10 luglio 2018 |
La disciplina italiana in materia di corruzione nell'ultimo rapporto del GRECO: tra le criticità, la corruzione degli arbitri, la corruzione internazionale, il finanziamento dei partiti
Contributo pubblicato nel Fascicolo 7-8/2018
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1. Lo scorso 18 giugno 2018 il GRECO (‘Group of States against Corruption’) – organismo istituito dal Consiglio d’Europa nel 1999 – ha approvato, nella sua ottantesima assemblea plenaria, l’‘Addenda al Second Compliance Report’[1] sull’Italia. Tale documento costituisce l’esito di una procedura di valutazione volta a verificare se il nostro Paese ha messo in pratica le indicazioni che gli erano state in precedenza rivolte al fine di uniformare la propria legislazione alla normativa del Consiglio d’Europa ed in particolare alla Convenzione penale sulla corruzione[2]. Com’è noto, infatti, lo scopo del GRECO è proprio quello di monitorare il livello di conformità delle legislazioni nazionali agli standard anti-corruzione codificati nella Convenzione penale sulla corruzione e nei documenti ad essa correlati[3]. Il monitoraggio si fonda sulla reciproca valutazione da parte dei diversi Stati partecipanti ed è articolato in due fasi: nella prima tutti i membri sono sottoposti ad un Ciclo di valutazione (‘Evaluation Round’) che si conclude con la formulazione di raccomandazioni finalizzate ad indicare allo Stato quali misure adottare per adeguare la propria legislazione alla normativa del Consiglio d'Europa; nella seconda fase, invece, si verifica l'idoneità di queste misure a raggiungere gli obiettivi indicati: e questo giudizio viene poi sintetizzato in un rapporto, c.d. ‘Compliance Report’[4].
Nel ‘Second Compliance Report’ sull’Italia – di cui il documento oggetto della nostra attenzione costituisce l’addenda – il GRECO ha sottolineato come il nostro Paese abbia correttamente adempiuto a otto delle sedici raccomandazioni formulate in esito al ‘Third Round Evaluation’; sette sono state, invece, parzialmente attuate mentre una rimane, ancora oggi, completamente disattesa. Il ‘Third Round Evaluation’[5] aveva ad oggetto due differenti tematiche: da un lato, la conformità delle norme incriminatrici del nostro codice penale a quanto sancito dalla Convenzione penale sulla corruzione agli artt. 1a, 1b, 2-12, 15-17, 19 comma 1 e dal Protocollo addizionale agli artt. da 1 a 6; dall’altro, la trasparenza del finanziamento dei partiti politici e l’idoneità della normativa interna a conformarsi alle indicazioni contenute nella ‘Raccomandazione sulle regole comuni contro la corruzione nel finanziamento dei partiti politici e delle campagne elettorali’, adottata dal Comitato dei Ministri l’8 aprile del 2003[6].
2. È proprio su quanto rimane ancora da fare che si sofferma l’‘Addenda al Second Compliance Report’, la quale prende in considerazione quelle indicazioni ancora non attuate o attuate solo in parte. Occorre tuttavia notare, a mo’ di premessa, che non tutte le raccomandazioni non eseguite corrispondono a situazioni di effettivo inadempimento degli obblighi imposti all’Italia dalle norme del Consiglio d’Europa. Alcune di esse, infatti, mettono in luce disallineamenti della legislazione italiana rispetto alle norme internazionali che, tuttavia, sono da considerarsi pienamente legittimi, poiché espressione della facoltà, riconosciuta agli Stati membri dall’art. 37, di sottrarre alcuni ambiti della legislazione agli obblighi imposti dalla Convezione[7]. Bisognerà allora fare attenzione a distinguere le effettive inosservanze degli obblighi internazionali, da quelle scelte legislative, legittime, che si discostano da tali obblighi in forza del richiamato art. 37.
