ISSN 2039-1676


04 giugno 2019 |

La riforma dello scambio elettorale

L. 21 maggio 2019, n. 43 ("Modifica all'articolo 416-ter del codice penale in materia di voto di scambio politico-mafioso").

Per il testo della l. n. 43/2019, clicca qui.

 

1. Con la legge 21 maggio 2019, n. 43, recante “Modifica all’articolo 416-ter del codice penale in materia di voto di scambio politico-mafioso” e destinata ad entrare in vigore il giorno 11 giugno 2019[1], è stata varata l’ennesima riforma dell’art. 416 ter c.p. nel giro di appena un lustro[2].

In particolare, con questo intervento legislativo – annunciato da tempo e con clamore dalle forze politiche di maggioranza – si è proceduto alla sostituzione del precedente testo del delitto di scambio elettorale con il seguente:

«Chiunque accetta, direttamente o a  mezzo  di  intermediari,  la  promessa  di procurare voti da parte di soggetti appartenenti alle associazioni di cui all'articolo 416-bis o mediante le  modalità  di  cui  al  terzo comma  dell'articolo  416-bis  in  cambio  dell'erogazione  o  della promessa di erogazione di denaro o di qualunque altra utilità  o  in cambio della disponibilità a soddisfare gli interessi o le  esigenze dell'associazione mafiosa è punito con la pena stabilita  nel  primo comma dell'articolo 416-bis.

La stessa pena si applica a chi promette, direttamente o a mezzo di intermediari, di procurare voti nei casi di cui al primo comma.

Se  colui  che  ha  accettato  la  promessa  di  voti,  a   seguito dell'accordo di  cui  al  primo  comma,  è  risultato  eletto  nella relativa consultazione elettorale, si applica la  pena  prevista  dal primo comma dell'articolo 416-bis aumentata della metà.

In caso di condanna per  i  reati  di  cui  al  presente  articolo consegue sempre l'interdizione perpetua dai pubblici uffici».

 

2. Come si può agevolmente notare dalle parti evidenziate in grassetto, non si tratta di un piccolo ritocco della precedente versione, ma di sostanziali cambiamenti: sono, infatti, numerose le modifiche apportate alla disciplina pregressa, tanto sul versante del precetto primario e, quindi, della condotta penalmente rilevante, tanto su quello del precetto secondario e, dunque, della dosimetria sanzionatoria.

L’obiettivo comune di tutte è ancora una volta – come, peraltro, già nelle altre due recenti riforme in materia di corruzione e di legittima difesa domiciliare – l’inasprimento della risposta punitiva nei confronti di un fenomeno di elevato allarme sociale qual è la contiguità politico-mafiosa di tipo elettorale e, soprattutto, la facile aggregazione di consensi attorno a leggi che incidono su fatti diffusamente disapprovati dalla collettività, ma senza generare oneri economici a carico dello Stato.

Tuttavia, come molte novelle normative dotate di valenza simbolico-espressiva, nessuno dei cambiamenti realizzati appare convincente. Anzi, come si vedrà, alcuni risultano del tutto irrilevanti, altri, invece, assolutamente irrazionali.

 

3. Ma procediamo con ordine, descrivendoli in maniera analitica e segnalando per ciascuno i rispettivi elementi di scarsa originalità o di più o meno grave criticità.

 

a) I soggetti attivi. Viene allargato il novero dei possibili autori del reato sotto ambo i versanti, quello del promittente e quello del promissario dei voti. Per entrambi viene specificato che il protagonista dell’accordo può essere anche un intermediario; mentre per il solo procacciatore viene puntualizzato che può essere anche un appartenente alle associazioni di cui all’articolo 416-bis c.p., oltre che chiunque si impegni a procurare voti mediante il metodo mafioso.

Sebbene nelle confuse idee del legislatore tale opzione doveva essere diretta ad estendere l’area di operatività della fattispecie, in realtà non la modifica in alcun modo.

Il riferimento agli intermediari è del tutto pleonastico, potendo questi, già sotto la precedente formulazione del fatto tipico, essere inclusi nel novero dei soggetti attivi, sia direttamente, in ragione della struttura di reato comune potenzialmente realizzabile da “chiunque” del vecchio scambio elettorale, sia indirettamente, tramite il combinato disposto con l’art. 110 c.p. che consentiva tranquillamente di punire tanto condotte di agevolazione unilaterale, quando bilaterale della stipula di un patto politico-mafioso. Anzi, forse potrebbe dare vita a qualche incertezza sul fronte del diritto intertemporale, portando la giurisprudenza ad interrogarsi se tale puntualizzazione non rappresenti una nuova incriminazione.

