13 luglio 2015 |
Contestazioni suppletive in dibattimento e richiesta di giudizio abbreviato: una nuova pronuncia di illegittimità parziale dell'art. 517 c.p.p.
Corte cost., 9 luglio 2015, n. 139, Pres. Cartabia, rel. Frigo
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1. Il muro della preclusione per le richieste dibattimentali di accesso ai riti speciali, del quale non sempre è apprezzata la funzione essenziale (quella cioè di incentivare domande più tempestive, così garantendo che gli sconti di pena compensino risparmi effettivi e significativi delle risorse processuali), ha subito una nuova parziale demolizione, per altro ormai inevitabile.
Con la sentenza n. 139 del 2015, infatti, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 517 c.p.p., nella parte in cui, nel caso di contestazione di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale, non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova contestazione. La stessa sentenza ha stabilito essere infondata, invece, una seconda questione, volta alla demolizione pressoché completa del muro citato in apertura. Il rimettente aveva chiesto in sostanza che, una volta intervenuta una contestazione suppletiva tardiva riguardo ad un reato concorrente o ad una circostanza aggravante, l'imputato fosse rimesso in termini per una domanda di giudizio abbreviato riguardo all'intera imputazione, cioè anche con riguardo ai reati contestati in precedenza, e liberamente valutati, in punto di convenienza del rito, quando ancora sarebbe stata possibile una richiesta tempestiva di definizione sullo stato degli atti.
2. La storia del problema esige anzitutto, per una sintesi, il richiamo alla differenza tra contestazioni suppletive fisiologiche e contestazioni cosiddette tardive o patologiche. Con la prima espressione si allude alle variazioni dell'addebito che la legge consente per conformare l'imputazione alle emergenze scaturite dall'istruttoria dibattimentale: a contestazioni, dunque, che non sarebbero state possibili nel momento in cui l'azione penale è stata promossa. Sono definite tardive o patologiche, invece, le variazioni effettuate dal pubblico ministero, avvalendosi delle norme concernenti le contestazioni suppletive, sulla base di cognizioni già disponibili nella fase predibattimentale, al solo scopo di migliorare il livello di corrispondenza tra i fatti accertati e l'addebito complessivamente mosso all'imputato.
Per lungo tempo si è discusso se gli artt. 516 e 517 c.p.p. davvero consentissero anche le contestazioni tardive. Ad un certo punto però, anche grazie ad un intervento delle Sezioni unite della Corte suprema[1], è prevalsa la pragmatica soluzione affermativa, e da quel momento in poi la soluzione ha trovato solo opposizioni molto sporadiche nella giurisprudenza[2].
Tra le opportunità disperse dalla contestazione suppletiva in dibattimento era compresa la possibilità per l'imputato di definire mediante riti speciali il procedimento per il reato di nuova contestazione. Se la preclusione appariva tollerabile a fronte di contestazioni fisiologiche, che del resto rappresentano un rischio valutabile dalla difesa nel momento in cui si approssimano le soglie preclusive, altrettanto non poteva dirsi quanto ai reati che avrebbero potuto essere contestati in tempo utile per la domanda difensiva (cioè nell'udienza preliminare o con la citazione a giudizio). Qui la perdita di opportunità per l'imputato non dipendeva e non dipende dall'inevitabile mutevolezza del quadro cognitivo e dalla necessaria flessibilità dell'imputazione, ma da una inerzia colpevole del pubblico ministero.
Con i suoi primi provvedimenti la Consulta aveva evitato manipolazioni del sistema[3]. L'argine, tuttavia, si era rotto ben presto, la prima volta con riguardo al procedimento di applicazione della pena su richiesta. Gli artt. 516 e 517 c.p.p. erano stati infatti dichiarati illegittimi nella parte in cui non consentivano la richiesta di patteggiamento ove la contestazione suppletiva intervenisse sulla base di elementi già acquisiti al momento di esercizio dell'azione penale, oppure se a suo tempo vi fosse stata richiesta dell'imputato rispetto alle contestazioni originarie (sentenza n. 265 del 1994, che aveva contestualmente ricusato un analogo intervento per il rito abbreviato[4]). Analogamente, e dopo breve tempo (sentenza n. 530 del 1995), le norme erano state dichiarate illegittime nella parte in cui non consentivano che l'imputato potesse sollecitare l'oblazione per reati oggetto della contestazione suppletiva, sempreché naturalmente ricorressero le condizioni delineate agli artt. 162 e 162-bis c.p.[5]
Alla base delle due decisioni il rilievo che le valutazioni dell'imputato circa la convenienza del rito speciale dipendono dalla impostazione che il pubblico ministero conferisce all'accusa, cosicché, quando l'imputazione deve essere modificata per un errore od una negligenza dello stesso pubblico ministero (e non per la sopravvenienza di nuovi elementi di prova), la preclusione dell'accesso al rito sarebbe ingiustificatamente lesiva del diritto di difesa.