3. In primis, il documento evidenzia la necessità che l’Italia proceda il più rapidamente possibile alla ratifica del Protocollo addizionale alla Convenzione penale sulla corruzione[8] che contiene, tra l’altro, obblighi di incriminazione nei confronti delle condotte corruttive dei giurati (interni e stranieri) e degli arbitri (interni e stranieri). A questo riguardo, le autorità italiane hanno reso noto che il processo di ratifica è in corso e che questo è stato rallentato dallo svolgimento delle elezioni politiche e dalla lunga fase di consultazioni per la formazione del Governo che ne è susseguita e che si è da poco conclusa.
4. Il ‘Third Round Evaluation Report’ sottolineava poi l’esigenza che il nostro Paese procedesse all’estensione del campo di applicazione delle disposizioni sulla corruzione (passiva e attiva) a tutti i pubblici ufficiali stranieri: in particolare, ci si riferiva ai membri delle assemblee pubbliche straniere, ai funzionari delle organizzazioni internazionali, ai membri delle assemblee parlamentari internazionali, così come ai giudici e i funzionari delle corti internazionali. Nella ‘Addenda al Second Compliance Report’ il GRECO prende atto che la legislazione penale interna è stata modificata nel senso di ricomprendere, tra i soggetti attivi dei reati di corruzione, anche i funzionari e i giudici della Corte penale internazionale, oltre che i funzionari delle Istituzioni europee o degli Stati membri dell’Unione e gli altri funzionari stranieri, quest’ultimi, tuttavia, nel solo caso in cui l’offesa avvenga nell’ambito di un’operazione economica internazionale[9]. Nonostante queste recenti modifiche legislative, il GRECO sottolinea nondimeno come rimangano ancora escluse dal campo della rilevanza penale le condotte dei funzionari delle altre corti internazionali, dei membri delle assemblee pubbliche straniere e dei funzionari di qualsiasi altra organizzazione internazionale o assemblea parlamentare internazionale. E ciò malgrado la Convenzione penale sulla corruzione – agli artt. 5 e 6 – prescriva espressamente la criminalizzazione delle condotte corruttive di tali soggetti. C’è da dire tuttavia che l’Italia, nel momento della ratifica, si è avvalsa del sopracitato diritto di riserva affermando, a norma dell’art. 37 della Convenzione, di non voler sottoporre a sanzione penale le condotte di corruzione passiva dei pubblici ufficiali stranieri e quelle di corruzione, sia attiva che passiva, dei membri delle assemblee pubbliche straniere (fatta eccezione per quelle dei Paesi dell’Unione europea). Ciò detto il GRECO, nel documento oggetto della nostra attenzione, fa nondimeno notare che nella legislazione italiana esistono vuoti di penalizzazione con riguardo a condotte per le quali non è prevista la facoltà di riserva, o per le quali la facoltà di riserva non è stata esercitata: si tratta della corruzione attiva dei pubblici ufficiali stranieri[10], della corruzione (attiva e passiva) dei funzionari delle organizzazioni internazionali[11] e della corruzione (attiva e passiva) dei membri delle assemblee parlamentari internazionali[12] e dei giudici e funzionari delle corti internazionali[13]. L’Addenda sollecita allora l’intervento del legislatore italiano al fine dell’estensione dell’ambito della rilevanza penale anche alle condotte corruttive di questi soggetti.
5. Il rapporto si sofferma poi sulle figure del giurato straniero e dell’arbitro italiano e straniero. A questo proposito il GRECO sostiene che, per il pieno rispetto degli artt. 2, 3, 4 e 6 del Protocollo addizionale alla Convenzione, è necessario prevedere come reato anche le ipotesi di corruzione poste in essere da tali soggetti. Con riguardo alla corruzione del giurato di uno Stato straniero, le autorità italiane hanno fatto presente che a tale ipotesi può essere data rilevanza penale dall’art. 322 bis cod. pen. che prevede l’estensione delle fattispecie corruttive del nostro codice anche ai ‘pubblici ufficiali stranieri’. A quest’ultima osservazione il GRECO obietta tuttavia che l’art. 322 bis cod. pen. ha una portata limitata: tale norma si limita infatti a menzionare i funzionari pubblici delle istituzioni dell’Unione europea, mentre quelli di altri Paesi possono vedersi contestati i reati di corruzione del nostro codice penale solo a condizione che l’azione illecita abbia luogo nel contesto di un’operazione economica internazionale o al fine di ottenere o mantenere un’attività economica o finanziaria[14]. Contrariamente a quanto previsto dalla Convenzione, allora, non tutte le condotte corruttive del giurato straniero sono adeguatamente criminalizzate dalla legislazione italiana.
