ISSN 2039-1676


21 novembre 2018 |

Stupefacenti di qualità diversa e lieve entità: un passo avanti delle Sezioni unite nel chiarimento dei rapporti tra le varie ipotesi di narcotraffico

Cass., Sez. un., sent. 27 settembre 2018 (dep. 9 novembre 2018), n. 51063, Pres. Carcano, Rel. Pistorelli, ric. Murolo

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1. Con la sentenza in esame, anticipata da un’informazione provvisoria di cui avevamo dato conto poche settimane fa[1], le Sezioni Unite affrontano una duplice questione in materia di “produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope” per i fatti di “lieve entità” (art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, c.d. T.u. stupefacenti). Con l’ordinanza di rimessione[2], infatti, da un lato, la Terza Sezione della Cassazione chiedeva se la diversa natura delle sostanze stupefacenti ostasse alla qualificazione del fatto come di lieve entità; dall’altro lato, ed in subordine, qualora la risposta al primo quesito fosse stata negativa, se fosse o meno configurabile un concorso tra le fattispecie “base” (commi 1 e 4 dell’art. 73) e il fatto “di lieve entità” (comma 5 della medesima disposizione).

Già con l’informazione provvisoria le Sezioni Unite avevano anticipato il contenuto dei tre principi di diritto, che sono enunciati in forma più ampia all’interno della motivazione:

1) La diversità di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sé ostativa alla configurabilità del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto è necessario procedere ad una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla suddetta disposizione al fine di determinare la lieve entità del fatto.

2) L’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, così come riformulato dal decreto-legge 20 marzo 2014 (convertito con modificazioni dalla legge 16 marzo 2014, n. 79), prevede un’unica figura di reato, alternativamente integrata dalla consumazione di una delle condotte tipizzate, quale che sia la qualificazione tabellare dello stupefacente che ne costituisce l'oggetto.

3) La detenzione nel medesimo contesto di sostanze tabellarmente eterogenee, qualificabile nel suo complesso come fatto di lieve entità ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 integra un unico reato e non una pluralità di reati in concorso tra loro.

Per comprendere appieno la portata di tali enunciazioni di principio è necessario spendere qualche parola preliminare sul fatto da cui la decisione è scaturita e sui quesiti posti con l’ordinanza di rimessione; quindi sarà possibile soffermarsi sul ragionamento svolto dalla Suprema Corte per giungere alla formulazione dei principi stessi. In conclusione proveremo a fare anche qualche breve riflessione sul ragionamento della Cassazione e sulla tenuta dei principi cui la stessa è pervenuta.

 

2. Innanzitutto, il fatto: il caso che giunge all’esame del giudice di legittimità riguarda un soggetto cui viene contestata la detenzione illecita, ai fini della vendita, di sostanze stupefacenti diverse ed in varia quantità. Secondo la ricostruzione dell’accusa, fatta propria dai giudici di merito, in base alle quantità di sostanze trovata in possesso dell’imputato, nonché alla concentrazione di principio attivo presente nelle stesse, questi avrebbe avuto a sua disposizione circa 2500 dosi di marijuana, 1000 dosi di hashish e 30 dosi di cocaina (queste ultime, però, già suddivise in 56 dosi sigillate). Il tutto era stato trovato, insieme a cinque bilancini di precisione, una spillatrice e mille pellicole trasparenti a chiusura ermetica, all’interno dell’automobile in uso all’imputato, parcheggiata nei pressi del bar dove egli si trovava al momento del controllo.

In primo grado, l’imputato aveva optato per il rito abbreviato, in esito al quale era stato condannato alla pena di quattro anni di reclusione e 14.000 euro di multa: a tale pena, il g.i.p. era giunto individuando come fattispecie più grave il reato di cui all’art. 73, comma 1, T.u. stupefacenti, per il possesso della cocaina, e ponendo in continuazione il reato di cui al successivo comma 4, integrato dal possesso delle droghe “leggere”. La Corte d’Appello, poi, era stata investita di un gravame con cui l’imputato chiedeva che il fatto venisse riqualificato come “di lieve entità” ai sensi del comma 5 dell’art. 73; la Corte territoriale, tuttavia, aveva ritenuto che tale qualificazione non fosse possibile in vista della varietà e della quantità di sostanze nonché della suddivisione delle stesse in dosi sigillate e del rinvenimento del materiale per confezionarle, sintomo di un’organizzazione nell’attività di vendita, seppur rudimentale.

 

3. Il ricorso per Cassazione si articolava su un unico motivo, ancora una volta concernente la mancata qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, T.u. stupefacenti. Due sono gli aspetti che vengono in luce al riguardo, concernenti i due argomenti che la Corte di Appello aveva posto a fondamento del rigetto dell’impugnazione sul medesimo motivo: la quantità e qualità delle sostanze da un lato e la presenza di una “pur rudimentale organizzazione” dall’altro.

Con riferimento a quest’ultimo aspetto, relativo all’incompatibilità tra la presenza di un’organizzazione e la fattispecie di cui al comma 5, già l’ordinanza di rimessione, sulla scia di una corposa e recente giurisprudenza di legittimità[3], evidenzia come la mera presenza di un’organizzazione non possa di per sé sola essere sufficiente ad escludere la lieve entità del fatto[4].

Sulla diversa questione posta a base del motivo di ricorso, invece, la Terza Sezione della Cassazione rileva la sussistenza di un contrasto all’interno della giurisprudenza di legittimità, e rimette alle Sezioni Unite la soluzione dello stesso. Nell’individuare il quesito da porre al massimo Collegio, però, la Terza Sezione amplia la questione, affiancando al problema di determinare se la diversità delle sostanze possa precludere di per sé l’applicabilità del comma 5 il differente problema di definire se lo stesso comma 5 possa concorrere con le ipotesi di reato “non lievi”. Viene dunque sottoposto alle Sezioni Unite il seguente quesito: “se la diversità di sostanze stupefacenti, a prescindere dal dato quantitativo, osti alla configurabilità dell’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990; se, in caso negativo, il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 possa concorrere con uno dei reati di cui ai commi 1 e 4 del medesimo art. 73”.

