ISSN 2039-1676


09 settembre 2011 |

Progresso tecnologico e revisione: l'impiego di nuove tecniche quale novum

Nota a Cass. pen., Sez. I, 8.3.2011 (dep. 13.4.2011), n. 15139, Pres. Di Tomassi, Rel. Cassano, ric. Ghiro

In tema di revisione, la novità della prova scientifica ex art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p. può essere correlata all’oggetto stesso dell’accertamento oppure al metodo scoperto o sperimentato successivamente a quello applicato nel processo ormai definito, a condizione che risulti idoneo a produrre nuovi elementi fattuali.
SOMMARIO:
 
1. Il caso.
 
La questione nasce da una condanna all’ergastolo in relazione a una serie di reati, fra i quali i delitti di rapina e omicidio, risalenti al 1993. L’imputato, in sede di giudizio di merito davanti alla Corte d’assise d’appello, aveva chiesto la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale al fine di provvedere all’assunzione di una perizia antropometrica che utilizzava quale termine di raffronto il filmato della rapina. La Corte respinse l’istanza con la motivazione che le cattive condizioni del filmato non avrebbero consentito il raggiungimento di risultati certi.
Il condannato ha proposto richiesta di revisione, che è stata dichiarata inammissibile dalla Corte d’appello di Trento con ordinanza del 16 luglio 2010.
 
Il provvedimento è stato giustificato con il mancato riconoscimento della novità della prova, poiché si trattava di consulenza già considerata e valutata nel giudizio di merito, nel quale si era ritenuto di non poter ottenere risultati utili. Tuttavia, la prova “nuova”, proposta in sede di richiesta di revisione, non era la mera riproposizione della consulenza tecnica presentata a suo tempo alla Corte d’assise d’appello: si trattava, invece, di un’indagine antropometrica svolta, anziché sul filmato originario in VHS della rapina, le cui condizioni non permettevano di giungere a risultati apprezzabili, sulla sua trasposizione in forma digitale, la quale aveva consentito un deciso miglioramento delle immagini e, a parere della difesa, poteva in tal senso considerarsi “nuova”.
 
Sulla scorta di tali censure, il difensore del condannato ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Trento e il Supremo Collegio l’ha giudicato fondato.
 
 
2. La problematica riconducibilità della prova scientifica nel concetto di “novità” in tema di revisione. L’orientamento restrittivo.
 
Nella pronuncia in esame, la Corte affronta il tema della riconducibilità al concetto di novum di tecniche, rese possibili dal progresso tecnologico, utilizzate sugli stessi elementi disponibili, e già valutati, nel corso del giudizio di merito [1]. Nella specie, la digitalizzazione del filmato consentiva una qualità di immagine decisamente più elevata rispetto al documento disponibile durante il processo conclusosi con la condanna, così potendo consentire lo svolgimento di quell’indagine antropometrica che non era stata effettuata in precedenza, proprio a causa della scarsa qualità delle riprese.
 
Anzitutto, va chiarito un profilo preliminare: cosa si intenda per “nuova prova scientifica” [2]. La prova scientifica ha riguardo a tutto quell’apparato di conoscenze che non sono proprie dell’individuo comune e necessitano il ricorso a esperti, cioè a soggetti con specifiche competenze tecnico–scientifiche [3]. Diversamente, con l’espressione “nuova prova scientifica” si fa riferimento a «operazioni probatorie nelle quali si fa uso di strumenti scientifico–tecnici nuovi o controversi o di elevata specializzazione» [4].
 
L’ammissione di strumenti scientifici e tecnologici, individuati come prove rientranti nel concetto di “novità”, in relazione alla revisione ha vissuto una serie di problematiche, le quali sono sfociate in pronunce tutt’altro che univoche.
 
Nulla quaestio laddove si tratti di una consulenza tecnica fondata su elementi diversi da quelli che hanno formato oggetto del giudizio precedente: questa è pacificamente riconosciuta come prova “nuova” ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p., suscettibile di portare all’apertura del giudizio di revisione. Le aporie vengono in luce con riguardo a quella consulenza tecnica che, sulla base di elementi noti nel processo concluso e già valutati, utilizzi uno strumento tecnico–scientifico, nuovo in relazione al metodo impiegato o ai principi applicati, al fine di svolgere degli accertamenti che non erano possibili all’epoca del giudizio di merito [5].
 
