblica amministrazione. Decorso un termine non inferiore a dodici anni dalla riabilitazione, la pena accessoria è dichiarata estinta, quando il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta».

Sempre nell’ottica della stabilizzazione delle pene accessorie, l’art. 4 del Ddl include i delitti di cui gli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319 bis, 319 ter, 319 quater, primo comma, 320, 321, 322, 322 bis e 346 bis del codice penale fra i reati ostativi alla concessione dei benefìci di cui all’articolo 4 bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354. Tale modifica ha l’effetto – tra gli altri – di rendere più gravose le condizioni per l’accesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale (art. 47, l. n. 354/1975), e quindi per il prodursi degli effetti estintivi della pena e di ogni altro effetto penale, che conseguono, a norma del comma 12 del medesimo articolo, all’esito positivo del periodo di prova.

 

6. Nella prospettiva di un coordinamento tra la disciplina delle sanzioni delle persone fisiche e quella delle persone giuridiche, l’art. 6 del Ddl – intervenendo sull’art. 25, comma 5, d.lgs. n. 231 del 2001 – porta a cinque anni la durata minima e a dieci anni la durata massima della sanzione interdittiva applicabile agli Enti in caso di responsabilità amministrativa in relazione alla commissione dei delitti di concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità e corruzione.

 

7. La Relazione introduttiva al Disegno di legge afferma che uno degli scopi principali del presente intervento legislativo è quello di adeguare la normativa interna agli obblighi convenzionali imposti al nostro Paese dalla Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa. Lo scorso 18 giugno 2018 il GRECO (‘Group of States against Corruption’) – organismo istituito dal Consiglio d’Europa nel 1999 – ha approvato, nella sua ottantesima assemblea plenaria, l’‘Addenda al Second Compliance Report sull’Italia. Tale documento costituisce l’esito di una procedura di valutazione volta a verificare se il nostro Paese ha messo in pratica le indicazioni che gli erano state in precedenza rivolte al fine di uniformare la propria legislazione alla normativa del Consiglio d’Europa ed in particolare alla Convenzione penale sulla corruzione[1]. È proprio su quanto rimane ancora da fare che si soffermava l’‘Addenda al Second Compliance Report’, la quale prendeva in considerazione quelle indicazioni ancora non attuate o attuate solo in parte. Il Ddl in esame – nell’ottica sopramenzionata del progressivo adeguamento della normativa interna a quella convenzionale – ritiene necessario accogliere i rilievi formulati dal GRECO, introducendo le modifiche che seguono.

L’art. 1, comma 1, lett. a e b modifica gli artt. 9 (Delitto comune del cittadino all’estero) e 10 (Delitto comune dello straniero all’estero) c.p. nell’ottica di abolire le norme del codice penale che prevedono la necessità della richiesta del Ministro della Giustizia o della istanza/querela della persona offesa per il perseguimento dei reati di corruzione commessi all’estero. L’art. 1, comma 1, lett. a – modificando l’art. 9 c.p. – dispone ora che nel caso di cittadino che commetta in territorio estero i delitti di cui agli artt. 320, 321 e 346 bis c.p. non è necessaria la richiesta del Ministro della Giustizia o la istanza/querela della persona offesa per il perseguimento di tali reati[2]. Allo stesso modo l’art. 1, comma 1, lett. b interviene sull’art. 10 c.p., introducendo un nuovo comma che esclude la necessità della richiesta del Ministro della Giustizia o dell’istanza o della querela della persona offesa nel caso dei delitti di cui agli artt. 317, 318, 319, 319 bis, 319 ter, 319 quater, 320, 321, 322, 322 bis c.p.

L’‘Addenda al Second Compliance Report’ sottolineava poi come ci fosse l’impellente esigenza che il nostro Paese procedesse all’estensione del campo di applicazione delle disposizioni sulla corruzione (passiva e attiva) a tutti i pubblici ufficiali stranieri, riferendosi in particolare ai membri delle assemblee pubbliche straniere, ai funzionari delle organizzazioni internazionali, ai membri delle assemblee parlamentari internazionali, così come ai giudici e i funzionari delle corti internazionali. A questo scopo il Ddl introduce alcune modifiche all’art. 322 bis c.p., di cui viene altresì novellata la rubrica (‘Peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri delle Corti internazionali o degli organi delle Comunità europee o di assemblee parlamentari internazionali o di organizzazioni internazionali e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri’):