Secondo il GRECO non è assegnata invece rilevanza penale alle condotte corruttive degli arbitri, siano essi interni o stranieri. A questo proposito si menziona l’art. 813, comma 2 del Codice di procedura civile, il quale espressamente afferma che: «agli arbitri non compete la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio»[15]. Nell’Addenda si legge allora come quest’ultima disposizione si ponga in frontale contrasto con gli artt. 2, 3 e 4 del Protocollo addizionale alla Convenzione, imponendo al legislatore italiano – nell’ottica della futura ratifica di quest’ultimo documento – un intervento normativo per colmare questa lacuna.
6. Ampio spazio viene quindi dedicato al tema della corruzione nel settore privato. Il rapporto del GRECO accoglie con favore le modifiche all’art. 2635 cod. civ. (Corruzione tra privati) introdotte dal d.lgs. 15 marzo 2017, n. 38. In particolare viene elogiata l’estensione dell’ambito di applicazione della fattispecie non più esclusivamente alle società commerciali, ma anche a qualsiasi “ente privato”. Si sottolinea poi l’accrescimento del novero dei soggetti attivi del reato: non più solamente gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, ma anche coloro che, nell’ambito organizzativo della società o dell’ente privato esercitano funzioni direttive diverse dalle precedenti. Il GRECO giudica positivamente la scomparsa del riferimento alla causazione di un “nocumento alla società”, così come l’eliminazione della necessità dell’effettivo compimento o dell’omissione di un atto contrario agli obblighi dell’ufficio, che diventano, nella nuova formulazione, l’oggetto del dolo specifico. Si esprimono quindi parole di apprezzamento nei confronti della scelta di inasprire le pene, di prevedere ex art. 2635 bis cod. civ. un’ulteriore figura incriminatrice di ‘Istigazione alla corruzione tra privati’ e di estendere la responsabilità per queste condotte alle persone giuridiche.
Unica nota critica rimane il mantenimento, anche nell’ultima formulazione della norma, della condizione di procedibilità della querela, fatta eccezione per le ipotesi in cui dalla condotta corruttiva derivi una distorsione della concorrenza nell’acquisizione di beni o servizi. L’Addenda sottolinea che la procedibilità a querela si pone in contrasto con quanto sancito dalla Convenzione, ma che l’Italia ha nondimeno legittimamente esercitato il suo diritto di riserva su questo punto.
7. Interessanti anche le considerazioni del GRECO con riguardo alla fattispecie di traffico di influenze illecite ex art. 346 bis cod. pen. L’Addenda afferma che sono necessari ulteriori interventi per far sì che tale disposizione rispetti pienamente gli obblighi internazionali. Il campo di applicazione della norma italiana è infatti più ristretto rispetto a quello individuato dall’art. 12 (Trading in influence)[16] della Convenzione. Quest’ultima disposizione stabilisce infatti che gli Stati membri devono criminalizzare da un lato, la condotta di chi ottiene un vantaggio (o la promessa di un vantaggio) quale corrispettivo della asserita possibilità di esercitare un’influenza impropria su un decisore pubblico, anche se la capacità di influenza del mediatore è, nella realtà, inesistente; dall’altro il fatto di promettere, offrire o procurare qualsiasi vantaggio indebito, per sé o per terzi, a titolo di rimunerazione a chiunque afferma di essere in grado di esercitare tale influenza. In senso contrario, e nell’ottica di una minor ampiezza del campo della rilevanza penale, l’art. 346 bis cod. pen. richiede la sussistenza di una capacità del mediatore di influenzare le decisioni del pubblico ufficiale che sia effettivamente esistente. La presenza dell’art. 346 cod. pen. (Millantato credito) – che punisce, invece, la condotta di chi “millantando” un credito, in realtà inesistente, presso un pubblico ufficiale riceve o si fa promettere un vantaggio, come prezzo della propria mediazione verso il decisore pubblico – non basta a far allineare la nostra legislazione al dettato dell’art. 12 della Convenzione, rimanendo comunque esclusa dall’ambito del penalmente rilevante la condotta di chi offre o promette il vantaggio al “millantatore” di influenza; e ciò in senso contrario rispetto a quanto afferma il predetto articolo della Convenzione.
