ISSN 2039-1676


20 febbraio 2013 |

Alla ricerca di un rimedio risarcitorio per il danno da sovraffollamento carcerario: la Cassazione esclude la competenza del magistrato di sorveglianza

Cass. pen., sez. I, sent. 15 gennaio 2013 (dep. 30 gennaio 2013), n. 4772, Pres. Giordano, Est. Giampetti, Ric. Vizzari

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1. È stata depositata lo scorso 30 gennaio 2013 la sentenza della Cassazione cui si riferiva un'informazione provvisoria già pubblicata dalla nostra Rivista (clicca qui per accedere alla scheda relativa), relativa alla questione dell'individuazione di un rimedio risarcitorio contro il danno da sovraffollamento carcerario, nella misura in cui da tale situazione derivi una lesione del diritto fondamentale, riconosciuto dall'art. 3 CEDU (oltre che dall'art. 27 co. 3 Cost.), a non essere sottoposti a pene o trattamenti inumani o degradanti: questione divenuta, come è noto, di scottante attualità nel nostro ordinamento dopo che la Corte EDU, nella sentenza Torreggiani c. Italia dello scorso 3 gennaio 2013 (clicca qui per accedere alla scheda) ha ingiunto al nostro paese, nel termine di un anno dal momento in cui la sentenza diverrà definitiva, di introdurre rimedi idonei a garantire una tutela effettiva al diritto convenzionale in questione, e in particolare idonei a far cessare eventuali violazioni in essere e a risarcire il detenuto per quelle già avvenute.

Come rammentavamo nella scheda di accompagnamento all'informazione provvisoria, la stessa Corte europea aveva dato conto, in motivazione, della pronuncia del Magistrato di Sorveglianza di Lecce, il quale - pronunciando in seguito al reclamo di un detenuto ex art. 35 ord. pen. - aveva condannato l'amministrazione penitenziaria alla corresponsione di un equo indennizzo per il danno non patrimoniale subito dal detenuto in conseguenza delle condizioni di sovraffollamento del carcere in cui si trovava ristretto (clicca qui per scaricare la scheda di A. Ingrassia pubblicata dalla nostra Rivista su questa pronuncia). L'Avvocatura dello Stato aveva proposto tardivo ricorso per cassazione contro tale provvedimento, sicché l'impugnazione era stata ritenuta inammissibile dalla S.C.; ma, nel frattempo, altri magistrati di sorveglianza avevano negato la propria competenza a statuire sulle domande risarcitorie dei detenuti (cfr. ad es. Mag. sorv. Vercelli, 18 aprile 2012, in questa Rivista: clicca qui per accedervi).

La Cassazione conferma ora un'ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Catanzaro, che aveva dichiarato inammissibile il reclamo proposto da un detenuto ex art. 35 ord. pen. con il quale questi chiedeva, previo accertamento delle condizioni di sovraffollamento della cella in cui il detenuto era recluso, la condanna del Ministero della giustizia al risarcimento del danno patito. Il magistrato di sorveglianza – statuisce ora la S.C. – non ha competenza a conoscere della domanda risarcitoria relativa alla lesione di diritti soggettivi subiti dal detenuto.

La Cassazione osserva, in proposito, che "in materia risarcitoria ed indennitaria il sistema normativo prevede in via generale la sua attribuzione alla giurisdizione civile", salve le eccezioni poste da specifiche norme di legge, derogatorie rispetto a tale principio generale (e pertanto di stretta interpretazione), come ad es. le norme attributive della competenza del giudice penale a giudicare su specifiche istanze risarcitorie o indennitarie (art. 74 c.p.p. in materia di risarcimento dei danni alla parte civile; art. 314 c.p.p. in materia di danno da ingiusta detenzione; art. 643 c.p.p. in materia di danno da errore giudiziario).

Una tale competenza non è però prevista in capo al magistrato di sorveglianza, non potendo all'uopo essere invocato né l'art. 69 co. 5 ultima parte ord. pen., che gli attribuisce soltanto il potere di impartire "disposizioni dirette a eliminare" eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati, in funzione dunque preventiva di ulteriori violazioni e non già riparatoria per quelle già avvenute; né l'art. 35 ord. pen., che prevede soltanto che detenuti o internati possano "rivolgere istanze o reclami" al magistrato di sorveglianza: espressioni che non possono essere dilatate sino a comprendere una domanda di risarcimento dei danni contro un soggetto – l'amministrazione penitenziaria – che nemmeno è parte del procedimento. Con conseguente profilarsi, rispetto a una soluzione che volesse riconoscere in via ermeneutica al magistrato di sorveglianza la competenza a pronunciare una condanna dell'amministrazione al risarcimento dei danni, dei medesimi profili di illegittimità che hanno recentemente condotto la Corte costituzionale, con la sent. n. 341/2006, a dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 69 co. 6 lett. a) ord. pen., che attribuiva al magistrato di sorveglianza la competenza sui reclami dei detenuti in materia di controversie di lavoro svolto in carcere.