l’art. 1, comma 1, lett. l, n. 2 inserisce due nuovi numeri (5 ter e 5 quater) al comma 1 dell’art. 322 bis c.p. che estendono la punibilità per i delitti ivi previsti (artt. 314, 316, da 317 a 320 e 322, terzo e quarto comma c.p.) anche alle persone che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio nell’ambito di organizzazioni pubbliche internazionali e ai membri delle assemblee parlamentari internazionali o di un’organizzazione internazionale o sovranazionale e dei giudici e funzionari delle corti internazionali;

l’art. 1, comma 1, lett. l, n. 3 estende la punibilità per i delitti previsti dal comma 2 dell’art. 322 bis c.p. (ovvero i reati di cui agli artt. 319 quater, secondo comma, 321 e 322 , prima e secondo comma c.p.) e commessi da persone che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio nell’ambito di altri Stati esteri o organizzazioni pubbliche internazionali, attraverso l’eliminazione della condizione «che il fatto sia commesso per procurare a sé o ad altri un indebito vantaggio in operazioni economiche internazionali ovvero al fine di ottenere o di mantenere un’attività economica o finanziaria».

Importanti sono anche le novità che riguardano il reato di traffico di influenze illecite (art. 346 bis c.p.). L’‘Addenda al Second Compliance Report’ affermava come fossero necessari ulteriori interventi per far sì che tale disposizione rispettasse pienamente gli obblighi internazionali. Il campo di applicazione della norma italiana è infatti più ristretto rispetto a quello individuato dall’art. 12 (Trading in influence) della Convenzione penale sulla corruzione. Quest’ultima disposizione stabilisce infatti che gli Stati membri devono criminalizzare da un lato, la condotta di chi ottiene un vantaggio (o la promessa di un vantaggio) quale corrispettivo della asserita possibilità di esercitare un’influenza impropria su un decisore pubblico, anche se la capacità di influenza del mediatore è, nella realtà, inesistente; dall’altro il fatto di promettere, offrire o procurare qualsiasi vantaggio indebito, per sé o per terzi, a titolo di rimunerazione a chiunque afferma di essere in grado di esercitare tale influenza. Non si distingue dunque la posizione del compratore e del venditore d’influenza, entrambi ugualmente puniti per le rispettive condotte. Per rispondere alle indicazioni del GRECO l’art. 1, comma 1, lett. p del Ddl abroga il reato di millantato credito (art. 346 c.p.) e modifica sensibilmente quello di traffico di influenze illecite. Il nuovo art. 346 bis c.p. dispone, al primo comma, che: «Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319 ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322 bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322 bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322 bis, ovvero per remunerarlo in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da anni uno ad anni quattro e mesi sei». In questo modo il Ddl:

rende punibile l’acquirente dell’influenza anche nel caso in cui la relazione tra il mediatore e il pubblico agente sia solo vantata (e non esistente);

elimina la condizione che la mediazione sia rivolta a far compiere al pubblico ufficiale un atto contrario ai doveri d’ufficio o ad omettere o ritardare un atto dell’ufficio. In questo modo, diventa penalmente rilevante anche l’esercizio di un’influenza che ha lo scopo di asservire il pubblico agente o di fargli compiere un atto conforme ai doveri dell’ufficio. È comunque prevista una pena più grave nel caso in cui la mediazione sia indirizzata al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio;

prevede quale contropartita della mediazione illecita il «denaro o altra utilità», mentre nell’attuale formulazione l’art. 346 bis c.p. parla esclusivamente di «denaro o altro vantaggio patrimoniale»;

inasprisce la pena: dalla reclusione da uno a tre anni a quella, sempre della reclusione, da uno a quattro anni e sei mesi.

Sempre nell’ottica di uniformare la legislazione interna alle indicazioni del GRECO, l’art. 3 del Ddl abroga il quinto comma dell’art. 2635 c.c. (Corruzione tra privati) e il terzo comma dell’art. 2635 bis c.c. (Istigazione alla corruzione tra privati), introducendo la procedibilità d’ufficio per tutte le ipotesi di corruzione tra privati e istigazione alla corruzione tra privati.

 

