ISSN 2039-1676


12 dicembre 2014 |

Improcedibilità per bis in idem a fronte di sanzioni formalmente 'disciplinari': l'art. 649 c.p.p. interpretato alla luce della sentenza Grande Stevens

Trib. Brindisi, Sez. pen., sent. 17 ottobre 2014, giudice dott. Giuseppe Biondi

 

1. Recentemente in questa Rivista[1] si era prospettato che la sentenza Grande Stevens della Corte EDU, una volta divenuta definitiva[2], avrebbe prodotto nel nostro ordinamento rilevanti effetti, anche trascendenti la materia degli abusi di mercato. La sentenza qui pubblicata ne è un esempio.

Il 17 ottobre il Tribunale di Brindisi ha pronunciato sentenza di non doversi procedere ex art. 529 c.p.p. per improcedibilità dell'azione penale per bis in idem ex art 649 c.p.p. nei confronti di un imputato che, per il medesimo fatto, aveva già subito una sanzione "etichettata" come disciplinare dall'ordinamento penitenziario italiano, ma da considerarsi penale ai sensi della CEDU.

A tale decisione il Tribunale è giunto mediante un'interpretazione dell'art. 649 c.p.p. in senso conforme all'art. 4 Protocollo n. 7 della CEDU nel contenuto attribuito a quest'ultimo dalla sentenza Grande Stevens.

 

2. Questi, in sintesi, i fatti come ricostruiti dal giudice del Tribunale di Brindisi.

Il 21 marzo 2009 l'imputato rompe uno sgabello e uno scrittoio in dotazione alla cella in cui era detenuto presso la Casa Circondariale di Brindisi. Questi, ammesso il fatto, viene sottoposto a procedimento disciplinare ai sensi della l. n. 354/75 e del D.P.R. n. 230/2000[3]. All'esito di tale procedimento - in cui è stato garantito un minimo contraddittorio e la possibilità di reclamo al magistrato di sorveglianza per (soli) vizi di legittimità - gli è irrogata una sanzione disciplinare di duplice contenuto: il risarcimento del danno (sotto forma di prelievo dal peculio disponibile) e l'esclusione dalle attività in comune con isolamento continuo. L'imputato sconta la sanzione nell'aprile del 2009. Il 25 settembre 2013, con decreto di citazione diretta a giudizio emesso dal P.M., viene rinviato a giudizio per rispondere del reato di danneggiamento aggravato, previsto e punito dagli artt. 635, 1° e 2° co., nr. 3 e 625, 1° co., nr. 7, c.p.

Il Tribunale di Brindisi, il 17 ottobre 2014, pronuncia sentenza di non doversi procedere ex art. 529 c.p.p. Il giudice fonda la propria decisione sul principio del ne bis in idem ex art. 649 c.p.p., ritenendo che l'imputato sia già stato giudicato e condannato per il medesimo fatto oggetto del procedimento nel momento in cui ha subito le suddette sanzioni.

 

3. Il Tribunale è giunto a tale pronuncia ritenendo possibile (e doverosa) un'interpretazione convenzionalmente conforme dell'art. 649 c.p.p. (Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007). Nel fare ciò, il giudice ha dovuto stabilire se le sanzioni irrogate - al di là del nomen iuris attribuito loro dalle norme in tema di ordinamento penitenziario - assumano o meno natura penale ai sensi dell'art. 6 CEDU e 4 del Protocollo n. 7, come interpretati dalla Corte di Strasburgo. In particolare, il giudice fa riferimento alla sentenza Grande Stevens, in cui la Corte ha affermato che - al fine di verificare se un soggetto sia stato sottoposto due volte a procedimento penale per lo stesso fatto - occorre applicare i criteri Engel. Trattasi, come è noto, dei parametri utilizzati dalla Corte di Strasburgo per individuare ciò che rientra nella matière pénale e, quindi, per stabilire quali sanzioni possano dirsi sostanzialmente "penali" anche se formalmente qualificate "amministrative" dall'ordinamento nazionale. Tali criteri sono, come è noto, qualificazione giuridica della sanzione nell'ordinamento nazionale, natura dell'illecito e natura e grado di severità della sanzione. Nel caso di specie, è stata ritenuta determinante la gravità della sanzione irrogata, consistente nella sanzione "patrimoniale" di € 341,00 e in quella "personale" dell'isolamento continuo e del divieto, per quindici giorni, di comunicare con i compagni, di accettare generi alimentari, di acquistare al servizio di sopravitto generi alimentari, di svolgere colloqui nei locali in comune.

