ISSN 2039-1676


11 ottobre 2018 |

Primi chiarimenti (e nuove questioni) in materia di disastro ambientale con offesa alla pubblica incolumità

Cass., Sez. III, sent. 18 giugno 2018 (dep. 3 luglio 2018), n. 29901, Pres. Cavallo, Est. Ramacci, imp. Nicolazzi e Rocca

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1. L’avvento della fattispecie di disastro ambientale, come noto, fa seguito ad un preciso monito della Corte costituzionale[1]: chiamata a giudicare la legittimità dell’art. 434 c.p., la Corte, da una parte, ‘salvò’ la disposizione, delineando le coordinate entro cui interpretare la nozione di ‘altro disastro’[2]; dall’altra, segnalò come fosse comunque «auspicabile che talune delle fattispecie attualmente ricondotte, con soluzioni interpretative non sempre scevre da profili problematici, al paradigma punitivo del disastro innominato – e tra esse, segnatamente, l'ipotesi del cosiddetto disastro ambientale […] – [formassero] oggetto di autonoma considerazione da parte del legislatore penale».

A questo monito, il Parlamento ha risposto, tardivamente, con la legge 22.5.2015 n. 68, che ha introdotto il Titolo VI-bis nel Libro II del codice penale. Ai sensi dell’art. 452-quater ivi contemplato, costituiscono disastro ambientale: «l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema» (n. 1); «l’alterazione di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali» (n. 2); «l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte al pericolo» (n. 3).

La sentenza qui riportata affronta uno degli aspetti più controversi della fattispecie, vale a dire il rapporto tra ‘ambiente’ e ‘incolumità pubblica’ nell’ipotesi di cui al comma 2 n. 3.

 

2. La vicenda s’inserisce in un procedimento nei confronti del sindaco e del responsabile dell’ufficio tecnico di un comune calabrese; agli indagati, nello specifico, si contestava di non aver adottato alcuna iniziativa idonea a fronteggiare il pericolo di crollo di due edifici totalmente abusivi alla base dei quali, in tempi diversi, s’erano aperte due voragini.

Ipotizzando un concorso colposo in pericolo di disastro ambientale colposo (artt. 113, 452-quater co. 2 n. 3 e 452-quinquies co. 2 c.p.), la Procura presso il Tribunale di Crotone chiedeva di porre sotto sequestro preventivo i due immobili e la via interessata. Il G.I.P., tuttavia, non ravvisando il fumus del delitto, respingeva la richiesta.

Giungeva a soluzione opposta il Tribunale del riesame: ipotizzando in astratto la sussistenza del delitto, esso accoglieva l’appello del P.M. e disponeva, conseguentemente, il sequestro preventivo degli edifici e della strada. Osservava il Tribunale, in particolare, che il disastro ambientale, oltre che nei casi descritti all’art. 452-quater nn. 1 e 2 c.p., si configura anche mediante «...una qualsivoglia offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi o per il numero delle persone offese o esposte al pericolo»; nel caso specifico, si argomentava, la causa della concreta situazione di pericolo di crollo dei due edifici era da rinvenire nelle condotte omissive tenute dagli indagati, obbligati ad agire in ragione delle rispettive posizioni all'interno dell'amministrazione comunale anche ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di protezione civile.

 

3. Avverso l’ordinanza, ricorrevano per Cassazione i due indagati. Centrale, ai nostri fini, il primo motivo, nel quale si deduce la violazione di legge in punto di sussistenza del delitto: i ricorrenti sostenevano, in particolare, che la condotta loro attribuita non fosse riconducibile alla fattispecie del delitto di disastro ambientale colposo, mancando, evidentemente, un fenomeno di disastro riscontrabile quale effetto dell'alterazione o della compromissione di un ecosistema o delle sue componenti. A sostegno della deduzione, si evidenziava la differenza strutturale tra il delitto (erroneamente) contestato e il delitto di crollo di costruzioni di cui all’art. 434 c.p.

La Cassazione si sofferma esclusivamente su tale motivo e, condividendo la doglianza, accoglie il ricorso.