8. Uno degli interventi proposti dal presente Ddl vuole rispondere invece alle sollecitazioni rivolte al nostro Paese dal Working Group on Bribery, organismo dell’OCSE che controlla l'attuazione della Convenzione sulla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali[3]. Una di queste raccomandazioni suggeriva al nostro legislatore di valutare l’opportunità di introdurre sanzioni pecuniarie nei riguardi dei soggetti condannati per i reati di corruzione[4]. A questo proposito, la Relazione al presente Disegno di legge afferma di non voler mettere mano all’impianto complessivo delle pene principali dei reati contro la pubblica amministrazione nel senso suggerito ma, nondimeno, si propone di intervenire – in senso espansivo – sull’art. 322 quater c.p. che prevede la misura della Riparazione pecuniaria[5]. Questa disposizione, nella formulazione vigente, sancisce che, in caso di condanna per i reati previsti dagli artt. 314, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater, 320 e 322 bis c.p., sia sempre ordinato il pagamento di una somma pari all’ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio appartiene. L’art. 1, comma 1, lett. e del Ddl interviene su questo istituto in una duplice prospettiva: da un lato, lo estende anche al privato corruttore, attraverso l’aggiunta dell’art. 321 c.p. tra i reati per i quali è prevista, in caso di condanna, la riparazione pecuniaria. Dall’altro rimodula, in senso maggiormente afflittivo, i criteri previsti per calcolare l’ammontare del quantum dovuto a titolo di riparazione: corrispondente non più a «quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio», ma a «quanto indebitamente dato o promesso al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio e comunque non inferiore a euro 10000».

 

9. Una delle innovazioni di maggiore rilievo è inserita dall’art. 1, comma 1, lett. n del Ddl, che introduce nel codice penale una causa speciale di non punibilità. Il nuovo art. 323 ter c.p. dispone che: «Non è punibile chi ha commesso taluno dei fatti previsti dagli articoli 318, 319, 319 quater, 320, 321, 322 bis, limitatamente ai delitti di corruzione e di induzione indebita ivi indicati, 346 bis, 353, 353 bis e 354 se, prima dell’iscrizione a suo carico della notizia di reato nel registro di cui all’articolo 335 del codice di procedura penale e, comunque, entro sei mesi dalla commissione del fatto, lo denuncia volontariamente e fornisce indicazioni utili per assicurare la prova del reato e per individuare gli altri responsabili». Oltre a questi requisiti temporali, il secondo comma della nuova norma, dispone che la non punibilità del pubblico ufficiale, dell’incaricato di un pubblico servizio o del trafficante di influenze illecite sia subordinata alla messa a disposizione dell’utilità percepita o, in caso di impossibilità, di una somma di denaro di valore equivalente ovvero all’indicazione di elementi utili a individuarne il beneficiario effettivo, entro il medesimo termine di cui al primo comma. Per evitare possibili strumentalizzazioni di questo beneficio, l’ultimo comma del nuovo art. 323 ter c.p. afferma poi che la causa di non punibilità non si applica quando vi è prova che la denuncia di cui al primo comma sia premeditata rispetto alla commissione del reato denunciato. Si tratta di una novità molto significativa che – come si legge nella Relazione al Ddl – ha il duplice scopo, da un lato, di rompere il muro di omertà e la catena di solidarietà che protegge fattispecie tipicamente bilaterali come quelle in questione, dall’altro, di disincentivare le condotte illecite, introducendo un fattore d’insicurezza con effetti dissuasivi: nessuna delle parti dello scambio illecito potrà infatti più fare affidamento sul comune interesse a tacere[6].

 

10. L’art. 1, comma 1, lett. c modifica l’art. 578 bis c.p.p. (Decisione sulla confisca in casi particolari nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione) nel senso di ampliare i poteri del giudice dell’impugnazione al fine di consentirgli di poter mantenere l’efficacia della confisca ex art. 322 ter c.p. – disposta con la sentenza di condanna dal giudice di primo grado – nel caso in cui il successivo grado di giudizio si chiuda con una decisione in cui viene dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia. Nella formulazione vigente dell’art. 578 bis c.p.p. tale possibilità è prevista solo per i casi particolari di confisca di cui al primo comma dell’art. 240 bis c.p., ma il presente Ddl propone di estendere tale facoltà anche ai casi di confisca ex art. 322 ter c.p., conseguenti alla condanna in primo grado per i reati contro la pubblica amministrazione.

 

11. Nell’ottica di contrastare anche le attività illecite prodromiche alla corruzione, l’art. 1, comma 1, lett. q del Ddl – intervenendo sull’art. 649 bis c.p. (Casi di procedibilità d’ufficio) ristabilisce[7] la procedibilità d’ufficio per le ipotesi di maggiore gravità di appropriazione indebita (art. 646 c.p.). Si tratta dei casi in cui la persona offesa sia incapace per età o per infermità o nel caso di danno arrecato alla persona offesa di rilevante gravità.