In un primo momento, la Corte di cassazione era orientata ad escludere la diversa valutazione tecnico–scientifica dei medesimi elementi entrati a far parte del giudizio di merito dall’ambito del novum richiesto dall’art. 630 c.p.p. [6]: ha affermato che tali nuove valutazioni, in realtà, altro non sono che «apprezzamenti critici di elementi già conosciuti e valutati nel giudizio e (...) come tali inammissibili perché in contrasto con il principio della improponibilità per il giudizio di revisione di diverse e nuove valutazioni di dati acquisiti al processo, conosciuti e valutati» [7].
 
Questo tipo di impostazione rigida poggia le basi su due linee di pensiero, per certi versi opposte [8]: da un lato, c'è il timore di indebolire il del giudicato e aprire la strada a sempre più frequenti richieste di revisione sulla base della frenetica evoluzione scientifica; dall’altro, si fa affidamento sull’idea che la scienza è unica e certa, per cui risulta arduo comprendere come un metodo scientifico nuovo possa mettere in discussione gli approdi delle precedenti indagini scientifiche attuate nel processo.
 
La giurisprudenza che fa leva su questa posizione ermeneutica fatica a riconoscere la possibilità che un differente strumento tecnico–scientifico possa giungere a conclusioni diverse, ancorché muova dal medesimo punto di partenza, vale a dire i dati fattuali già esaminati nel giudizio di merito [9]. In questo senso, vengono rifiutate le idee di falsificabilità, relatività ed evoluzione che connotano il concetto stesso di scienza e si «rifugge la dimostrazione dell’applicabilità di scelte alternative che diano al fatto provato una spiegazione differente» [10].
 
 
3. (segue) L’interpretazione estensiva.
 
Successivamente, il Supremo Collegio ha rivisto la propria posizione sull’argomento: ha ritenuto che una diversa valutazione tecnico–scientifica degli elementi già oggetto di accertamento nel giudizio precedente possa rientrare nel concetto di novum richiesto dall’art. 630 lett. c) c.p.p., purché sia svolta con nuove metodologie e sulla scorta di nuovi principi, i quali possono «condurre anche alla conoscenza di fatti nuovi e non solo di valutazioni diverse» [11]. Tuttavia, con una precisazione: il metodo “nuovo” deve essere accreditato e reso pienamente attendibile dalla comunità scientifica [12], nonché idoneo a raggiungere risultati diversi rispetto a quelli acquisiti nel giudizio di merito, superando i criteri adottati in quella sede [13].
 
Infatti, non è sufficiente che emerga la possibilità di applicare una nuova metodologia scientifica per poter proporre la revisione del processo e rovesciare così il giudicato formatosi: occorre, invero, specificare il diverso risultato al quale, con tale nuovo accertamento, si potrebbe pervenire. Opinare diversamente significa attribuire al nuovo mezzo tecnico–scientifico la capacità di revocare in dubbio automaticamente ogni sentenza di condanna fondata su un accertamento peritale, a prescindere dalla concreta possibilità del metodo di giungere a risultati diversi [14]; in tal modo, però, si finisce per attribuire alla revisione un’errata funzione di quarto grado di giudizio.
 
La Suprema Corte, con la sentenza in esame, nel condividere l’orientamento appena citato, ha asserito che «la novità della prova scientifica può essere correlata all’oggetto stesso dell’accertamento oppure al metodo scientifico scoperto o sperimentato, successivamente a quello applicato nel processo ormai definito, di per sé idoneo a produrre nuovi elementi fattuali». E, in quest’ultimo caso, la Corte aggiunge che spetta al giudicante la valutazione in ordine alla possibilità, da un canto, che la nuova metodologia conduca a risultati diversi, dall’altro, che questi, soli o uniti con gli elementi già valutati, facciano sorgere il ragionevole dubbio della non colpevolezza.
 
Il sindacato sulla novità della prova scientifica deve passare attraverso una serie di valutazioni. Anzitutto, deve vagliarsi la novità del metodo proposto; in secondo luogo, è necessario provvedere ad accertare la scientificità dello stesso; in terzo luogo, deve applicarsi il nuovo metodo scientifico alle prove diversamente valutate nel giudizio di merito; inoltre, il giudice deve operare un giudizio di concreta novità delle risultanze [15]; infine, gli elementi così ottenuti devono essere valutati nel contesto delle prove raccolte in precedenza, così da decidere se sono idonei a mutare la res iudicata.
 