D’altra parte, in conformità a quanto affermato dall’art. 37, l’Italia, in questo ambito, ha esercitato legittimamente il diritto di riserva, dichiarando – in sede di ratifica della Convenzione – di non voler sottoporre a sanzione penale tutte le condotte descritte dall’art. 12, ma solo quelle di chi, sfruttando relazioni realmente esistenti con un pubblico ufficiale, indebitamente si fa dare o promettere un vantaggio, come prezzo della propria mediazione illecita verso il decisore pubblico o per remuneralo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio. Analogamente, oggetto della stessa legittima riserva di non criminalizzazione sono le ipotesi di traffico di influenza poste in essere nei confronti dei soggetti di cui agli artt. 5, 6, 9, 10 e 11, ovvero i pubblici ufficiali stranieri, i membri di assemblee pubbliche straniere, i funzionari internazionali, i membri di assemblee parlamentari internazionali e i giudici e i funzionari delle corti internazionali.
8. Un’ulteriore raccomandazione indirizzata all’Italia riguardava il tema delle condizioni di procedibilità per i reati di corruzione commessi all’estero. In esito al ‘Third Round Evaluation’ il GRECO ha infatti rivolto al nostro Paese l’invito ad abolire le norme del codice penale che prevedono la necessità della richiesta del Ministro della Giustizia o della denuncia della persona offesa per il perseguimento dei reati di corruzione commessi all’estero, e ci ha sollecitato ad estendere la giurisdizione italiana anche alle condotte corruttive commesse all’estero da stranieri, ma che coinvolgono anche funzionari delle organizzazioni internazionali, membri delle assemblee parlamentari internazionali o funzionari di corti internazionali che siano cittadini italiani. Con riguardo alla prima parte della raccomandazione il GRECO mette in guardia circa il rischio di “ingerenze politiche” quando per perseguire un reato di corruzione sia necessario l’intervento del Ministro o della persona offesa: si tratta infatti di condizioni che possono compromettere l’avvio del processo e che, nondimeno, non sono previste dalla Convenzione penale sulla corruzione. In merito alla seconda parte della raccomandazione, invece, l’Addenda sottolinea come l’Italia, al momento della ratifica, abbia esercitato la facoltà prevista dall’art. 17, comma 2 della Convenzione, secondo cui ciascuno Stato può riservarsi il diritto di non applicare, o di applicare soltanto in casi e condizioni specifiche, «le regole di competenza sancite dalla stessa Convenzione quando la condotta corruttiva commessa all’estero coinvolga un pubblico ufficiale che è nello stesso tempo un suo cittadino». Con riguardo a questo ultimo profilo allora, le scelte del legislatore italiano che si discostano dagli obblighi internazionali vanno considerate pienamente legittime poiché espressione del già più volte menzionato diritto di riserva.