Nella motivazione, si argomenta che l’art. 452-quater, ipotesi di chiusura della disposizione,«riguarda qualsiasi comportamento che, ancorché non produttivo degli specifici effetti descritti nei numeri precedenti […] determini un'offesa alla pubblica incolumità di particolare rilevanza per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi, ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo»; rimane necessario, tuttavia, che l’offesa per l’incolumità pubblica costituisca«diretta conseguenza» di un’aggressione all’ambiente, sia pur meno pregnante di quelle idonee a integrare le ipotesi sub nn. 1 e 2. A suffragio di questa lettura, la Corte adduce: (i) la collocazione della fattispecie all’interno del Titolo dedicato ai delitti contro l’ambiente; (ii) l’esigenza di distinguere la fattispecie corrente da quella di disastro c.d. innominato; (iii) il tenore della disposizione, la quale subordina il pericolo ad una compromissione «evidentemente dell’ambiente o di una sua componente». Anche l’ipotesi di disastro descritta all’art. 452-quater co. 2 n. 3 c.p., insomma, «presuppone, come le due precedenti, che le conseguenze della condotta svolgano i propri effetti sull’ambiente in genere o su una delle sue componenti».

Questa interpretazione, prosegue la Corte, riflette un’accezione del bene giuridico tutelato non schiettamente naturalistica, bensì culturale; un’accezione, in altri termini, che declina l’ambiente non soltanto «nella sua connotazione originaria e prettamente naturale, ma anche […] come risultato […] delle trasformazioni operate dall'uomo e meritevoli di tutela».

Sulla base di queste considerazioni, la Corte conclude circa l’insussistenza del fumus di disastro ambientale: se è innegabile, da una parte, che la situazione concreta presenti vistosi tratti di illiceità, e, dall’altra, che le violazioni in materia urbanistica possano avere conseguenze sull’ambiente, è pur vero che, nel caso di specie, «la realizzazione degli edifici abusivi, risalente nel tempo, oltre a non poter essere addebitata agli indagati, non viene indicata come produttiva di simili conseguenze, né le stesse sono in qualche modo riferite alle condotte successive».

Segue l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza del Tribunale del riesame.

 

***

 

4. La sentenza, sia pure ai limitati fini del giudizio cautelare, offre una lettura conservativa dell’art. 452-quater co. 2 n. 3 c.p., in linea con la soluzione già prospettata da parte della dottrina. Nonostante, a livello lessicale, la disposizione sembri prescindere da qualunque riferimento all’ambiente, diversi Autori sostengono infatti che, dovendo l’interprete sondare ogni opzione che scongiuri l’incostituzionalità della norma[3], l’offesa – rectius, il pericolo[4] – per l’incolumità pubblica possa rilevare ai sensi dell’art. 452-quater c.p. solo se mediata – mediato – da una contaminazione ambientale[5].

Dovendoci limitare a qualche semplice spunto, pensiamo che la sentenza dischiuda, a un tempo, nuovi problemi e nuove opportunità.

 

5. I problemi attengono, principalmente, alla determinazione del grado di contaminazione ambientale presupposto dall’art. 452-quater co. 2 n. 3 c.p. Anche ad ammettere la congruità dell’interpretazione della Corte, resta da capire, in effetti, quando la compromissione (ambientale) sia d’entità tale da costituire prodromo del pericolo per l’incolumità pubblica.

Per esigenze di omogeneità, si potrebbe pensare di far perno sui concetti di ‘compromissione’/‘deterioramento’ come elaborati in materia di inquinamento ambientale[6]: in tal modo, l’art. 452-quater co. 2 n. 3 c.p. dovrebbe consistere in una condizione «di squilibrio funzionale» ovvero «strutturale» qualificata dal pericolo/offesa all’incolumità pubblica. Si tratterebbe, tuttavia, di una notevole forzatura del dato letterale, il quale, da un lato, non menziona affatto il ‘deterioramento’; dall’altro, associa la ‘compromissione’ ad una sola delle forme che l’evento di offesa all’incolumità pubblica può assumere. I rapporti tutt’altro che lineari tra inquinamento e disastro ambientale[7], in ogni caso, portano a escludere che gli approdi ermeneutici relativi al primo delitto siano automaticamente utilizzabili ai fini dell’interpretazione del secondo.