 

4. Le Sezioni Unite seguono, dunque, l’ordine delle questioni come proposto dalla Terza Sezione, ed affrontano innanzitutto il problema di individuare i criteri per definire il fatto come “di lieve entità”, in particolare con riferimento al caso di condotta unitaria concernente sostanze rientranti in tabelle diverse.

Opportunamente, prima di soffermarsi sull’analisi del problema, la sentenza ricostruisce brevemente l’evoluzione normativa in materia: l’attuale assetto rappresenta, infatti, il portato di una stratificazione progressiva di discipline che, partendo dal T.U. del 1990, passando attraverso la riforma del 2006 e la pronuncia della Corte costituzionale che ne ha decretato l’incostituzionalità nel 2014[5], giunge fino all’ultima modifica apportata al comma 5 dal decreto-legge n. 146 del 2013.

In esito a tale ricostruzione, e prima di passare all’analisi dei quesiti proposti dall’ordinanza di rimessione, le Sezioni Unite pongono due punti fermi, nell’interpretazione dell’art. 73, comma 5, T.u. stupefacenti: da un lato, ribadiscono l’ormai granitico orientamento per cui tale disposizione configura un reato autonomo, e non già una circostanza attenuante dei reati di cui ai commi precedenti; dall’altro, affermano con chiarezza il rapporto di specialità che intercorre tra tale norma e le fattispecie di cui ai commi 1, 2, 3 e 4, sottolineando come la clausola di apertura del quinto comma (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”) debba intendersi come riferita ad altre e distinte ipotesi di reato con cui l’art. 73, comma 5 possa trovarsi a concorrere[6].

 

5. Avendo così inquadrato il tema, la sentenza passa ad analizzare il primo quesito proposto dall’ordinanza di rimessione: se la diversità delle sostanze oggetto della condotta sia, di per sé, ostativa alla qualificazione del fatto come “di lieve entità”. Sul punto, infatti, la giurisprudenza delle Sezioni semplici si divideva in due distinti orientamenti:

1) da un lato, infatti, in base ad un più risalente – e severo – orientamento, l’autore del reato trovato in possesso di sostanze stupefacenti rientranti in tabelle diverse non potrebbe mai beneficiare del trattamento di favore di cui all'art. 73, comma 5; le sentenze riconducibili a tale orientamento argomentano facendo riferimento alla maggiore pericolosità della condotta di un agente capace di procurarsi sostanze tra loro eterogenee, e, quindi, di rifornire assuntori di stupefacenti di diversa natura[7];

2) secondo un diverso orientamento, invece, qualora la quantità di sostanza sia ridotta, il mero fatto di essere in possesso di diverse tipologie di stupefacenti non preclude l’applicabilità del comma 5, in quanto la “lieve entità” deve essere valutata alla luce del caso concreto globalmente considerato, dal quale deve emergere una complessiva minore portata dell’attività svolta dallo spacciatore[8].

Le Sezioni Unite aderiscono convintamente al secondo orientamento, adducendo diverse argomentazioni a sostegno di tale tesi. In particolare, la sentenza richiama due precedenti delle stesse Sezioni Unite, in cui si era già sottolineata l’esigenza di un’analisi in concreto della “lieve entità”[9]: in questo caso, tale approccio viene applicato al criterio della pluralità e diversità di sostanze come elemento preclusivo all’applicazione dell’art. 73, comma 5. La Corte ritiene che tale approccio sia imposto, innanzitutto, dalla lettera della norma, che richiama una serie di parametri per valutare la “lieve entità” del fatto, senza attribuire ad uno solo di essi un ruolo preminente. Nel ragionamento della Corte, un ruolo decisivo sembra assumere il confronto con la fattispecie speculare di cui all’art. 80, comma 2, T.u. stupefacenti: tale norma configura un’aggravante a effetto speciale incentrata esclusivamente sul dato ponderale dello stupefacente oggetto del reato; al contrario, l’art. 73, comma 5, richiama una serie di parametri, posti tutti sullo stesso piano.

Inoltre, dicono le Sezioni Unite, la conclusione raggiunta pare maggiormente coerente con la ratio della norma in esame, ossia con l’istanza di individualizzazione del giudizio sul fatto, da un lato, e con quella di rendere il sistema sanzionatorio in materia di stupefacenti coerente con i canoni costituzionali di offensività e proporzionalità, dall’altro.

Le Sezioni Unite contestano infine la validità del principale argomento proposto a sostegno della tesi opposta – quella dell’ontologica incompatibilità tra fatto di lieve entità e condotta avente ad oggetto sostanze stupefacenti di natura diversa – evidenziando come “l’assunto su cui si fonda tale attribuzione […] degrada a mera petizione di principio se la circostanza viene astratta a pura fattispecie tipologica e non invece valutata nel concreto contesto in cui si manifesta”. In altre parole, secondo la Corte non esiste alcuna prova empirica del fatto che la condotta avente ad oggetto sostanze di natura differente sia automaticamente e di per sé indicativa di “un più significativo inserimento dell’agente nell’ambiente criminale dedito al traffico di stupefacenti”.

In conclusione, la Corte enuncia il principio di diritto per cui non vi è incompatibilità tra la diversità delle sostanze oggetto del reato e la fattispecie “lieve” di cui al comma 5, in quanto non è necessario che tutti i parametri indicati dalla norma per valutare la lievità del fatto siano dello stesso segno, purché da un’analisi complessiva degli stessi tale lievità risulti comunque provata.