Più resistenza la Consulta aveva opposto quanto al rito abbreviato, sebbene fosse già evidente che gli argomenti spesi per i riti ulteriori ben potevano valere anche per il giudizio sullo stato degli atti[6]. V'era disagio, come in seguito sarebbe stato spiegato, nell'innestare una procedura parallela di accertamento nel rito dibattimentale ordinario (la sentenza di oblazione o patteggiamento definisce "istantaneamente" l'addebito), e nell'indurre decisioni con plurime e differenziate basi cognitive. Una difficoltà considerata tanto grave che, da sempre, la giurisprudenza aveva escluso l'ammissibilità di richieste parziali di accesso al rito, cioè concernenti una parte soltanto dei capi di accusa, finanche quando non avessero comportato una decisione contestuale da parte dello stesso giudice. D'altra parte, sembrando irragionevole una rimessione in termini estesa ai reati contestati tempestivamente[7], il rimedio per i nuovi addebiti, pur tanto sollecitato dalla dottrina e da diversi giudici rimettenti, non poteva che attagliarsi ad una domanda parziale, con conseguente frazionamento della regiudicanda.
Alle fine, e comunque, l'intervento additivo era stato deliberato, mediante la sentenza n. 333 del 2009[8]. La Consulta aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 517 c.p.p., nella parte in cui non prevede(va), nel caso di contestazione tardiva, la facoltà dell'imputato di richiedere il giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente posto ad oggetto del nuovo addebito. Inoltre, aveva dichiarato illegittimo anche l'art. 516 c.p.p., nella parte in cui non prevede(va) - sempre e solo per le contestazioni tardive - la facoltà dell'imputato di richiedere il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento.
La Corte aveva preso le mosse (non senza una nota di perplessità) dal diritto vivente, secondo il quale, come si è visto, le contestazioni suppletive sono ammissibili anche se tardive. Una volta maturata la scelta di non contrapporsi agli orientamenti della giurisprudenza maggioritaria, i Giudici delle leggi avevano ritenuto che il bilanciamento tra l'esigenza di garantire la necessaria sensibilità dell'imputazione rispetto ai mutamenti del quadro cognitivo, ed il diritto dell'imputato di accedere ai riti speciali, non potesse trovare applicazione, attraverso la regola di inammissibilità della richiesta, nei casi in cui la contestazione tardiva dipenda dalla negligenza (o peggio) del pubblico ministero. D'altra parte, a giustificazione dell'overruling almeno parziale, la Corte aveva valorizzato i profondi cambiamenti indotti, oltreché dalla cosiddetta legge Carotti, dalla sua stessa sentenza n. 169 del 2003[9], con la quale, al fine precipuo di assicurare un sindacato giudiziale sulla decisione di rigetto della domanda di accesso al rito, si erano create la condizioni per la celebrazione del giudizio abbreviato direttamente ad opera del giudice dibattimentale.
3. Va ricordato - sebbene il rilievo spezzi la (o ponga in evidenza la frattura della) lineare evoluzione degli interventi della Corte, fondati fino a quel punto sulla funzione "riparatoria" necessaria a compensare un comportamento doloso o negligente della parte pubblica - che decisioni ancor più recenti hanno sfondato anche il muro eretto a separare le contestazioni tardive da quelle fisiologiche.
Anzitutto, con la sentenza n. 237 del 2012[10], la Consulta ha rilevato l'ennesimo profilo di illegittimità costituzionale dell'art. 517 c.p.p., nella parte in cui non prevede(va) la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione. Con argomenti volti ovviamente a valorizzare elementi aggiuntivi, cioè sganciati dal ritardo nella contestazione, era stata dunque ammessa la possibilità di chiedere il giudizio abbreviato anche per il reato concorrente emerso solo grazie all'istruttoria dibattimentale. In sostanza, era stata ritenuta prevalente la necessità di tutela dell'interesse ad una valutazione specifica, ad opera dell'accusato, circa l'opportunità di definire con rito speciale ogni singola contestazione.
Una volta rotto l'argine, è parso naturale che la Corte, con la sentenza n. 273 del 2014, dichiarasse anche la illegittimità dell'art. 516 c.p.p., nella parte in cui non prevede(va) la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale e posto ad oggetto di fisiologica contestazione suppletiva, ripristinando tra l'altro l'ormai tradizionale parallelismo della disciplina tra norma sul fatto concorrente e norma sul fatto diverso [11].