Sul piano sistematico, la Cassazione esclude d'altra parte che il magistrato di sorveglianza abbia una competenza esclusiva a conoscere di qualsiasi controversia avente ad oggetto i diritti soggettivi del detenuto. Il magistrato di sorveglianza è, nella sua essenza, un giudice che sovraintende all'esecuzione della pena, al quale è attribuito soltanto il potere di impartire disposizioni per far cessare eventuali violazioni in atto dei diritti soggettivi dei detenuti, in esito ad accertamenti orientati a questa esclusiva finalità preventiva.

 

2. Resta il problema, al quale la Corte dedica le proprie osservazioni finali, di come assicurare l'adeguamento dell'ordinamento italiano agli obblighi imposti dalla più volte evocata sentenza Torreggiani.

Al riguardo, la Cassazione osserva che dalla sentenza di Strasburgo derivano, a ben guardare, tre ordini di obblighi: a) quello di procedere a riforme strutturali, di evidente competenza legislativa, che si sostanzino da un lato nel potenziamento delle misure alternative al carcere e, dall'altro, nel rafforzamento delle strutture logistiche esistenti; b) quello di introdurre rimedi in grado di garantire maggiore effettività alla tutela preventiva del diritto dei detenuti a non subire pene o trattamenti inumani e degradanti; c) quello di assicurare un esito compensativo al detenuto che in concreto sia stato vittima di una lesione di tale diritto.

La S.C. è ben consapevole della responsabilità che incombe anche sugli organi della giurisdizione in relazione - quanto meno - agli obblighi sub b) e c), e della connessa esigenza di esplorare sino in fondo le possibilità di una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata del sistema, per adeguarlo agli standard di tutela dei diritti fondamentali fissati dalla Corte europea; ma osserva - quasi imbarazzata - come, per quanto riguarda gli obblighi "preventivi", il rimedio del reclamo ex art. 35 - pur astrattamente idoneo rispetto allo scopo - sconti fisiologicamente l'incapacità delle strutture di far fronte alla attuale di sovraffollamento delle carceri; mentre, per quanto riguarda la tutela risarcitoria, il sistema non consente - per le ragioni prima esplicitate - di riconoscere nella magistratura di sorveglianza l'istanza giurisdizionale competente.

 

3. Auspicabile sarebbe naturalmente - e la Cassazione non manca di rimarcarlo nelle battute conclusive di questa sentenza - un sollecito intervento legislativo che introducesse un rimedio ad hoc, assumendo come modello la discipina di cui all'art. 314 c.p.p. Ma quid iuris, nel frattempo?

La Cassazione evita, cautamente, di suggerire apertis verbis la soluzione, che tuttavia si evince chiaramente dalle premesse con cui si apre la parte motiva della sentenza: la tutela dei diritti soggettivi violati è, in difetto di disposizioni derogatorie ad hoc, compito della giurisdizione civile; e lo è vieppiù dopo la nota sentenza delle SS.UU. civili 11 novembre 2008, n. 26972, che ha riconosciuto la generale risarcibilità delle lesioni dei diritti inviolabili della persona costituzionalmente garantiti, tra i quali non può non essere ricompreso il diritto di cui agli artt. 27 co. 3 Cost. e 3 CEDU, nell'estensione riconosciutogli dalla pertinente giurisprudenza di Strasburgo.

Se un simile diritto esiste - e non vediamo come si possa sostenere il contrario -, non potrà non riconoscersi altresì la sua risarcibilità ad opera del giudice civile, che è -  in virtù di una regola ordinamentale di default -  il giudice generale dei diritti: il quale sarà così chiamato a dare attuazione, in questa delicata materia, all'imperativo discendente dall'art. 13 CEDU, che impone agli Stati parte di assicurare dotare tutti i diritti riconosciuti dalla Convenzione di un rimedio giurisdizionale effettivo.