La sentenza in esame si pone, altresì, in linea con gli approdi europei in punto di riapertura del processo a fronte di una nuova prova scientifica. Infatti, la Corte europea dei diritti dell’uomo assegna una particolare importanza alle nuove prove scientifiche e ha chiaramente affermato che le Corti nazionali dovrebbero interpretare la loro legislazione alla luce del progresso scientifico e delle conseguenti ripercussioni sociali [16]. Questo indirizzo della Corte di Strasburgo è volto a mettere in luce il delicato equilibrio richiesto dall’interazione tra scienza e diritto: infatti, la dinamica processuale, caratterizzata da un’esigenza di certezza delle decisioni assunte, deve dare nondimeno rilievo all’evoluzione scientifica, che, per sua stessa natura, non può circoscriversi in un ambito temporale definito, ma, anzi, è costantemente in fieri [17].
 
 
4. Note conclusive.
 
Alla luce della breve disamina effettuata, si può arguire come la giurisprudenza di legittimità, anche con la sentenza in commento, tenda ad allinearsi alle posizioni espresse, in punto di nuova prova scientifica, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Tuttavia, quest’orientamento della Suprema Corte non trova riscontro unanime: infatti, anche in tempi non troppo remoti è stato sostenuto che la revisione non può fondarsi su ulteriori accertamenti tecnico–scientifici relativi a elementi già valutati nel precedente giudizio [18]. Va da sé che questo tipo di ragionamento risulta inconciliabile, tanto con gli indirizzi della Corte di Strasburgo, quanto con l’evoluzione del progresso scientifico, grazie al quale si possono ottenere mezzi più affidabili e idonei all’accertamento dei fatti.
 
Conforme alle due esigenze appena descritte è, invece, l’orientamento sulla base del quale può essere annoverata tra le “prove nuove” anche la perizia, qualora prenda a fondamento tecniche e metodi nuovi idonei a superare i criteri adottati nel precedente giudizio. Vale, peraltro, la pena ribadire che questa interpretazione non è da accogliersi tout court: non tutte le acquisizioni scientifiche, per il solo fatto di essere nuove, possono essere poste alla base di una richiesta di revisione; ma solo quelle che siano potenzialmente idonee all’ottenimento di risultati diversi e, pertanto, che possano condurre ad una decisione di proscioglimento, anche sotto il profilo dell’insufficienza o contraddittorietà della prova.
 
La problematica interazione tra scienza e diritto, soprattutto in funzione del giudizio di revisione, è presumibilmente destinata a fomentare continui dibattiti, in considerazione del continuo e incessante divenire dello sviluppo scientifico. Tanto più che la valutazione di idoneità della metodologia, prima eminentemente astratta e poi nel suo concreto atteggiarsi, si rivela assai delicata: il giudice, soprattutto nell’ambito della delibazione di ammissibilità, si trova a dover compiere un’indagine sulla potenzialità del mezzo scientifico, facendo però attenzione a non addentrarsi in approfondite disamine.
 
In questo quadro, la possibilità di confondere il giudizio sulla natura effettivamente nuova dello strumento proposto e sulla astratta idoneità a pervenire a risultati diversi con un giudizio sul merito, vale a dire un giudizio prognostico sulla concretezza dei risultati raggiungibili, è piuttosto alta [19].
 
 
 