4. Con la sentenza odierna si torna al problema delle contestazioni tardive.
Il tenore della sentenza n. 163 del 2009 aveva indotto i commentatori ad escludere che fosse stata ammessa, con il corrispondente intervento manipolatorio, una domanda tardiva anche per il caso che la modifica dell'imputazione si risolva nella mera contestazione di una circostanza aggravante. Si trattava per altro di una anomalia, specie considerando che, mentre il pubblico ministero poteva scegliere di contestare in separato giudizio il reato concorrente trascurato con l'imputazione originaria, così consentendo in via fisiologica la domanda di accesso ai riti, una analoga possibilità non era e non è data per la circostanza aggravante, la cui contestazione è obbligatoria e può intervenire, appunto, solo nella sede in cui si giudica il reato cui accede l'ipotesi circostanziale.
L'anomalia si è fatta ancora più evidente allorquando la Corte, sul parallelo terreno della richiesta di patteggiamento, dopo la contestazione tardiva di una circostanza aggravante, ha compiuto l'ennesima incisione sull'art. 517 c.p.p., dichiarandone la illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevede(va) la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena, a norma dell'art. 444 c.p.p., in seguito appunto alla contestazione in dibattimento di una fattispecie circostanziale già risultante dagli atti al momento dell'esercizio dell'azione penale (sentenza n. 184 del 2014)[12].
La decisione odierna della Consulta ha dunque chiuso un cerchio, com'era ormai inevitabile una volta avviato il percorso, sebbene l'addizione riproponga ed accentui i rischi determinati dall'interazione tra disciplina delle contestazioni suppletive ed innesto del rito abbreviato nel dibattimento. Le variazioni di addebito possono intervenire anche ad istruttoria conclusa, ed oggi finanche la contestazione di un dato accessorio (ad esempio la recidiva) consente all'imputato di valutare secundum eventum (cioè in base all'andamento concreto del processo nelle sue forme ordinarie) la convenienza dell'accesso al rito. È il prezzo pagato dal sistema, non da oggi, al fine di non esporre l'accusato alle conseguenze di atteggiamenti antidoverosi della parte pubblica.
5. Il prezzo in questione sarebbe parso davvero alto se la Corte avesse accolto la seconda delle questioni sottoposte al suo giudizio, quella cioè che mirava ad una complessiva riapertura dei termini in ogni caso di modifica della contestazione (fatto nuovo, fatto diverso, circostanza aggravante), da estendersi anche ai reati non toccati dalla contestazione suppletiva. Reati dunque per i quali la celebrazione del giudizio nelle forme ordinarie rappresenta il frutto di una scelta libera e consapevole dell'interessato.
Per inciso, la questione era stata nella specie proposta con riferimento alle contestazioni tardive, ma risulta ormai perfettamente concepibile (e puntualmente concepita in dottrina) finanche per le contestazioni fisiologiche. E dovrà considerarsi sempre più seria se si rafforzerà l'idea che l'imputato esercita appieno il suo diritto di difesa, nella forma che attiene alla scelta del rito, solo di fronte ad una imputazione definitivamente stabilizzata (tesi che costituiva in parte il fondamento della questione di legittimità proposta dal rimettente).
Al momento, la Corte ha ribadito il giudizio, più volte anticipato, per il quale non vi sono ragioni costituzionali tali da imporre al legislatore una riapertura generalizzata dei termini, dato appunto che si discute ormai solo di reati volutamente sottoposti dall'imputato alle cure del giudice dibattimentale. Si potrebbe ricordare l'argomento molto citato nella prima fase di questa complessa vicenda, e cioè che l'imputato il quale omette di chiedere tempestivamente il giudizio abbreviato è ben consapevole, o dovrebbe esserlo, che lo stesso regime si imporrebbe per eventuali reati concorrenti od in caso di mutata ricostruzione del fatto. Qui la situazione è ancora diversa: l'imputato che omette la tempestiva richiesta di accesso al rito accetta non il rischio, ma la certezza, che quei reati saranno appunto giudicati con il rito ordinario, quand'anche sopravvenisse la contestazione, tardiva o non, di reati aggiuntivi o di circostanze aggravanti.