 

6. Risolto dunque il primo quesito proposto dall’ordinanza di rimessione, la sentenza passa ad analizzare la seconda questione, relativa alla possibilità di configurare un concorso di reati tra il comma 5 dell’art. 73 T.u. stupefacenti e le ipotesi “ordinarie” di cui ai quattro commi precedenti.

La sentenza, sul punto, parte da un presupposto fondamentale: la nozione di stupefacente è nozione legale, e come tale dipende dalle scelte del legislatore. Sulla base di questo assunto, si spiega perché la giurisprudenza precedente al 2006 – anno in cui la c.d. legge Fini-Giovanardi aveva unificato il trattamento sanzionatorio per il traffico di droghe “pesanti” e “leggere” – riteneva pacificamente configurabile il concorso tra i commi 1 e 4 dell’art. 73. Al contrario, la giurisprudenza sviluppatasi nel periodo di vigenza della riforma che aveva unificato il trattamento sanzionatorio, eliminando la distinzione tabellare delle sostanze, riteneva che la detenzione di sostanze differenti costituisse unico reato. Infine, dopo la reviviscenza della disciplina originaria per effetto della sentenza del 2014 della Corte costituzionale con cui è stata dichiarata l’incostituzionalità della Fini-Giovanardi, è ritornata in auge la giurisprudenza precedente alla riforma stessa e, dunque, la configurabilità del concorso di reati tra traffico di droghe “pesanti” e “leggere”.

Le Sezioni Unite ratificano tale lettura[10]: le fattispecie concernenti le droghe “pesanti” e quelle speculari relative alle droghe “leggere”, infatti, costituirebbero “fattispecie autonome di reato dirette ad isolare forme (e non solo gradi) differenti di aggressione del comune fascio di interessi tutelati”; interessi che vengono individuati nella salute pubblica, nell’ordine e nella sicurezza pubblica. Questo rapporto di incompatibilità strutturale, accompagnato dall’assenza di un rapporto di sussidiarietà, importa la possibilità di configurare un concorso ogni volta che la condotta abbia ad oggetto droghe classificate in tabelle diverse.

 

7. Così risolti i problemi di rapporti tra i primi quattro commi di cui si compone l’art. 73, la sentenza passa ad analizzare il quinto comma. La sentenza specifica, innanzitutto, che il problema del concorso tra comma 5 e commi precedenti si pone solo in relazione al concorso formale di reati, non anche con riferimento a quello materiale: se si fa riferimento a fatti differenti sul piano storico, diviene logicamente molto più semplice valutare isolatamente la lieve entità di ciascun episodio. Al contrario, nel caso in cui il fatto sia unico, e la medesima condotta integri sia detenzione o spaccio di droghe “pesanti” che detenzione o spaccio di droghe “leggere”, tale valutazione diviene inevitabilmente più complessa[11].

Le Sezioni Unite, in effetti, si dimostrano alquanto scettiche sulla possibilità che – in concreto – si verifichi un concorso formale di reati tra l’art. 73 commi 1 o 4 e il comma 5 della medesima norma. Proprio perché il giudizio di “lieve entità” del fatto di cui al comma 5, come evidenziato nella prima parte della pronuncia, deve essere svolto in concreto e sulla base di tutti i criteri indicati dalla norma, il contesto in cui la condotta si svolge e le modalità della stessa assumono un rilievo determinante. Sarà pertanto difficile che la detenzione nel medesimo contesto spazio-temporale di quantità di stupefacenti appartenenti a tabelle diverse sia qualificabile come “fatto lieve” solo in relazione ad una componente del fatto stesso e non all’altra; tuttavia, in linea di principio, a detta della Cassazione nulla osta alla possibilità – almeno astratta – di configurare un concorso formale di reati anche tra il comma 5 e i commi precedenti dell’art. 73.

 

8. Diverso il discorso per il caso in cui il fatto concernente traffico di stupefacenti sia “pesanti” che “leggeri” debba essere, nel suo complesso, qualificato come di “lieve entità”. Il problema, in questo caso, sarebbe quello di ipotizzare un concorso formale omogeneo dell’art. 73 comma 5, che dovrebbe venir applicato tanto alla “parte” di fatto concernente le droghe “pesanti” quanto a quella relativa alle droghe “leggere”. Sul punto, la Sezioni Unite rilevano un altro contrasto giurisprudenziale interno alla Suprema Corte: da un lato, infatti, una recente sentenza aveva ritenuto di qualificare il comma quinto come “norma mista cumulativa”, in quanto lo stesso avrebbe rispecchiato la dicotomia caratterizzante i primi quattro commi dell’art. 73[12]. Dall’altro, invece, vi sono sentenze che considerano il comma 5 una norma unitaria, incompatibile con l’ipotesi del concorso formale nel caso di condotte aventi ad oggetto sostanze differenti[13].

Le Sezioni Unite aderiscono, ancora una volta, a questa seconda tesi, e identificano nell’art. 73, comma 5, T.u. stupefacenti una norma unitaria, che non riflette al suo interno la distinzione tra droghe “pesanti” e “leggere” che connota le ipotesi-base sulle quali è costruita. A sostegno di tale interpretazione, le Sezioni Unite adducono diversi argomenti: innanzitutto, il fatto che, con l’intervento operato sul comma 5 dal d.l. n. 146/2014, successivo alla sent. 32/2014 della Corte costituzionale, il legislatore abbia lasciato invariata l’unitarietà della sanzione comminata per il “fatto lieve”, limitandosi a ritoccare al ribasso la cornice edittale, costituisce, a detta della Cassazione, indice della volontà del legislatore stesso di non differenziare il reato quando il fatto sia “lieve”[14]; in secondo luogo, la stessa qualificazione del fatto come “lieve” rende indifferente la natura della sostanza oggetto della condotta. Se l’applicazione del comma 5, infatti, discende da un’analisi complessiva del fatto, che tenga conto di tutti i fattori rilevanti, una volta che tale analisi abbia condotto alla qualificazione dello stesso come “lieve”, la differenziazione delle sostanze in “pesanti” e “leggere”, a detta della Corte, perde di significato.

Si spiegano, dunque, il secondo ed il terzo principio di diritto enunciati dalla sentenza, secondo cui l’art. 73, comma 5, prevede un’unica figura di reato autonomo, rispetto alla quale non può configurarsi un concorso formale omogeneo sulla sola base della diversità delle sostanze oggetto del reato.

 

9. Con riferimento, infine, al ricorso presentato dall’imputato, la Corte lo dichiara inammissibile in quanto, nel caso di specie, la Corte territoriale avrebbe correttamente motivato sulla qualificazione del fatto come di non lieve entità, valorizzando il contesto complessivo. Se infatti è vero che tanto la contestuale detenzione di sostanze di natura differente, quanto la presenza di una pur rudimentale organizzazione non sono elementi in grado di escludere automaticamente la lieve entità del fatto, in assenza di indici di segno diverso giustificano la qualificazione in concreto del reato sotto le fattispecie base di cui ai commi 1 e 4 dell’art. 73 T.u. stupefacenti.

 

* * *

 

10. La sentenza che abbiamo qui brevemente illustrato si scontra con un tema la cui complessità trascende le singole questioni poste all’attenzione delle Sezioni Unite. Non a caso, la stessa pronuncia “allarga il campo”, cercando di sistematizzare una materia tanto articolata quanto rilevante: gli operatori giuridici si trovano quotidianamente a confrontarsi con il problema dei confini della “lieve entità” del traffico di stupefacenti, e dei rapporti tra la fattispecie “lieve” e le fattispecie “base”. Peraltro, il problema è sovente reso ancor più complesso dal fatto che viene affrontato nelle caotiche ed affollate aule dove si svolgono le “direttissime” o nell’urgenza che connota la convalida dei provvedimenti cautelari.

In questo quadro piuttosto confuso, le Sezioni Unite si sforzano di fornire alcuni punti fermi, senza scadere tuttavia in schematismi che, ingabbiando il giudizio sul caso concreto, rischiano di far perdere di vista la funzione stessa della fattispecie “elastica” di cui al comma 5 dell’art. 73: attenuare un trattamento sanzionatorio altrimenti draconiano in quei casi connotati, in concreto, da scarsa offensività.

Ed in effetti, si coglie forte il monito rivolto dalla Suprema Corte ai giudici di merito, laddove afferma che “è parimenti necessario che il percorso valutativo così ricostruito si rifletta nella motivazione della decisione, dovendo il giudice, nell’affermare o negare la tipicità del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, T.U. stup., dimostrare di aver vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata a solo alcuni di essi”[15]. Si tratta di un’affermazione particolarmente impegnativa, in quanto impone al giudice di merito di motivare non solo in relazione al riconoscimento della “lieve entità”, ma anche nel senso contrario, qualora vi siano indici che potrebbero indirizzare in tal senso il percorso argomentativo. E si tratta di affermazione ancor più impegnativa se si considera la natura della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, T.u. stupefacenti, dotata di uno scarso grado di determinatezza-precisione, in cui la lacuna legislativa – opportuna per l’adeguamento della decisione al caso concreto in un’ottica di individualizzazione della risposta sanzionatoria – deve essere compensata da un attento vaglio del giudice su tutti gli elementi di fatto emergenti nel caso concreto, le cui risultanze debbono trovare adeguato riscontro in motivazione[16].

 

11. Più complesso appare, invece, il problema dell’unità-pluralità di reati nel caso di detenzione o spaccio di sostanze stupefacenti rientranti in tabelle differenti, e su questo la motivazione delle Sezioni Unite non pare del tutto convincente.

In questo contesto, infatti, si pongono tre problemi differenti, che è bene non confondere: in primo luogo, infatti, si pone il problema del rapporto tra le varie disposizioni di cui si compone l’art. 73 dal punto di vista della dicotomia concorso apparente di norme-concorso di reati; in secondo luogo, risolto il primo problema, si pone quello di individuare il criterio in base a cui è possibile affermare che nel caso concreto è stato commesso un solo reato o, viceversa, più d’uno; in terzo ed ultimo luogo, qualora in concreto siano stati commessi più reati in concorso fra loro, si pone il problema tutt’altro che residuale di capire se si tratti di concorso formale o concorso materiale[17].

Le Sezioni Unite si trovano, con la sentenza in esame, ad affrontare tutti e tre i problemi, ma tendono a sovrapporli. Al contrario, si tratta di questioni del tutto distinte, che possono essere più efficacemente affrontate solo apprezzandone l’autonomia concettale[18].

 

12. Con riferimento alla prima questione, ossia il problema della natura apparente o reale del concorso tra fatti riconducibili alle diverse norme che compongono l’art. 73 T.u. stupefacenti, questo si pone tanto nei rapporti tra i primi tre commi ed il quarto quanto rispetto al concorso tra i primi quattro commi ed il quinto. Le Sezioni Unite affrontano questo problema laddove affermano che tra i primi tre commi ed il quarto vi è un rapporto di incompatibilità, in ragione del diverso oggetto materiale della condotta, da cui deriverebbero “forme (e non solo gradi) differenti di aggressione del comune fascio di interessi tutelati[19].