Crea invece più problemi di quelli che mirava a risolvere la esplicitazione che il promittente i voti possa essere anche un intraneus al sodalizio mafioso. Non solo pure in questo caso la formulazione pregressa già annoverava tali soggetti tra i possibili autori del delitto, rivolgendosi indistintamente a chi prometteva di procurare i voti senza distinzioni di sorta, ma questa volta sorgono non pochi dubbi su come debba intendersi questa categoria di soggetti “appartenenti” a clan mafiosi; vale a dire, se a tal fine si debba richiedere la condanna definitiva per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., oppure ci si possa accontentare di altro, come, ad esempio, una condanna di primo grado, l’applicazione di una misura cautelare o di una misura di prevenzione.

 

b)  La condotta del promissario. Viene inserita una nuova modalità realizzativa del patto elettorale politico-mafioso, precisandosi che il promissario è punito, oltre che nei casi di dazione o promessa di denaro o altra utilità già contemplati in precedenza come controprestazione in cambio dei voti, anche in quello di mera disponibilità a soddisfare gli interessi o le  esigenze dell'associazione mafiosa.

Come già segnalato dalla dottrina al tempo della precedente riforma del 2014 dell’art. 416 ter c.p. quando si discusse, scartandola, di una simile scelta legislativa[3], essa appare poco ragionevole e difficilmente compatibile con i principi di offensività, extrema ratio e proporzionalità della pena, andando ad incriminare con le stesse pene comminate per altri comportamenti più determinati e gravi una condotta decisamente meno disvalorata qual è la semplice disponibilità futura ed incerta del candidato o del suo intermediario a soddisfare in modo indistinto le richieste della associazione[4].

Se davvero si voleva allargare così tanto il raggio di azione della fattispecie includendovi anche condotte prodromiche come questa, forse sarebbe stato più opportuno prevedere una figura autonoma o una circostanza attenuante ad effetto speciale per disciplinare in modo meno severo tale eventualità, sulla falsariga di quanto già fatto in materia di corruzione per la funzione e per la corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, dove si è differenziata ragionevolmente la risposta sanzionatoria sulla scorta della tipologia più o meno concreta e definita della prestazione di una delle parti di quell’accordo illecito, la semplice funzione o l’atto contrario ai doveri di ufficio.

Del tutto irrilevante risulta, invece, l’aggiunta dell’aggettivo indefinito “qualunque” prima della locuzione “altra utilità”, dal momento che già quest’ultima era talmente ampia da poter ricomprendere al suo interno le più disparate forme di vantaggio che un soggetto poteva trarre da un patto elettorale illecito, sia di natura patrimoniale che di altro tipo.

 

c) La pena base. La pena per entrambe le parti viene sostituita ed aumentata ancora, dopo il recente giro di vite operato appena due anni or sono nel 2017[5]. In particolare, viene reintrodotta la vecchia e superata equiparazione del trattamento sanzionatorio con il delitto di partecipazione associativa mafiosa, stabilendo che ad ambo i contraenti del sinallagma illecito si applichino le pene previste dall’art. 416 bis, comma 1 c.p.

Sicuramente questa rappresenta la opzione più manifestamente irragionevole esercitata dal legislatore della riforma, introducendo una assurda parificazione tra situazione fortemente eterogenee come quelle della partecipazione associativa e del concorso esterno, da un lato, e del mero scambio elettorale, dall’altro.

È abbastanza evidente, infatti, come il disvalore di quest’ultimo comportamento, che si esaurisce in una mera condotta (teoricamente consistente anche nella semplice definizione di una fugace intesa elettorale tra un mafioso silente ed un candidato che si limiti a dimostrare una disponibilità futura ad assecondare le sue richieste), sia sensibilmente meno grave tanto rispetto a quello del partecipe, individuato secondo il ‘modello misto’ consegnatoci dalle Sezioni unite Mannino 2005, e dunque facendo leva sia sulla affectio societatis, quanto sul contributo dinamico fornito alla vita associativa[6], tanto rispetto a quello del concorrente esterno che, sempre secondo le S.U. 2005, non è integrato da una mera condotta potenzialmente idonea ad aiutare un gruppo mafioso, ma dalla effettiva causazione in termini condizionalistici di un macro evento di rafforzamento o mantenimento in vita dell’intero sodalizio[7].

 

d) La circostanza aggravante speciale ad effetto speciale. Viene infine prevista una nuova aggravante ad effetto speciale che determina un aumento fisso della metà della pena base nell’eventualità in cui il candidato alle elezioni risulti eletto a seguito della promessa elettorale di origine mafiosa.

Anche l’irragionevolezza di questa ipotesi circostanziale è macroscopica, tanto quanto la sua incompatibilità con il principio rieducativo e con quello di proporzionalità della pena.

Innanzi tutto, non si comprende su cosa risieda l’aumento di pena in questo caso, essendo collegato ad un dato neutro e potenzialmente indipendente dal voto di scambio qual è l’elezione del candidato e comunque indimostrabile in sede processuale considerando il principio della segretezza del voto che non consentirebbe mai di poter verificare se effettivamente gli elettori compulsati dal mafioso abbiano rispettato le ‘consegne’ e, dunque, abbiano inciso causalmente con i loro voti sull’esito della consultazione elettorale.