È interessante tra l'altro la notazione finale della sentenza, perché individua uno dei (diversi) profili di sperequazione al contrario che sarebbero indotti dall'invocata manipolazione del sistema. Non solo sarebbe «[...] "illogico - e, comunque, non costituzionalmente necessario - che, a fronte della contestazione suppletiva di un reato concorrente (magari di rilievo marginale rispetto al complesso dei temi d'accusa), l'imputato possa recuperare, a dibattimento inoltrato, gli effetti premiali del rito alternativo anche in rapporto all'intera platea delle imputazioni originarie", relativamente alle quali si è scientemente astenuto dal formulare la richiesta nel termine (sentenza n. 237 del 2012). Soluzione, questa, che rischia di privare di ogni razionale giustificazione lo sconto di pena connesso all'opzione per il rito speciale». Addirittura, l'imputato «verrebbe a trovarsi in posizione non già uguale, ma addirittura privilegiata rispetto a quella in cui si sarebbe trovato se la contestazione fosse avvenuta nei modi ordinari. Egli potrebbe, infatti, scegliere tra una richiesta di giudizio abbreviato "parziale" (limitata alla sola nuova imputazione) e una richiesta globale: facoltà di scelta della quale [...] non fruirebbe invece nei casi ordinari, essendogli consentita solo la seconda opzione».
[1] Cass., Sez. un., 28 ottobre 1998, n.4/99, Barbagallo, reperibile in: Dir. pen. e proc. 1999, 633, con nota di A. STEFANI, Ampliato dalle sezioni unite il potere di contestazione suppletiva del p.m.; Cass. pen. 1999, 3079, con nota di M. BAZZANI, Nuove contestazioni e istruzione dibattimentale; ivi 2000, 330, con nota di S. ALLEGREZZA, Precocità delle nuove contestazioni in dibattimento: mera irregolarità o causa di invalidità?; Giur. it. 1999, 2136, con nota di M. L. DI BITONTO, La modifica dell'imputazione nel dibattimento: problemi interpretativi e soluzioni possibili; ivi 2000, 589, con nota di B. NACAR, Limiti cronologici per la modifica dell'imputazione; Giust. pen. 1999, II, 700, con nota di G. L. VARRASO, Le nuove contestazioni « tardive » del dibattimento: le sezioni unite legittimano l'« arbitrio » del p.m.; Riv. it. dir. e proc. pen. 2000, 338, con nota di G. LOZZI, Modalità cronologiche della contestazione suppletiva e diritto di difesa.
[2] Tra le ultime espressioni dell'orientamento soccombente si veda, ad esempio, Cass., sez. VI, 22 febbraio 2005, n. 10125/05, in CED Cass., n. 231225.
[3] Provvedimenti del 28 dicembre 1990, n. 593; 4 maggio 1992, n. 213; 1 aprile 1993, n. 129.
[4] Corte cost., 22 giugno 1994, n. 265, in Giur. cost. 1994, 2153.
[5] Corte cost., 29 dicembre 1995, n. 530, in Cass. pen. 1996, 1084.
[6] Si vedano, a vario titolo, i provvedimenti del 16 aprile 2003, n. 129; 3 novembre 2005, n. 413; 16 giugno 2005, n. 236.
[7] In questo senso, specificamente, sentenza 10 marzo 2008, n. 67, in Cass. pen. 2008, 2410.
[8] Corte cost., 18 dicembre 2009, n. 333, reperibile: in Giur cost. 2009, 4944, con nota di M. CAIANIELLO, Giudizio abbreviato a seguito di nuove contestazioni. Il prevalere delle tutele difensive sulle logiche negoziali; in Cass. pen. 2010, 2527, con nota di G. TODARO, Nuove contestazioni dibattimentali e giudizio abbreviato: una incostituzionalità attesa tra spinte antitetiche e dubbi persistenti; in Giur. cost. 2010, 3597, con nota di V. MAFFEO, Le contestazioni tardive e il giudizio abbreviato; in Indice pen. 2011, 219, con nota di A. LIPRINO, Nuove contestazioni dibattimentali e giudizio abbreviato; in Guida dir. 2010, n. 5, 74, con nota di R. BRICCHETTI, Il divieto cade se la nuova contestazione riguarda un episodio inserito negli atti di indagine.
[9] Sentenza 19 maggio 2003 n. 169, reperibile tra l'altro in Dir. pen. e proc. 2003, 829, con nota di E. DI DEDDA, Sindacabile dal giudice del dibattimento il rigetto del giudizio abbreviato condizionato.
[10] Sentenza 26 ottobre 2012, n. 237, in questa Rivista, con nota di F. CASSIBBA, Vacilla il criterio della prevedibilità delle nuove contestazioni dibattimentali.
[11] Sentenza 5 dicembre 2014, n. 273, in questa Rivista, con nota di G. LEO, Ancora una sentenza additiva sull'art. 516 c.p.p.: per il fatto diverso oggetto di contestazione dibattimentale "fisiologica" l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato, nonché, sempre in questa Rivista, con nota di A. CABIALE, L'imputato può chiedere il giudizio abbreviato anche dopo la modifica 'fisiologica' dell'imputazione: la fine del 'binomio indissolubile' fra premialità e deflazione.
[12] Sentenza 25 giugno 20014, n. 184, in giurcost.org.