[1]  Con riguardo al concetto di “novità”, sono noti gli ampi dibattiti che hanno diviso dottrina e giurisprudenza. Senza addentrarsi nel merito, basti qui rinviare a Callari, La firmitas del giudicato penale: essenza e limiti, Giuffrè, 2009, p. 291 ss.; D’Orazi, La revisione del giudicato penale: percorsi costituzionali e requisiti di ammissibilità, Cedam, 2003, p. 448 ss.; Dean, La revisione, Cedam, 1999, p. 61 ss.; Fiorio, La prova nuova nel processo penale, Cedam, 2008, p. 236 ss.; , Gialuz, sub art. 630 c.p.p., in Codice di procedura penale commentato, a cura di Giarda e Spangher, Ipsoa, 2010, p. 7608 ss.; Marchetti, La revisione, in AA. VV., Trattato di procedura penale, a cura di Spangher, vol. V, 2009, p. 952 ss.; Presutti, voce Revisione del processo penale, in Enc. giur., vol. XXXI, 1991, p. 4 ss.; Ead., sub art. 630 c.p.p., in Commentario breve al codice di procedura penale, a cura di Conso e Grevi, Cedam, 2007, p. 2132 ss.; Santalucia, sub art. 630 c.p.p., in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, a cura di Lattanzi e Lupo, vol. VII, Giuffrè, 2008, p. 603 ss.; Spangher, voce Revisione, in Dig. disc. pen., vol. XII, Utet, 1997, p. 135 ss.
[2]  In tema di prova scientifica la letteratura è assai ampia. A titolo meramente esemplificativo, vale la pena richiamare AA. VV., Decisione giudiziaria e verità scientifica, Giuffrè, 2005; AA. VV., La prova scientifica nel processo penale, a cura di De Cataldo Neuburger, Cedam, 2007; AA. VV., Prova penale e metodo scientifico, Utet, 2009; Caprioli, La scienza “cattiva maestra”: le insidie della prova scientifica nel processo penale, in Cass. pen., 2008, p. 3520 ss.; Centonze, Scienza “spazzatura” e scienza “corotta” nelle attestazioni e valutazioni dei consulenti tecnici nel processo penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, p. 1232 ss.; Di Salvo, Prova scientifica, indagini preliminari e garanzie difensive, in Giur. merito, 2010, p. 1177 ss.; Dominioni, voce Prova scientifica (diritto processuale penale), in Enc. dir., Annali, 2008, p. 976 ss.; Id., La prova penale scientifica, Giuffrè, 2005; Esposito, voce Prova scientifica, in Dig. disc. pen., Agg. III, Utet, 2005, p. 1230 ss.; Lorusso, La prova scientifica, in AA. VV., La prova penale, a cura di Gaito, Utet, 2008, p. 295 ss.; Tonini, Prova scientifica e contraddittorio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2003, p. 1459 ss.
[3]  Si veda Ubertis, La prova scientifica e la nottola di Minerva, in AA. VV., La prova scientifica nel processo penale, a cura di De Cataldo Neuburger, Cedam, 2007, p. 83 ss., il quale testualmente afferma che l’espressione “prova scientifica” identifica «l’impiego nel processo delle conoscenze scientifiche allo scopo di ottenere una più convincente ricostruzione del fatto fondativo della domanda giudiziale». Altresì, Dominioni, voce Prova scientifica (diritto processuale penale), cit., p. 978.
[4]  Così Dominioni, La prova penale scientifica, cit., p. 13. Si veda, altresì, Fiorio, La prova nuova nel processo penale, cit., p. 124.
[5]  Si vedano, per un’analisi esegetica e per una ragionata rassegna giurisprudenziale, Gialuz, sub art. 630 c.p.p., cit., p. 7611 ss.; Presutti, sub art. 630 c.p.p., cit., p. 2134. Si veda, altresì, l’attenta ricostruzione, anche in ottica europea, di Canzio, La revisione del processo: gli effetti del sopraggiungere di nuove prove rese possibili dal progresso scientifico, in AA. VV., Giurisprudenza europea e processo penale italiano. Nuovi scenari dopo il «caso Dorigo» e gli interventi della Corte costituzionale, a cura di Balsamo – Kostoris, Giappichelli, 2008, p. 479 ss. Sul punto, Conti, Il processo si apre alla scienza. Considerazioni sul procedimento probatorio e sul giudizio di revisione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, p. 1221 ss.; Fiorio, La prova nuova nel processo penale, cit., p. 129 ss.
[6]   In questo senso, Cass., Sez. I, 23 febbraio 1998, Nappi, in Cass. pen., 1999, p. 1216, ove la richiesta riguardava una «superperizia» sul DNA, che avrebbe escluso la compatibilità del sangue del condannato con quello rinvenuto sul luogo del delitto. Analogamente, Cass., Sez. I, 8 maggio 1996, Delli Paoli, in Arch. n. proc. pen., 1996, p. 933; Cass., Sez. II, 12 dicembre 1994, Muffari, in Giust. pen., 1996, III, c. 192; Cass., Sez. I, 18 febbraio 1994, Migliore, in Foro it., 1994, II, c. 684; Cass., Sez. III, 14 settembre 1993, Russo, in Cass. pen., 1995, p. 2644; Cass., Sez. I, 21 settembre 1992, Ciancabilla, in Cass. pen., 1994, p. 1314.