9. Con riguardo al tema della trasparenza del finanziamento dei partiti politici, l’Addenda ricorda che il GRECO, nel ‘Third Round Evaluation Report’, aveva già sollecitato l’Italia ad «elaborare un approccio coordinato per la pubblicazione di informazioni sul finanziamento dei partiti e delle campagne elettorali, ed a garantire che tali informazioni fossero rese disponibili in modo coerente, comprensibile e puntuale, di modo da permettere un accesso al pubblico più semplice e immediato, anche attraverso l’utilizzo di internet». Nel documento in esame il GRECO non manca di menzionare i passi avanti compiuti recentemente in questo ambito dalla legislazione italiana. In particolare l’art. 5 del dl. 149 del 2013 obbliga oggi i rappresentati legali dei partiti beneficiari di elargizioni in denaro[17] a trasmettere alla Presidenza della Camera dei Deputati l'elenco dei soggetti che hanno erogato finanziamenti o contributi di importo superiore, nell'anno, a cinque mila euro. Sempre a norma dello stesso articolo, l'elenco dei soggetti che hanno erogato i predetti finanziamenti e i relativi importi è pubblicato nel sito internet del Parlamento italiano e nel sito internet del relativo partito politico[18]. Si aggiunga poi che nel 2016 la Giunta per il regolamento della Camera ha approvato il Codice di condotta dei Deputati che obbliga i suoi membri a dichiarare qualsiasi finanziamento o contributo ricevuto, direttamente o a mezzo di comitati costituiti a loro sostegno, per un importo superiore a cinque mila euro l'anno[19].
Nonostante l’adozione di tali ultime misure, l’Addenda afferma che questi accorgimenti non possono considerarsi sufficienti a rispondere efficacemente alla raccomandazione rivolta all’Italia di strutturare un impianto legislativo che sappia garantire «un approccio olistico alla pubblicazione di finanziamenti per le campagne, che consenta un accesso più semplice e significativo da parte dei cittadini a tali informazioni».
10. Sempre in materia di trasparenza del finanziamento dei partiti politici l’Addenda ricorda che il ‘Third Round Evaluation Report’, aveva indirizzato all’Italia l’invito, da un lato, «ad istituire un organismo indipendente munito di poteri e risorse adeguate per esercitare un controllo efficiente sull’attuazione e il rispetto delle norme sul finanziamento della politica; dall’altro, a rafforzare la cooperazione e il coordinamento tra l’autorità investita di tali competenze e le autorità fiscali e di polizia». A questo riguardo il GRECO vede con favore l’istituzione – avvenuta con la legge 6 luglio 2012, n. 96 – della ‘Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici’ e valuta positivamente la scelta della composizione e dei poteri a questa conferiti[20]. Si tratta infatti di un organismo dotato di stabilità e indipendenza e che dispone di poteri ispettivi e sanzionatori[21]. La Commissione effettua il controllo di regolarità e di conformità alla legge del rendiconto di esercizio di tutti i partiti o dei movimenti politici che rispettino alcuni requisiti di rappresentatività, tra gli altri, quello di avere almeno un rappresentante eletto presso la Camera dei Deputati o il Senato [22]. A tal fine, entro il 15 giugno di ogni anno, i rappresentanti legali o i tesorieri sono tenuti a trasmettere alla Commissione il rendiconto di esercizio, e ai partiti e ai movimenti politici che non ottemperano all'obbligo di trasmissione degli atti la Commissione può applicare una sanzione amministrativa pecuniaria. Ciò detto, il GRECO afferma che avrebbe tuttavia apprezzato maggiori dettagli sul modo con cui la Commissione coordina la propria azione di vigilanza con le altre autorità preposte al controllo della gestione finanziaria dei partiti e delle campagne elettorali, quali la Corte dei Conti e i Collegi regionali di garanzia elettorale; nonché su come questi diversi organismi cooperano e verificano le informazioni ricevute. In assenza di ulteriori dettagli su come questa cooperazione operativamente si svolga, il GRECO considera la sopracitata raccomandazione non ancora totalmente attuata.