 

12. Una delle modifiche di cui più si è parlato riguarda il c.d. agente infiltrato. L’art. 5 del Ddl modifica infatti l’art. 9 della l. 16 marzo 2006, n. 146, estendendo alle indagini per i reati contro la pubblica amministrazione la disciplina, ivi già prevista per altri delitti, delle operazioni di polizia sotto copertura. I reati per cui si prevede questa estensione sono quelli di cui agli artt. 317, 318, 319, 319 bis, 319 ter, 319 quater, 320, 321, 322, 322 bis, 346 bis, 353 e 353 bis c.p. Come sottolinea la Relazione al Disegno di legge, questa misura mira a potenziare gli strumenti investigativi nei confronti di delitti caratterizzati da un’apprezzabile gravità e di difficile accertamento «perché connotati dalla stretta comunanza di interessi illeciti dei soggetti che vi concorrono e dal legame omertoso che li protegge»[8]. Il Ddl include tra le condotte scriminate dalla causa di giustificazione di cui all’art. 9 della l. n. 146 del 2006 anche quelle che integrano le fattispecie tipiche di alcuni reati contro la pubblica amministrazione, che potranno dunque essere poste in essere dagli agenti sotto copertura, durante le indagini, senza incorrere in sanzioni. Le condotte non punibili restano tuttavia confinate – lo sottolinea bene la Relazione – «a quelle necessarie per l’acquisizione di prove relative ad attività illecite già in corso e che non istighino o provochino la condotta delittuosa, ma s’inseriscono in modo indiretto o meramente strumentale nell’esecuzione di attività illecita altrui»[9]. In questo modo il legislatore mostra di avere ben presente la distinzione, più volte sottolineata anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo[10], tra agente infiltrato e agente provocatore, escludendo dai fatti non punibili quelli di provocazione vera e propria, ovvero quelle condotte di chi istiga a commettere un reato per assicurare alla giustizia chi non ha ancora compiuto alcun delitto[11].

 

13. Il presente Disegno di legge contiene infine un intero capo (il capo II) dedicato all’introduzione di diverse disposizioni in materia di trasparenza e controllo dei partiti e movimenti politici e dei loro finanziamenti. Riportiamo qui le modifiche più significative, riservandoci un loro ulteriore approfondimento in un contributo ad esse specificatamente dedicato. In particolare, l’art. 7 del Ddl introduce il principio di massima pubblicità di tutte le forme di sostegno corrisposte ai partiti o movimenti politici, vietando a quest’ultimi di ricevere qualsiasi contributo patrimoniale da parte di persone fisiche o enti che si dichiarino contrari alla pubblicità dei rispettivi finanziamenti.

Nell’ottica di potenziare la tracciabilità dei contributi ai partiti e movimenti politici, l’art. 8 del Disegno di legge interviene poi con significative modifiche sul decreto legge n. 149 del 2013 (‘Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore’). Tra le diverse innovazioni, si segnala la riduzione da 5000 a 500 euro del limite dell’importo ricevuto che dà luogo all’obbligo di inserimento nella ‘dichiarazione patrimoniale o di reddito’ che i partiti, per mano dei soggetti che svolgono le funzioni di tesoriere, sono tenuti a presentare presso l’Ufficio di presidenza della Camera dei Deputati o del Senato della Repubblica. Allo stesso modo è abbassato a 500 euro l’importo massimo al di sopra del quale è obbligatorio l’inserimento nell’elenco dei soggetti erogatori da trasmettere alla Presidenza della Camera dei Deputati.

Significative sono anche le disposizioni di cui all’art. 9 del presente Ddl che – sempre nella prospettiva della massima trasparenza delle contribuzioni che, anche indirettamente, possono contribuire al sostentamento di ‘soggetti politici’ – definiscono in modo molto preciso quegli enti (fondazioni, comitati, associazioni, ecc.) che, in ragione della composizione dei loro organi direttivi o della attività svolta, si ritengono equiparati ai partiti/movimenti ai fini dell’adempimento delle disposizioni sulla trasparenza. Il Ddl si chiude infine con l’elencazione delle sanzioni amministrative pecuniarie in cui possono incorrere i partiti, i movimenti e le fondazioni nel caso di violazione degli obblighi fin qui menzionati.

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14. Difficile azzardare, in questo breve contributo, un commento che sappia cogliere le potenziali implicazioni e criticità delle numerose modifiche proposte nel presente Disegno di legge. Quel che è certo è che il testo sarà ora oggetto del dibattito parlamentare che potrà senza dubbio migliorare l’articolato, nell’ottica – soprattutto – di evitare profili di contrasto con i principi costituzionali. Al sospetto di incostituzionalità per violazione dei principi di proporzione e di uguaglianza/ragionevolezza si espone – ci sembra – la nuova disciplina delle sanzioni accessorie dell’interdizione perpetua dei pubblici uffici e dell’incapacità di contrarre in perpetuo con la p.a. Troppo lungo appare infatti il periodo (12 anni) che deve trascorrere dopo la riabilitazione per fare in modo che l’estinzione intervenga anche con riguardo alle pene accessorie suddette. L’idea che una persona sia considerata dalla legge riabilitata ma debba continuare a subire, per così lungo tempo, la pena accessoria pone seri dubbi in rapporto agli artt. 3 e 27, co. 3 Cost.