In attesa di interventi chiarificatori, ci pare, dunque, che la soluzione del Supremo Collegio, pur ispirata da un’apprezzabile logica restrittiva, rischi di innescare un problematico processo di ‘sub-delega giurisprudenziale’: dopo che il legislatore, utilizzando una formulazione ampia e vaga, ha rimesso al giudice il compito di tracciare il perimetro del delitto[8], la Cassazione, ‘aggiungendo’ il riferimento all’incidenza sull’ambiente, rimette di fatto ad altri giudici il compito di precisarne la portata applicativa. Quel che guadagna in coerenza, la fattispecie lo perde in determinatezza. 

 

6. In prospettiva diversa, degno d’interesse è il tentativo di tracciare una linea di demarcazione tra ‘nuovi’ delitti contro l’ambiente e ‘vecchi’ delitti contro la pubblica incolumità, disastro c.d. innominato su tutti. In tema, nota è la tendenza giurisprudenziale dell’ultimo decennio a forzare entro la sagoma dell’art. 434 c.p. fenomeni di prolungata compromissione ambientale, così come note, del resto, sono le molteplici critiche che codesta tendenza ha diffusamente suscitato[9].

L’idealtipo del disastro c.d. innominato ha rappresentato l’anticipazione giudiziaria del delitto di disastro ambientale[10]; non è un caso, in effetti, se i tratti caratterizzanti del secondo riprendono in larga misura quelli del primo. Complice la maldestra clausola di riserva che apre l’art. 452-quater c.p.[11], tuttavia, la giurisprudenza post-2015 ha finito per ratificare la declinazione ‘ambientalista’ dell’art. 434 c.p., col principale obiettivo di salvaguardare la tenuta dei processi ancora in corso[12]. Si consideri, d’altra parte, che l’interpretazione estensiva del disastro c.d. innominato è stata consolidata, seppur indirettamente, anche dalla Corte costituzionale[13].

La sentenza odierna, viceversa, parrebbe aprire una piccola breccia nella muraglia eretta intorno all’art. 434 c.p. all’indomani dell’entrata in vigore della legge n. 68/2015. Puntualizzando che «il delitto di disastro ambientale ha, quale oggetto di tutela, la integrità dell'ambiente ed in ciò si distingue, peraltro, dal disastro innominato di cui all’art 434 c.p.», la Cassazione sembra infatti voler finalmente avviare una bonifica dell’art. 434 c.p., a lungo contaminato da contenuti che avrebbero dovuto rimanergli estranei.

Pur consapevoli delle criticità poste dalla sovrapposizione fra tutela dell’ambiente e della pubblica incolumità[14], la speranza, in definitiva, è che questa pronuncia segni l’inizio di una lenta ‘manovra di rientro’ dell’art. 434 c.p. entro gli spazi che gli erano originariamente propri.

 


[1] Corte cost. sent. n. 327/2008.

[2] La Corte, in dettaglio, enuclea «una nozione unitaria di ‘disastro’, i cui tratti qualificanti si apprezzano sotto un duplice e concorrente profilo. Da un lato, sul piano dimensionale, si deve essere al cospetto di un evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi. Dall'altro lato, sul piano della proiezione offensiva, l'evento deve provocare – in accordo con l'oggettività giuridica delle fattispecie criminose in questione (la ‘pubblica incolumità’) – un pericolo per la vita o per l'integrità fisica di un numero indeterminato di persone; senza che peraltro sia richiesta anche l'effettiva verificazione della morte o delle lesioni di uno o più soggetti».

[3] Ventilano la necessità di questa via A.H. Bell – A. Valsecchi, Il nuovo delitto di disastro ambientale: una norma che difficilmente avrebbe potuto essere scritta peggio, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2/2015, p. 81; A. Gargani, Le plurime figure del disastro: modelli e involuzioniCass. pen. 7-8/2016, p. 2718.

[4] Sull’impossibilità concettuale di offendere un bene collettivo quale l’incolumità pubblica e sulla conseguente esigenza di interpretare il lemma ‘offesa’ quale sinonimo di ‘pericolo’, L. Masera, La riforma del diritto penale dell’ambiente, in costituzionalismo.it, n. 3/2015, p. 222.