L’affermazione trova riscontri in autorevolissima dottrina, ed è d’altra parte coerente con la giurisprudenza prevalente[20]. Tuttavia, ci sia consentito qui richiamare altrettanto autorevole dottrina di segno opposto: nella vigenza del testo originario dell’art. 73 T.u. stupefacenti, infatti, era stata avanzata una suggestiva tesi volta ad evidenziare come, pur in assenza di un rapporto di specialità tra la fattispecie di cui al quarto comma e le precedenti, queste ultime fossero strutturate in modo tale da racchiudere in sé un’integrale valutazione della gravità del fatto riguardante sostanze di natura differente[21]. È evidente il richiamo a quel criterio che, nella manualistica, viene comunemente definito di sussidiarietà tra norme e che si basa sul rapporto di rango tra le stesse: tra due disposizioni prevale – escludendo l’applicabilità dell’altra – quella che reprime un grado maggiore di offesa al medesimo bene giuridico o che, accanto al bene giuridico tutelato dalla norma sussidiaria, ne tutela un altro[22].

Vero è che la giurisprudenza maggioritaria pare restìa ad ammettere criteri generali di individuazione e soluzione dei conflitti apparenti tra norme diversi dalla specialità[23]. In questo caso, però, le Sezioni Unite avvertono il bisogno di specificare che i primi quattro commi dell’art. 73 T.u. stupefacenti configurano fattispecie volte a sanzionare “forme (e non solo gradi) differenti” di offesa al bene giuridico, facendo così implicitamente riferimento ad un rapporto di rango tra le disposizioni in esame, sebbene per escluderne la sussistenza. Potrebbe sembrare una forma di excusatio non petita, peraltro non motivata in alcun modo nel prosieguo dell’argomentazione.

Al contrario, invece, a nostro sommesso avviso, pare proprio che l’art. 73, comma 4, T.u. stupefacenti si configuri come norma sussidiaria rispetto alle fattispecie di cui ai commi precedenti. Innanzitutto, infatti, i reati previsti per il traffico di stupefacenti “pesanti” prevedono pene che, avvicinandosi nell’entità massima a quella comminata per l’omicidio volontario, paiono perfettamente in grado di consentire una valutazione complessiva del fatto concreto anche quando lo stesso abbia ad oggetto sostanze stupefacenti di natura diversa. Ma vi è di più: come ben evidenziato dalla dottrina cui si è già fatto riferimento, ritenere sussistente un concorso di reati sulla sola base della diversità di sostanze significherebbe minacciare una pena più grave – superiore, in astratto, a quella prevista per l’omicidio volontario – a colui che traffichi modesti quantitativi di droghe diverse rispetto a quella minacciata a colui che gestisca un ingente traffico di stupefacenti tutti di natura “pesante”[24].

Ci sembra, poi, che la lettura del rapporto tra i primi quattro commi dell’art. 73 cui abbiamo aderito abbia degli effetti positivi anche sull’interpretazione del comma quinto: ritenendo sussistente il rapporto di sussidiarietà, infatti, diviene più semplice valorizzare la lettura unitaria del fatto di cui parlano le Sezioni Unite quando impongono al giudice una valutazione comprensiva ed in concreto del fatto al fine di qualificarlo come “di lieve entità”. Posto che, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite stesse[25], il comma quinto si configura come norma speciale rispetto alle ipotesi-base, è evidente che ritenendo sussistente un concorso apparente di norme tra il quarto comma ed i precedenti – fondato sulla sussidiarietà – ed un concorso apparente anche tra i primi quattro commi ed il quinto – fondato sulla specialità – quando un fatto debba essere ricondotto contemporaneamente a più disposizioni tra quelle contenute nell’art. 73 T.u. stupefacenti, dovrà trovare sempre applicazione una norma soltanto. L’unico concorso di reati ammissibile all’interno dell’art. 73 diverrebbe, dunque, quello omogeneo.

 

13. La soluzione della questione attinente al rapporto tra le diverse norme di cui si compone l’art. 73 T.u. stupefacenti, tuttavia, nulla ci dice in ordine agli altri due problemi cui abbiamo fatto riferimento: quello dell’unità-pluralità del reato e quello, logicamente subordinato, della natura formale o materiale dell’eventuale concorso di reati. La prima questione, in buona sostanza, si risolve nell’individuazione del criterio (o dei criteri) per definire quando vi sia una sola violazione della norma di riferimento (e dunque il reato sia unico) o, al contrario, quando ve ne sia più d’una (e dunque ci si trovi di fronte ad un concorso di reati).

Il problema è molto complesso, e le Sezioni Unite forniscono solo qualche spunto per affrontarlo. Innanzitutto, la sentenza classifica tanto il primo quanto il quarto comma dell’art. 73 T.u. stupefacenti come “norme a più fattispecie”, che tipizzano “modalità alternative di realizzazione di un medesimo reato”: se ne inferisce che, di fronte alla commissione da parte dello stesso autore di più condotte tra quelle tipizzate dall’art. 73, comma 1 – ad esempio, detenzione e vendita – il reato rimane unico. Le Sezioni Unite, però, si premurano di specificare che ciò è vero fintanto che le diverse condotte siano poste in essere “in tempi diversi, ma in un unico contesto”: questa specificazione, oltre ad essere poco chiara, confonde il piano dell’unità-pluralità del reato con quello della natura formale o materiale del concorso che eventualmente si sia determinato.