11. In conclusione – escludendo quegli ambiti per i quali il legislatore italiano ha esercitato legittimamente il diritto di riserva ex art. 37 – le questioni rispetto alle quali permangono ancora difformità tra il diritto interno e gli obblighi imposti dalla Convenzione, e per le quali il GRECO auspica quindi un immediato intervento del legislatore, possono essere elencate come segue:
a) necessità che l’Italia proceda il più rapidamente possibile alla ratifica del Protocollo addizionale alla Convenzione penale sulla corruzione;
b) il GRECO esorta l’Italia a colmare alcuni vuoti di penalizzazione con riguardo alle condotte di corruzione attiva dei pubblici ufficiali stranieri, di corruzione (attiva e passiva) dei funzionari delle organizzazioni internazionali e di corruzione (attiva e passiva) dei membri delle assemblee parlamentari internazionali e dei giudici e funzionari delle corti internazionali;
c) necessità che la figura dell’arbitro, sia esso italiano o straniero, sia ricompresa nel concetto di pubblico ufficiale ex art. 357 cod. pen., in ossequio agli artt. 2, 3 e 4 del Protocollo addizionale alla Convenzione; si sollecita inoltre la criminalizzazione di tutte le condotte corruttive del giurato straniero;
d) invito all’abolizione delle norme del codice penale che prevedono la necessità della richiesta del Ministro della Giustizia o della denuncia della persona offesa per il perseguimento dei reati di corruzione commessi all’estero;
e) infine, in tema di trasparenza del finanziamento ai partiti politici, il GRECO ritiene non ancora totalmente adempiute due delle raccomandazioni che erano state rivolte all’Italia in questa materia: da un lato, quella di strutturare un impianto legislativo che sappia garantire un approccio olistico alla pubblicazione di finanziamenti per le campagne, che consenta un accesso più semplice da parte dei cittadini a tali informazioni; dall’altro, quella di rendere conto in maniera dettagliata delle modalità con cui la ‘Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici’ coordina la propria azione di vigilanza con le altre autorità preposte al controllo della gestione finanziaria dei partiti e delle campagne elettorali.
[1] Il ‘Second Compliance Report’, adottato dalla stessa organizzazione il 28 novembre 2016 e consultabile a questo link.
[2] La Convenzione penale sulla corruzione è stata firmata a Strasburgo il 27 gennaio 1999, ratificata dall’Italia il 13 giugno 2013 ed entrata in vigore il primo ottobre dello stesso anno. Il testo della Convenzione è consultabile a questo link.
[3] Si tratta in particolare del Protocollo addizionale alla Convenzione penale sulla corruzione (ETS 191), della Convenzione Civile sulla Corruzione (ETS 174), dei Venti Principi Guida contro la Corruzione (Risoluzione (97)24), della Raccomandazione sul Codice di Condotta per i funzionari pubblici (Raccomandazione No. R (2000)10), e della Raccomandazione sulle regole comuni sulla Corruzione nel finanziamento ai partiti e nelle campagne elettorali (Raccomandazione Rec. (2003)4).
[4] Cfr. M. Montanari, La normativa italiana in materia di corruzione al vaglio delle istituzioni internazionali. I rapporti dell’Unione Europea, del Working Group of Bribery dell’Ocse e del GRECO concernenti il nostro Paese, in questa Rivista, 1 luglio 2012, p. 5-6.
[5] Il documento conclusivo del ‘Third Round Evaluation’ è stato pubblicato l’11 aprile 2012 ed è consultabile a questo link.
[6] Il testo di questa raccomandazione è consultabile a questo link.
[7] Cfr. Art. 37 (Riserve): «1. Ogni Stato può, all’atto della firma o al momento del deposito del suo strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione, dichiarare che non definirà come reati penali nel suo diritto interno, in tutto o in parte, gli atti di cui agli articoli 4, 6–8, 10 e 12 o i reati di corruzione passiva di cui all’articolo 5. – 2. Ogni Stato può, all’atto della firma o al momento del deposito del suo strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione dichiarare di avvalersi della riserva di cui all’articolo 17 paragrafo 2. – 3. Ogni Stato può, all’atto della firma o al momento del deposito del suo strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione, dichiarare di riservarsi la possibilità di negare l’assistenza giudiziaria di cui all’articolo 26 paragrafo 1 qualora la domanda concerni un reato che la Parte richiesta considera come reato politico. – 4. Uno Stato non può, in applicazione dei paragrafi 1, 2 e 3 del presente articolo, porre riserve relative a più di cinque disposizioni figuranti in detti paragrafi. Non sono ammesse altre riserve. Le riserve della stessa natura relative agli articoli 4, 6 e 10 sono considerate come una sola riserva».