Qualche perplessità suscita anche la disciplina delle operazioni di polizia sotto copertura. Ci pare infatti che ci sia una distanza tra la Relazione – che sottolinea la differenza tra agente infiltrato e agente provocatore – e il testo dell’art. 5 del Ddl che modifica l’art. 9 della l. 16 marzo 2006, n. 146, estendendo alle indagini per i reati contro la pubblica amministrazione la disciplina, ivi già prevista per altri delitti, delle operazioni di polizia sotto copertura. Sarebbe opportuno, infatti, rimarcare più precisamente che gli elementi di prova ricercati durante le operazioni investigative, da parte dell’agente infiltrato, devono riferirsi a reati che si abbia fondata ragione di ritenere che siano già in corso di realizzazione.

A serie preoccupazioni di strumentalizzazione si espone la causa di non punibilità di cui al nuovo art. 323 ter c.p., nonostante la presenza del comma 3, che afferma che tale istituto non si applica quando vi è prova che l’autodenuncia volontaria sia premeditata rispetto alla commissione del reato denunciato. L’indubbia difficoltà nella prova di quest’ultima circostanza non dissolve infatti le preoccupazioni circa il possibile abuso di quest’istituto, che potrebbe essere impiegato per incastrare l’altra parte dell’accordo corruttivo.

Infine, una riflessione approfondita meriterà la nuova formulazione del reato di traffico d’influenze illecite (art. 346 bis c.p.) che, eliminando la condizione che la mediazione sia rivolta a far compiere al pubblico ufficiale un atto contrario ai doveri d’ufficio o ad omettere o ritardare un atto dell’ufficio, criminalizza anche l’esercizio di un’influenza – ‘illecita’ – che ha lo scopo di asservire il pubblico agente o di fargli compiere un atto conforme ai doveri dell’ufficio. Una modifica di questo tipo rende ancor più difficile l’individuazione dell’esatto confine tra le condotte penalmente illecite a norma dell’art. 346 bis c.p. e quelle, lecite, di rappresentanza degli interessi. E ciò anche a causa della perdurante mancanza di una disciplina extra-penale sul lobbying, che riempia di contenuto le clausole di illiceità espressa (‘mediazione illecita’ e ‘indebitamente’) contenute nel testo dell’articolo.

 

 


[1] Per una sintesi sui contenuti di questo documento si veda M.C. Ubiali, La disciplina italiana in materia di corruzione nell'ultimo rapporto del GRECO: tra le criticità, la corruzione degli arbitri, la corruzione internazionale, il finanziamento dei partiti, in questa Rivista, 10 luglio 2018.

[2] Per gli altri delitti contro la pubblica amministrazione non è necessario un intervento di adeguamento della norma alla fonte convenzionale perché – come spiega la relazione al Disegno di legge – «si tratta di reati puniti tutti con pene minime non inferiori nel minimo a tre anni e per tali delitti l’articolo 9, primo comma, del codice penale non impone la richiesta del Ministro (o l’istanza o querela della parte offesa)».

[3] La Convenzione sulla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali è stata firmata il 17 dicembre 1997 ed è entrata in vigore il 15 Febbraio 1999. La Convenzione è in vigore in Italia dal 15 dicembre 2000 (legge di ratifica n. 300 del 2000).

[4] Il documento contenente le raccomandazioni rivolte all’Italia nel 2014 dal Working Group on Bribery è consultabile a questo link.

[5] Relazione illustrativa al Disegno di legge n. 1189, p. 18 (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici), consultabile a questo link.

[6] Cfr. Ivi, p. 19.

[7] Il D.lgs. 10 aprile 2018, n. 36 ha infatti ampliato le ipotesi di appropriazione indebita procedibili a querela anche a quei casi di fatto commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario o di fatto aggravato da taluna delle circostanze indicate dal n. 11 dell’art. 61 c.p. per le quali, prima di tale d.lgs., era prevista la procedibilità d’ufficio.

[8] Relazione, cit., p. 25.

[9] Ivi, p. 26.

[10] Cfr. ex multis C.edu, Grande camera, sent. 5 gennaio 2008, Ramanauskas c. Lituania.

[11] Su questi profili si veda R. Cantone, G.L. Gatta, A proposito del ricorso ad agenti provocatori per contrastare la corruzione, in questa Rivista, 22 febbraio 2018.