Come messo in luce dalla più recente dottrina sul punto, il criterio dell’unità spazio-temporale del contesto, che consente di delimitare l’unicità del fatto ai sensi dell’art. 81, comma 1, c.p. e quindi di distinguere il concorso formale di reati da quello materiale, non è un criterio utile ai fini della soluzione del conflitto unità-pluralità di reati[26]. Quest’ultima dicotomia, infatti, secondo la dottrina cui si fa riferimento, deve essere risolta avendo riguardo alla “capacità di continenza” della norma in esame, ossia alla sua capacità di racchiudere in sé un’integrale valutazione del disvalore di un fatto. Tale “capacità di continenza” andrebbe poi desunta dall’interpretazione della norma stessa, e non da criteri di tipo naturalistico quale quello dell’unità d’azione, cui invece le Sezioni Unite sembrano fare riferimento esigendo l’unità del contesto per escludere il concorso di reati.

Allo stesso modo, attiene a questo specifico tema anche l’analisi del problema relativo alla possibilità di configurare un concorso formale di reati omogeneo nel caso di contestuale detenzione di sostanze stupefacenti di natura diversa, quando l’intero fatto debba essere qualificato come “di lieve entità”. A ben vedere, in effetti, in quest’ultimo caso non si pone un problema di concorso di norme ma di unità-pluralità del reato, che deve essere affrontato e risolto come tale. In effetti, la stessa sentenza in esame sembra far riferimento ad un criterio di questo tipo quando esclude che sia possibile un concorso formale omogeneo di reati quando vi sia detenzione di sostanze stupefacenti di tipo diverso e l’intero fatto sia connotato dalla “lieve entità”[27]. La sentenza, infatti, pur asserendo che l’art. 73, comma 5, configura una c.d. norma a più fattispecie, nel motivare tale conclusione fa riferimento a parametri che, a nostro avviso, sembrano riconducibili proprio a quel canone di “capacità di continenza” della norma cui si riferisce la dottrina citata.

Non è questa la sede per approfondire ulteriormente la questione: ci limitiamo ad evidenziare come sarebbe opportuno che la giurisprudenza considerasse a fondo la diversità dei problemi sul tappeto, in modo da poter fornire indicazioni più chiare di quali sono i criteri cui fa riferimento nella soluzione degli stessi.

 

14. Infine, con riferimento all’ultima delle tre questioni sopra esposte – ossia il criterio per delimitare concorso formale e concorso materiale di reati – grande sembra essere la confusione sotto il cielo nella giurisprudenza di merito e di legittimità: complice, probabilmente, l’equiparazione sanzionatoria tra concorso formale e reato continuato, le due categorie vengono sovente considerate come interscambiabili. L’equivoco si coglie anche nella stessa ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, laddove la Corte fa riferimento alla “continuazione interna” per il caso in cui si ritenga configurabile un concorso di reati nel caso di contestuale detenzione di stupefacenti di natura diversa, ed il fatto complessivamente considerato sia da ritenersi “di lieve entità”[28]. È evidente come, in questo caso, non vi si possa in nessun caso parlare di continuazione posto che si tratterebbe, al più, di un concorso formale omogeneo di reati.

La questione non è puramente nominalistica: vero è che le due figure ricevono il medesimo trattamento sanzionatorio, ma il reato continuato rimane istituto ben distinto dal concorso formale dal punto di vista della fattispecie. Di questo aspetto sono ben consapevoli le Sezioni Unite, che affrontano espressamente il problema: la sentenza, infatti, evidenzia come qualificando ogni concorso formale sotto il grande ombrello della continuazione non si tiene conto del fatto che tale istituto, per essere applicato, richiede la prova in concreto del “medesimo disegno criminoso”, la cui sussistenza giustifica il trattamento sanzionatorio più favorevole rispetto al concorso materiale di reati. Al contrario, il concorso formale comporta in automatico l’applicazione del cumulo giuridico delle pene, senza bisogno di provare l’unità del proposito criminale[29].

Per individuare il discrimen tra concorso formale e concorso materiale, quindi, le Sezioni Unite fanno riferimento al criterio più diffuso nella manualistica, ossia l’unicità del contesto spazio-temporale in cui si sono svolti i fatti che integrano le diverse fattispecie di reato – o che integrano più volte un’unica fattispecie, per il caso di concorso omogeneo[30]. La precisazione è alquanto opportuna, ed è auspicabile che, anche su questo punto, la sentenza in esame venga presa molto sul serio dai giudici tanto di merito quanto di legittimità.

 

15. Per esigenze di brevità espositiva, non approfondiamo oltre i temi sopra appena accennati, limitandoci ad osservare come la sentenza esaminata rappresenti certamente un passo avanti nel processo di elaborazione giurisprudenziale dei rapporti tra le fattispecie di cui si compone l’art. 73 T.u. stupefacenti e, soprattutto, dei criteri di interpretazione della fattispecie di “lieve entità” di cui al comma 5. Si tratta di una norma di frequentissima applicazione pratica, da cui deriva un altissimo numero di condanne che si traducono effettivamente in reclusione carceraria. Si tratta, però e al tempo stesso, di una norma tra le più intricate con cui i giudici si trovano quotidianamente a confrontarsi: pertanto, ogni intervento chiarificatore deve essere visto con favore, soprattutto se esso proviene dal massimo organo nomofilattico dell’ordinamento.

 


[1] Si veda Sezioni Unite: la diversa qualità degli stupefacenti di non esclude di per sé l’ipotesi lieve, in questa Rivista, 2 ottobre 2018.

[2] Cass., Sez. III, ord. 15 marzo 2018 (dep. 25 maggio 2018), n. 23547, Pres. Di Nicola, Rel. Aceto, ric. Murolo

[3] Si veda, oltre alle sentenze citate al riguardo dall’ordinanza di rimessione, n. 23547/2018, cit., la recentissima C. Cass., sez. III pen., sent. 14 marzo 2018, pres. Sarno, rel. Semeraro, ricc. Aboumelek e Essid, §2 in diritto.