[8] Il Protocollo addizionale alla Convenzione penale sulla corruzione è stato firmato a Strasburgo il 25 maggio 2003. Il testo del protocollo è consultabile a questo link.
[9] Cfr. il nuovo testo dell’art. 322 bis cod. pen., come modificato dall’art. 1, comma 75, l. 6 novembre 2012, n. 190 (Peculato, concussione, induzione indebita dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri).
[10] Cfr. il combinato disposto degli artt. 5 e 37, coma 1 dal quale si evince l’obbligo di criminalizzazione non oggetto di riserva con riguardo alle condotte di corruzione attiva che coinvolgono i pubblici ufficiali stranieri.
[11] A norma degli artt. 9 e 37, comma 1 la criminalizzazione delle condotte dei funzionari delle organizzazioni internazionali non può essere oggetto di riserva.
[12] Cfr. artt. 10 e 37, comma 1 secondo cui le condotte corruttive dei membri delle assemblee parlamentari internazionali possono essere oggetto del diritto di riserva, il quale, tuttavia, non è stato azionato dal nostro legislatore.
[13] Cfr. il combinato disposto degli artt. 11 e 37, coma 1 dal quale si evince l’obbligo di criminalizzazione non oggetto di riserva con riguardo alle condotte di corruzione che coinvolgono i giudici e i funzionari delle corti internazionali.
[14] Cfr. art. 322 bis, comma 2 n. 2) cod. pen.
[15] Per un’interpretazione estensiva delle norme del nostro codice penale volta a far includere nel concetto di pubblico ufficiale, ex art. 357 cod. pen., anche la figura dell’arbitro, si consenta il rinvio a M.C. Ubiali, Corruzione in atti giudiziari e arbitrato: per il Tribunale di Milano corrompere un arbitro non è reato, in questa Rivista, 30 marzo 2018.
[16] Art. 12 (Trading in influence): «Each Party shall adopt such legislative and other measures as may be necessary to establish as criminal offences under its domestic law, when committed intentionally, the promising, giving or offering, directly or indirectly, of any undue advantage to anyone who asserts or confirms that he or she is able to exert an improper influence over the decision-making of any person referred to in Articles 2, 4 to 6 and 9 to 11 in consideration thereof, whether the undue advantage is for himself or herself or for anyone else, as well as the request, receipt or the acceptance of the offer or the promise of such an advantage, in consideration of that influence, whether or not the influence is exerted or whether or not the supposed influence leads to the intended result».
[17] Il campo di applicazione di questa norma è limitato, tuttavia, ai soli partiti politici iscritti nel registro di cui all’art. 4 dello stesso decreto legge.
[18] A norma dello stesso art. 5, comma 3 del dl. 149 del 2013, questi obblighi di pubblicazione nei siti internet concernono, tuttavia, soltanto i dati dei soggetti i quali abbiano prestato il proprio consenso, ai sensi degli articoli 22, comma 12, e 23, comma 4, del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
[19] Cfr. artt. II e III del Codice di condotta consultabile a questo link.
[20] Organismo istituito dall’art. 9, comma 3 l. 6 luglio 2012, n. 96, formato da cinque componenti che durano in carica quattro anni, di cui uno designato dal primo Presidente della Corte di cassazione, uno dal Presidente del Consiglio di Stato e tre dal Presidente della Corte dei conti, tutti scelti fra i magistrati dei rispettivi ordini giurisdizionali.
[21] Sui poteri della Commissione si vedano i commi 4 ss., art. 9 l. 6 luglio 2012, n. 96.
[22] Si tratta dei partiti che abbiano conseguito almeno il due per cento dei voti validi espressi nelle elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati ovvero che abbiano almeno un rappresentante eletto alla Camera medesima o al Senato della Repubblica o al Parlamento europeo o in un consiglio regionale o nei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano.