7 giugno 2011 |
Cass. pen., Sez. VI, sent. 8 febbraio 2011 (dep. 31 marzo 2011), n. 13315, Pres. De Roberto, Rel. Calvanese, ric. Fabi (falsità ideologica in certificazioni amministrative ed esercizio abusivo della professione medica)
Il farmacista che completi - con l'indicazione del farmaco - il ricettario per prescrizioni mediche, intestato ad un medico della A.S.L. e dallo stesso sottoscritto in bianco, commette i reati di falsità ideologica in certificazioni amministrative e di esercizio abusivo della professione medica
Con la sentenza che può leggersi in allegato, la sesta Sezione della Corte di cassazione –annullando senza rinvio la sentenza impugnata per intervenuta prescrizione del reato – ha tuttavia ritenuto corretta la valutazione svolta dai Giudici di prime cure in ordine alla sussistenza della responsabilità penale di un medico e di due farmacisti per i reati di falsità ideologica in certificazioni amministrative (art. 480 c.p.) e di abusivo esercizio della professione medica (art. 348 c.p.), per avere il medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale consegnato ai due farmacisti ricettari per prescrizioni mediche, da lui firmati e timbrati in ogni foglio in bianco, che questi provvedevano poi a compilare con l’indicazione dei farmaci a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
Per costante giurisprudenza, l’atto con il quale il medico convenzionato con il Servizio Sanitario pubblico prescrive una determinata terapia farmacologica al paziente ha natura complessa: di certificato, nella parte in cui attesta lo stato di malattia dell’assistito e la necessità della terapia prescritta, e di autorizzazione amministrativa, nella parte in cui determina l’assunzione di un onere finanziario a carico dell’amministrazione sanitaria. Sono pertanto due gli interessi di rango costituzionale che devono guidare l’esercizio dell’attività prescrittiva di medicinali da parte del medico convenzionato: da un lato, la tutela della salute del paziente e, dall’altro, il contenimento della spesa farmaceutica. Ne consegue – osserva la Corte – che tale attività "non solo deve tendere al miglioramento delle condizioni di salute del paziente (secondo i principi di appropriatezza del farmaco e di efficacia dell’intervento in relazione alla patologia diagnosticata), ma deve anche evitare un consumo farmacologico inadeguato, incongruo o sproporzionato, in funzione dei criteri di economicità e di riduzione degli sprechi".
Si può, quindi, concludere che l’attività prescrittiva di medicinali nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale – quantunque la legge non esiga sia sempre preceduta da una visita dell’assistito – non può prescindere da un effettivo contatto tra medico e paziente, onde consentire al medico, per un verso, di esprimere la valutazione del presidio terapeutico più utile alla cura, e per altro verso, di evitare prescrizioni inconferenti o sovrabbondanti.
Non merita invece accoglimento, ad avviso del Supremo collegio, la tesi prospettata dalle difese degli imputati, secondo cui non sarebbe ravvisabile la falsità ideologica nel caso di specie in quanto i pazienti, essendo affetti da patologie croniche, avrebbero comunque avuto diritto all’erogazione dei farmaci a carico del Servizio Sanitario Nazionale. La falsità contestata agli imputati risiede invero nella falsa attestazione del compimento, da parte del medico prescrittore, della ricognizione del diritto del paziente all’assistenza farmacologica; attività ricognitiva che, per le ragioni anzidette, si sarebbe dovuta comunque svolgere e che non risulta sia stata nel caso concreto effettivamente compiuta.
La Corte ha parimenti respinto la seconda doglianza formulata dalle difese, con la quale si sosteneva l’insussistenza del fatto tipico dell’esercizio abusivo della professione medica.
In primo luogo, perché la normativa di settore (D.M. 31 marzo 2008) invocata dagli imputati, che consente al farmacista di somministrare medicinali senza la pur necessaria prescrizione medica, lungi dal legittimare il farmacista a sostituirsi al medico nell’attività prescrittiva, semplicemente introduce un’eccezione alla regola generale (che resta quella del divieto di consegnare medicinali senza la presentazione di una ricetta medica) nei casi di estrema necessità ed urgenza e sempre che siano presenti specifici elementi volti a dimostrare che il paziente è attualmente in trattamento con il medesimo farmaco.
In secondo luogo perché, nel caso oggetto di scrutinio da parte della Collegio, i titolari delle farmacie non si sono limitati a consegnare ai clienti i medicinali in violazione dei divieti di legge, bensì, sostituendosi sistematicamente al medico di base che aveva loro affidato una delega in bianco per l’espletamento di tale attività con la consegna dei ricettari già firmati, hanno essi stessi prescritto ai pazienti la terapia farmacologica.