[4] L’ordinanza giunge a tale conclusione facendo applicazione di un’interpretazione sistematica: il successivo art. 74 T.u. stupefacenti, infatti, che reprime le fattispecie associative finalizzate al traffico di stupefacenti, contempla anche al comma 6 l’ipotesi in cui l’associazione sia costituita “per commettere i fatti descritti dal comma 5 dell’art. 73”. Se dunque è possibile, argomenta la Cassazione, che il fatto “di lieve entità” sia commesso come reato-fine di un’associazione, ossia di un’organizzazione articolata di almeno tre persone, non si capisce perché un’organizzazione – peraltro assai approssimativa ed elementare – posta in essere da un singolo individuo debba essere necessariamente qualificata ai sensi delle più gravi fattispecie di traffico “ordinario”; si veda, al riguardo, il §4 dell’ordinanza di rimessione, n. 23547/2018, cit..

[5] La sentenza può essere consultata al seguente link: Depositata la sentenza della Corte costituzionale sulla disciplina Fini-Giovanardi in materia di stupefacenti, in questa Rivista, 26 febbraio 2014.

[6] Si vedano i §§ 2 e 3 della sentenza in esame.

[7] La sentenza, al § 4.1, fa riferimento a numerose pronunce delle sezioni semplici della Cassazione, tra cui, addirittura, una emessa sotto la vigenza della legge Fini-Giovanardi, e dunque in un contesto in cui le sostanze stupefacenti non erano suddivise in tabelle diverse, e la contestuale detenzione o vendita di droghe differenti era ritenuta un reato unico proprio in quanto rientrante in un’unica classificazione tabellare (C. Cass., sez. III, sent. 9 ottobre 2014, n. 47671, Cichetti, Rv. 261161). Sul problema della natura unitaria o meno del reato torneremo brevemente infra.

[8] Per i riferimenti giurisprudenziali si veda il §4.2 della sentenza in esame.

[9] Il riferimento è a C. Cass., Sez. Un., ud. 21 giugno 2000, dep. 21 settembre 2000, n. 17 pres. Consoli, rel. Losapio, imp. Primavera e C. Cass., Sez. Un., ud. 24 giugno 2010, dep. 5 ottobre 2010, sent. n. 35737, pres. Gemelli, rel. Fiandanese, imp. Rico. Per la verità questo riferimento non pare del tutto convincente, e le stesse Sezioni Unite nel caso in esame sembrano contraddirsi quando, richiamando le citate sentenze, affermano che “la lieve entità del fatto può essere riconosciuta solo in ipotesi di «minima offensività penale della condotta […] con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio»”. Nel prosieguo dell’argomentazione, infatti, le Sezioni Unite sembrerebbero sposare la tesi opposta, per cui il fatto deve sempre e comunque essere complessivamente analizzato, e nessuno degli indici dettati dal comma 5 può di per sé essere considerato “negativamente assorbente”.

[10] Peraltro, questa era anche l’interpretazione suggerita dall’ordinanza di rimessione, al §4.8.

[11] Peraltro, le Sezioni Unite si premurano anche di evidenziare come spesso la giurisprudenza – tanto di merito quanto di legittimità – tenda a confondere il concorso formale con il reato continuato, individuando la continuazione anche in casi, come quello in esame, in cui il fatto è evidentemente unico. Si veda, al riguardo, l’ultimo cpv. del §11 della sentenza in esame.

[12] Il riferimento è, in particolare, alla sent. C. Cass., sez. IV, ud. 5 giugno 2018, dep. 11 settembre 2018, n. 40294, pres. Piccialli, rel. Dovere, imp. Schiraldi.

[13] La sentenza fa riferimento a due pronunce precedenti: C. Cass., sez. IV, ud. 6 giugno 2017, sent. n. 36078, pres. Montagni, rel. Tanga, imp. Dubini e C. Cass., sez. III, ud. 26 gennaio 2018, sent. n. 22398, imp. Allali. Nello stesso senso si segnala, nella giurisprudenza di merito, C. App. Venezia, Sent. 5 aprile 2016 (dep. 13 maggio 2016), Pres. Galli, Est. Miazzi, Imp. Martin, in questa Rivista, con nota Stupefacenti e fatto di lieve entità: un nuovo orientamento in ipotesi di spaccio continuato, 14 luglio 2016. L’ordinanza di rimessione della Terza Sezione si era confrontata con la sent. Dubini, ma aveva ritenuto che la tesi da questa sostenuta fosse superata in virtù del fatto che tale sentenza faceva riferimento a fatti commessi dopo la trasformazione del quinto comma in ipotesi autonoma di reato ma prima della sentenza della Corte costituzionale con cui è ritornata in vigore la distinzione tra droghe “pesanti” e “leggere”; in un periodo, dunque, in cui l’art. 73, comma 5, era norma speciale rispetto ad un’ipotesi “base” unica ed indifferenziata.

[14] La sentenza delle Sezioni Unite in esame non vi fa riferimento, ma la soluzione adottata sembra trovare un autorevole avallo nella sent. C. Cost., 13 gennaio 2016, n. 23, in questa Rivista, 7 marzo 2016, con nota di C. Bray, Legittima la nuova formulazione dell'art. 73 co. 5 T.u. stup.: insindacabile la scelta legislativa di equiparare droghe pesanti e leggere, in cui la Consulta aveva confermato come l'unicità della cornice edittale per fatti lievi che concernano tanto le droghe “leggere” quanto quelle “pesanti” non contrasti con la Costituzione, con ciò fornendo un'ulteriore conferma dell'unicità della fattispecie di cui al quinto comma.

[15] Il virgolettato è tratto dal § 7 della sentenza in esame.