Inoltre, la previsione di un aumento di pena fisso, peraltro della metà di una pena base già elevatissima, produce l’esito paradossale di infliggere una pena di 22 anni al politico beneficiario della promessa e, quindi, una pena ben più alta di quella riservata dal codice ad un partecipe effettivo di una associazione mafiosa e, addirittura, ad un suo vertice, prevedendo il primo comma una pena massima di 18 anni di reclusione.

Senza trascurare che una variazione di pena così consistente ma non modulabile in base alle peculiari situazioni di fatto impedisce quella individualizzazione della risposta sanzionatoria che è alla base della istanza rieducativa a cui tutte le sanzioni penali devono tendere per espressa indicazione costituzionale.

 

e) La pena accessoria. In linea di continuità con la recente riscoperta delle pene accessorie, il legislatore ha previsto nel neo-introdotto comma 4 dell’art. 416 ter c.p. l’interdizione perpetua dai pubblici uffici dei protagonisti dell’intesa politico-mafiosa in caso di condanna.

Tra le diverse novità introdotte questa è la meno problematica e, forse, la più razionale, limitandosi a prevedere che un candidato che sia stato condannato per un delitto legato al futuro esercizio di funzioni pubbliche cruciali quali sono quelle a cui si accede su base elettiva non possa più ricoprire incarichi pubblici. Certo, anche in questo caso la durata perpetua e non graduabilità della pena non consentono di individualizzare la risposta punitiva e di modulare l’entità della misura interdittiva sulla gravità complessiva del comportamento del reo.

 

4. La velocissima ricognizione dei principali elementi di novità apportati dalla riforma appena varata consente di trarre un bilancio decisamente negativo, non solo perché alcuni di tali profili sono pleonastici, ma soprattutto perché altri potrebbero dare vita a molti problemi applicativi e di coordinamento con altre fattispecie incriminatrici, oltre che ad eventuali questioni di legittimità costituzionale per violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e rieducazione di cui agli artt. 3 e 27 comma 3 Cost.

La nuova stagione inaugurata dalla giurisprudenza costituzionale sul fronte delle pene fisse e di quelle manifestamente sproporzionate con le sentenze nn. 222/2018 e 40/2019[8] può infatti lasciar presagire un futuro poco longevo tanto per la pena base del nuovo scambio elettorale, quanto, soprattutto, per la aggravante fissa ad effetto speciale della elezione.

Per ora l’unico dato che si può ricavare è che la novella si inserisce perfettamente nella attuale tendenza riformistica in cui sembrano contare soprattutto le norme manifesto capaci di intercettare facilmente il consenso sociale dell’opinione pubblica, a prescindere dalla verifica della loro compatibilità con i principi costituzionali.

Come già hanno dimostrato le recenti riforme della corruzione e della legittima difesa domiciliare, la logica che pervade gli odierni interventi legislativi in ambito penale è quella dell’illico ed immediate, piuttosto che quella di lungo periodo capace di tener conto degli immutabili valori della nostra Carta fondamentale.

Anche in questo caso, quindi, come negli altri coevi, si dovrà attendere il vaglio della prassi per comprendere se e come una simile maldestra e piattamente rigoristica riforma possa adattarsi o meno ai principî scanditi nella Costituzione e possa convivere con altre fattispecie preesistenti, come, ad esempio, il concorso esterno.

 

 


[1] Per un primissimo commento si veda A. Cisterna, Voto di scambio: la legge pubblicata in Gazzetta, in http://www.quotidianogiuridico.it, 28 maggio 2019. Per un commento più analitico si rinvia a G. Amarelli, L’ennesima riforma dello scambio elettorale politico-mafioso tra molte ombre e nessuna luce, in Dir. pen. proc., 2019, in corso di pubblicazione.

[2] Com’è noto, infatti, il delitto di cui all’art. 416 ter c.p. era stato profondamente riformulato nel 2014 con la legge n. 62, mentre nel 2017 con la legge n. 103 si era provveduto ad una modifica della sola cornice edittale di pena.

[3] C. Visconti, Verso la riforma del reato di scambio elettorale, in questa Rivista, 17 giugno 2013.

[4] Per le critiche mosse contro una simile modifica ampliativa dell’art. 416 ter c.p. si rinvia al nostro La contiguità politico-mafiosa, Roma, 2017, 264 ss.

[5] Sul punto si rinvia a G. Amarelli, Prove di populismo penale: la proposta di inasprimento delle pene per lo scambio elettorale politico-mafioso, in questa Rivista, 2 maggio 2017.

[6] V. Maiello, Il concorso esterno tra indeterminatezza legislativa e tipizzazione giurisprudenziale, Torino, 2014, 101 ss.

[7] I. Giugni, Il problema della causalità nel concorso esterno, in questa Rivista, 7 ottobre 2017.

[8] Le due sentenze sono consultabili in questa Rivista con i commenti, rispettivamente, di A. Galluccio e di  C. Bray.