ISSN 2039-1676


14 luglio 2011 |

Corte cost., sent. 13 luglio 2011 n. 206, Pres. Maddalena, Rel. Lattanzi (una pronuncia di inammissibilità  in tema di nuova contestazione tardiva nel procedimento dinanzi al giudice di pace)

Nuova contestazione "tardiva" nel procedimento dinanzi al giudice di pace e successiva richiesta dell'imputato di provvedere alla riparazione del danno cagionato dal reato

La Corte costituzionale è stata chiamata ad affrontare, ancora una volta, il tema della nuova contestazione c.d. tardiva, perché effettuata solo nel corso della fase dibattimentale, pur «concerne[ndo] un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale» (sent. cost. n. 265 del 1994 e n. 333 del 2009).
 
La sentenza qui segnalata investe, tuttavia, un profilo inesplorato dai Giudici di Palazzo della Consulta: il rapporto fra la tardiva contestazione della diversità del fatto ex art. 516 c.p.p. nel procedimento dinanzi al giudice di pace e l’ammissibilità della successiva richiesta dell’imputato, in ordine all’accusa riformulata, di poter provvedere a riparare il danno in vista della declaratoria di estinzione del reato ex art. 35 commi 1 e 3 d.lgs. n. 274 del 2000.
 
Invero, il giudice a quo aveva sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli art. 3, 24 e 111 Cost., del«combinato disposto» degli art. 516 c.p.p. e 35 d. lgs. n. 274 del 2000, «nella parte in cui non prevedono che, in caso di modifica del capo di imputazione nel corso del dibattimento, anche quando la nuova contestazione concerna un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale ovvero quando l’imputato abbia tempestivamente e ritualmente proposto la definizione anticipata del procedimento in ordine alle originarie imputazioni, [egli] possa usufruire [del] vero e proprio rito alternativo» previsto dall’art. 35 d. lgs. n. 274 del 2000, dal momento che la previsione in parola «non [ne] consente l’ammissione … oltre l’udienza di comparizione».
 
La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione.
 
Secondo la Consulta - al di là della «carente descrizione» dello svolgimento della vicenda che connota l’ordinanza emessa dal giudice a quo -, risulta erroneo il presupposto interpretativo da cui muove quest’ultimo: l’istituto regolato dall’art. 35 d.lgs. n. 274 del 2000 non rientra nel novero di procedimenti speciali alternativi al dibattimento, integrando «una fattispecie estintiva complessa, basata su una condotta riparatoria, antecedente, di regola, all’udienza di comparizione (a meno che l’imputato dimostri di non averla potuta tenere in precedenza) e giudicata idonea a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione».
 
D’altra parte, sempre ad avviso della Consulta, «il perfezionamento delle condotte riparatorie non dipende normalmente dal contenuto dell’imputazione»: la condotta riparatoria può essere tenuta «anche prima dell’esercizio dell’azione penale», benché, talvolta, possa essere ravvisata una «dipendenza» fra la formulazione dell’imputazione e la condotta riparatoria, come avviene «nel caso in cui l’insufficiente determinazione del danno da risarcire sia stata determinata dalla descrizione del fatto contenuta nell’originaria imputazione, diversa da quella emergente in seguito alle nuove contestazioni».