[16] È appena il caso di accennare ai possibili profili di incostituzionalità dell’art. 73, quinto comma, T.u. stupefacenti. per carenza di precisione: come già evidenziato dalla dottrina precedente la trasformazione della norma in titolo autonomo di reato, infatti, la clausola della “lieve entità” è a tal punto indeterminata quanto ai contorni della fattispecie che concorre a definire da far dubitare della sua legittimità costituzionale (Ancora una volta, F. C. Palazzo, Consumo e traffico, cit., p. 165, il quale, sotto la vigenza della pregressa disciplina, riteneva che la legittimità della previsione fosse giustificata solo in quanto all’epoca aveva natura di circostanza attenuante. Allo stesso modo, circa la qualificazione come circostanze “indeterminate”, ossia prive di precisa definizione legislativa, di quelle fattispecie facenti riferimento al concetto di “lieve entità”, si veda nella manualistica G. Fiandaca – E. Musco, Diritto penale. Parte generale, VII ed., Torino, 2014, p. 437). È evidente che la dichiarazione di incostituzionalità della norma per deficit di precisione, e dunque per violazione del principio di legalità, non è in alcun modo auspicabile da un punto di vista politico-criminale, data la evidente funzione deflattiva e di valvola di sfogo di un sistema sanzionatorio altrimenti draconiano.

[17] La distinzione tra i tre piani in questione, e la trattazione specifica della questione dell’unità-pluralità di reato è oggetto di una monografia di prossima pubblicazione, alla quale facciamo rinvio per l’approfondimento di un tema che è stato definito da Mantovani “tra i più impegnativi della scienza penale”: si veda A. Aimi, Le fattispecie “di durata”. Contributo alla teoria dell’unità o pluralità di reato, Pavia, in corso di pubblicazione, in particolare sul tema alle pp. 271-275.

[18] Una analoga sovrapposizione di piani – resa appena più semplice dal fatto che in quel caso veniva in gioco una sola norma, non ponendosi dunque il problema del concorso apparente – è stata rilevata in relazione ad una recentissima sentenza resa dalle Sezioni Unite: il riferimento è a C. Cass., Sez. Un., ud. 22 febbraio 2018, dep. 24 settembre 2018, sent. n. 40981, pres. Di Tomassi, Rel. De Crescenzio, Ric. Apolloni, in questa Rivista, con nota di S. Bernardi, Per le Sezioni Unite sussiste concorso formale tra più reati di resistenza a pubblico ufficiale nel caso in cui la condotta di violenza o minaccia sia utilizzata per opporsi a una pluralità di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, 31 ottobre 2018.

[19] Si veda il §11 della sentenza in esame.

[20] Si veda, al riguardo, G. Piffer, Sub art. 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in E Dolcini – G. L. Gatta, Codice penale commentato, fondato da E. Dolcini e G. Marinucci, IV ed., Milano, 2015, pp. 2238-2239, in quale parla di “diverse condotte […] previste in termini di alternatività, con la conseguenza che sussiste un unico reato nel caso di contestuale realizzazione di più condotte tipiche aventi ad oggetto la medesima sostanza; diversamente si avrà pluralità di reati”. Sia consentito evidenziare come anche in questo passaggio vi è una sovrapposizione di piani tra il problema del concorso di norme e quello dell’unità-pluralità di reato, che vengono affrontati come se fossero un problema unico.

[21] La tesi si trova in F. C. Palazzo, Consumo e traffico degli stupefacenti (Profili penali), II ed., Padova, 1994, pp. 152-153.

[22] I rinvii potrebbero essere sterminati, ma ci limitiamo a richiamare G. Marinucci – E. Dolcini – G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte Generale, VII ed., Milano, 2018, pp. 546 ss. e G. Fiandaca – E. Musco, Diritto penale. Parte generale, VII ed. Torino, 2014, pp. 721-722. A tale criterio sembrerebbe far riferimento anche F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, X ed., Milano, 2017, p. 474, dove individua il criterio del trattamento penale più severo come “indice primario e più significativo della norma prevalente”, quando questa non sia individuata mediante il criterio della specialità o per espressa clausola di riserva.

[23] Si veda F. Mantovani, Diritto penale, cit., p. 466, nt. 108, e la giurisprudenza ivi citata.

[24] Si veda, nuovamente, F. C. Palazzo, Consumo e traffico degli stupefacenti (Profili penali), II ed., Padova, 1994, p. 153.

[25] Si veda il §3 della sentenza in esame, in cui si afferma la natura di reato autonomo del comma 5, e il suo rapporto di specialità rispetto alle norme di cui ai commi precedenti.

[26] Il richiamo è, nuovamente, ad A. Aimi, Le fattispecie “di durata”, cit., pp. 384-387 e, con riferimento alla specifica disposizione di cui ci stiamo occupando, pp. 428-430.

[27] Si veda il §14 della sentenza in esame, il cui contenuto è esposto supra al par. 8.

[28] Si veda il §4.10 dell’ordinanza di rimessione, Cass., Sez. III, ord. n. 23547 del 2018, cit.

[29] Più precisamente, su questo punto le Sezioni Unite, con affermazione la cui tenuta dogmatica non pare molto consistente, affermano che il medesimo disegno criminoso sarebbe “sostanzialmente presunto” dall’art. 81, comma 1, c.p.; si veda il §11, ultimo cpv., della sentenza in esame.

[30] Si vedano al riguardo, ex multis, G. Marinucci – E. Dolcini – G.L. Gatta, Manuale di diritto penale, cit., p. 562 e G. Fiandaca – E. Musco, Diritto penale, cit., p. 701. Al contrario, F. Mantovani, Diritto penale, cit., p. 460, ritiene che sia più corretto parlare di “concorso con azione unica” e fa riferimento al concetto, appunto, di “unità di azione”.