[5] L. Masera, La riforma del diritto penale dell’ambiente, cit., p. 221 ss.; in termini ancor più netti, C. Ruga Riva, Il nuovo disastro ambientale: dal legislatore ermetico al legislatore logorroico, in Cass. pen. 12/2016, p. 4643; G. Cerami, La vicenda Eternit alla luce dei nuovi delitti contro l’ambiente e del principio del ne bis in idem, in Arch. pen., 2016, n. 1, p. 13. Contra, T. Padovani, Legge sugli ecoreati, un impianto inefficace che non aiuta l’ambienteGuida dir., n. 32/2015, p. 11; A.H. Bell – A. Valsecchi, Il nuovo delitto di disastro ambientale, cit., pp. 75 ss.; G.P. Accinni, Disastro ambientale (dall’horror vacui all’horror pleni), Milano 2018, pp. 121 ss.

[6] Secondo giurisprudenza ormai consolidata, la ‘compromissione’ identifica «una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell’ecosistema», mentre il ‘deterioramento’ individua «una condizione di squilibrio strutturale, connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi» (Cass., Sez. III, 21.9.2016 n. 46170; conf. Cass., Sez. III, sent. 6.7.2017 n. 52436; Cass., Sez. III, sent. 31.1.2017 n. 15865). Sulle criticità poste, prima, dalla formulazione della disposizione e, quindi, dalla soluzione adottata dalla Cassazione, da ultimo, C. Melzi D’Eril, L’inquinamento ambientale a tre anni dall’entrata in vigore, in questa Rivista, fasc. 7/2018, pp. 43 ss.

[7] Si è acutamente constatato che ciascuno dei due reati, teoricamente collocati in progressione criminosa, di fatto «procede allegramente per i fatti suoi, determinando così un marasma senza capo né coda» (T. Padovani, Legge sugli ecoreati, cit., p. 12). 

[8] La dottrina critica in modo pressoché unanime la formulazione indeterminata dell’art. 452-quater c.p.. Per tutti, di «fattispecie ‘di massima’, bisognosa di integrazione e precisazione in sede applicativa, secondo le forme meno controllabili di quella che si suole denominare ‘discrezionalità giudiziaria’», parla A. Gargani, Le plurime figure del disastro, cit., p. 2714.

[9] Per un dibattito ricco di spunti, si rimanda agli interventi di A. Gargani, D. Brunelli, S. Corbetta e G. Ruta in I molti volti del disastroCriminalia, 2014, p. 251.

[10] A. Gargani, La punizione del fatto non ancora previsto dalla legge come reato: dinamiche della tipicità tra diritto vivente e principi di garanzia, in Evoluzione e involuzioni delle categorie penalistiche, a cura di G.A. De Francesco – A. Gargani, Torino 2017, part. pp. 265 ss. 

[11] Sul punto, approfonditamente, G.P. Accini, Disastro ambientale, cit., pp. 130 ss.

[12] Escludendo che l’introduzione dell’art. 452-quater c.p. abbia determinato una abolitio criminis, la stessa Cassazione ha recentemente puntualizzato che «il disastro ambientale, sia pur nel paradigma c.d. innominato, era già direttamente punito dall’art. 434 c.p. in funzione della tutela apprestata costituzionalmente al bene giuridico-materiale di presidio superprimario» (Cass., Sez. I, sent. 17.5.2017 n. 58023).

[13] Corte cost., sent. 13.12.2017 n. 265. La questione atteneva alla presunta illegittimità ex art. 3 Cost. dell’art. 157 co. 6 c.p., nella parte in cui prevede che il termine di prescrizione del delitto di crollo di costruzioni o altro disastro colposo (artt. 449 e 434 c.p.) è raddoppiato; in virtù di tale disposizione, difatti, i tempi di prescrizione di, rispettivamente, crollo/disastro colposo e crollo/disastro doloso finiscono per equivalersi. La questione è stata giudicata non fondata. Per tale via, la Corte blinda il più lungo termine di prescrizione del disastro c.d. innominato colposo premettendo che la clausola dell’art. 452-quater c.p. «ha inteso convalidare e preservare» la pregressa giurisprudenza sub art. 434 c.p.

[14] A. Gargani, Le plurime figure del disastro, cit., p. 2714.