[7]   Testualmente, Cass., Sez., I, 21 settembre 1992, Ciancabilla, cit., p. 1314.
[8]   Sul punto, Conti, Il processo si apre alla scienza. Considerazioni sul procedimento probatorio e sul giudizio di revisione, cit., p. 1223.
[9]  In quest’ottica, sempre Conti, Il processo si apre alla scienza. Considerazioni sul procedimento probatorio e sul giudizio di revisione, cit., p. 1222 ss.
[10]  Così si legge proprio la sentenza in epigrafe.
[11]  Testualmente, Cass., Sez. I, 6 ottobre 1998, Bompressi e altri, in Giust. pen., 1999, III, c. 321 ss. (in particolare, c. 329). In quest’occasione, la Corte riprende quanto affermato in una pronuncia di poco precedente, Cass., Sez. V, 22 aprile 1997, Cavazza, in Cass. pen., 1998, p. 901, con nota di Bronzo, Il giudizio di ammissibilità nel nuovo procedimento di revisione: requisiti sostanziali della richiesta e non manifesta infondatezza, in materia di analisi del DNA su formazioni pilifere, ritenuto nuovo rispetto all’esame tricologico espletato nel giudizio di merito. Tale orientamento ha ricevuto l’avallo delle Sezioni Unite: Cass., Sez. Un., 26 settembre 2001, Pisano, in Cass. pen., 2002, p. 1952 ss., in particolare p. 1978. Più di recente, si veda Cass., Sez. I, 9 marzo 2005, Caruso, in Cass. pen., 2006, p. 3302.
[12]  Cass., Sez. I, 6 ottobre 1998, Bompressi e altri, cit., c. 329, ove si aggiunge che soltanto «tale condizione conferisce un tasso di ragionevole affidabilità ai risultati della nuova indagine».
[13]  Cass., Sez. I, 9 marzo 2005, Caruso, cit., p. 3302.
[14]  In questo senso, Cass., Sez. I, 7 maggio 2002, Gucci in proc. Reggiani, in C.E.D. Cass., n. 221589; in dottrina, si veda, Canzio, La revisione del processo: gli effetti del sopraggiungere di nuove prove rese possibili dal progresso scientifico, cit., p. 495 ss.
[15]  In giurisprudenza è stato escluso che potesse costituire “prova nuova”, seppure in astratto si configurasse come nuovo metodo scientifico, dapprima una tomoscintigrafia cerebrale (PET) rispetto alle risonanze magnetiche precedentemente eseguite (Cass., Sez. V, 18 maggio 2006, Reggiani e altri, inedita), poi un’indagine ematochimica con la tecnica del luminol (Cass., Sez. I, 28 maggio 2008, Sepe, in C.E.D. Cass., n. 240869). In entrambi i casi, il rigetto è avvenuto nella fase di merito. Ciò perché se, da un lato, il metodo era effettivamente nuovo ed astrattamente idoneo a condurre a risultanze più affidabili, dall’altro, non si era rivelato in concreto capace di mutare il quadro probatorio già valutato dai precedenti periti.
[16] Così, Corte EDU, 9 novembre 2006, Tavli c. Turchia, § 36; Corte EDU, 12 gennaio 2006, Mizzi c. Malta, § 114. Anche in Corte EDU, 13 ottobre 2005, Bracci c. Italia, §§ 62-65, la Corte di Strasburgo si occupa di una prova scientifica che era stata richiesta dall’imputato e, pur non pronunciandosi sullo specifico tema, disapprova il fatto che non sia stato eseguito il test del DNA richiesto dall’imputato: tale esame, infatti, avrebbe potuto essere risolutivo, o confermando la versione della vittima, ovvero minando la credibilità di questa.
[17]  In questo senso, Canzio, La revisione del processo: gli effetti del sopraggiungere di nuove prove rese possibili dal progresso scientifico, cit., p. 500 ss.
[18]  Ad esempio, Cass., Sez. VI, 10 marzo 2003, Cesarano, in C.E.D. Cass., n. 227242, che ha richiamato la formula relativa alla non proponibilità in sede di revisione di una «diversa valutazione del dedotto o una inedita disamina del deducibile».
[19]  Infatti, a riprova della difficoltà di operare una distinzione certa, le pronunce della Suprema Corte che criticano questo ragionamento delle Corti d’appello sono molteplici: da ultimo, la stessa sentenza che si annota, Cass., Sez. I, 8 marzo 2011, Ghiro, dove i giudici della Cassazione hanno censurato la decisione impugnata per non aver rispettato «i limiti del giudizio preliminare». Si vedano, altresì, Cass., Sez. I, 6 ottobre 1998, Bompressi e altri, cit., p. 330; Cass., Sez. V, 22 aprile 1997, Cavazza, cit., p. 901; Cass., Sez. IV, 12 gennaio 1996, Tufo, in C.E.D. Cass., n. 204169; Cass., Sez. III, 23 febbraio 1994, Valsecchi, in Cass. pen., 1995, p. 2236; Cass., Sez. I, 9 marzo 1993, Durante, in Giust. pen., 1993, III, c. 346.