Il giudice, pertanto, conclude che le sanzioni irrogate dalla Casa circondariale di Brindisi siano solo formalmente "disciplinari" e che, in sostanza, abbiano natura di "pena". Procedere nei confronti dell'imputato, dunque, comporterebbe un "bis".

Resta da vagliare la presenza o meno di un "idem factum". Il giudice offre risposta affermativa all'interrogativo, richiamando la sentenza Zolotoukhine c. Russia, in cui si è affermato che la nozione di idem contenuta nell'art. 4 Protocollo n. 7 della CEDU deve essere intesa come stessi fatti, cioè come identità dei fatti materiali. Da ciò l'applicabilità del principio del ne bis in idem e, quindi, l'illegittimità di procedere nuovamente contro l'imputato, in relazione al medesimo fatto.

 

4. Nel motivare la decisione, il giudice svolge alcune considerazioni così sintetizzabili:

a) la riserva apposta dall'Italia all'atto della ratifica del Protocollo n. 7 della CEDU è invalida ai sensi dell'art. 57 CEDU poiché, come correttamente rilevato nella sentenza Grande Stevens, ha carattere generale e non è sufficientemente chiara e precisa: l'art. 4 di tale Protocollo (che, come detto, riconosce il divieto di doppio processo) può quindi ritenersi applicabile;

b) la proposta interpretazione dell'art. 649 c.p.p. non può ritenersi in contrasto con il principio di legalità in senso formale di cui all'art. 25 Cost. poiché, altrimenti, si opererebbe un'applicazione in malam partem del principio in esame;

c) l'esegesi offerta non può ritenersi in contrasto con il principio di obbligatorietà dell'azione penale in capo al P.M. di cui all'art 112 Cost. poiché quest'ultimo, in quanto corollario del principio di legalità e di uguaglianza, è posto a garanzia dell'individuo affinché non possano operarsi distinzioni e discriminazioni nell'esercizio dell'azione penale.

 

5. Una brevissima considerazione conclusiva.

Da più parti, anche dalle pagine di questa Rivista, si è prospettata l'eventualità di ripercussioni della sentenza anche a materie diverse da quella - cui si riferiva Grande Stevens - del "doppio binario" amministrativo (ex art. 187-ter t.u.f.) e penale (ex art. 185 t.u.f.) che, dal 2005, caratterizza la nostra legislazione repressiva degli abusi di mercato.

Il modo in cui tali effetti debbano prodursi non è però scontato.

Il Tribunale ha qui ritenuto possibile riconoscere e garantire il diritto fondamentale al ne bis in idem in via "immediata"[4] - senza necessità, cioè, di un intervento della Corte costituzionale - attraverso un'interpretazione conforme dell'art. 649 c.p.

Ma il Tribunale avrebbe anche potuto ritenere impraticabile questa strada, di fronte all'ostacolo testuale rappresentato dall'esplicito riferimento, nell'art. 649 c.p., a una sentenza o decreto penali divenuti irrevocabili. In tal caso, avrebbe però potuto sollevare questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 649 c.p.p. per contrasto con l'art. 117 c. 1 Cost.: strada, quest'ultima, seguita recentemente dalla Corte di cassazione in materia di abuso di informazioni privilegiate (cfr. M. Scoletta, Il doppio binario sanzionatorio del market abuse al cospetto della Corte costituzionale per violazione del diritto fondamentale al ne bis in idem, in questa Rivista, 17 novembre 2014).

 


[1] Viganò F., Doppio binario sanzionatorio e ne bis idem: verso una diretta applicazione dell'art. 50 della Carta? (a margine della sentenza Grande Stevens della Corte EDU) pubblicato in data 30 giugno 2014.

[2] La pronuncia è divenuta definitiva a partire dallo scorso luglio, cioè da quando è stata rigettata la richiesta governativa di rinvio alla Grande Camera; al riguardo, si veda: Corte EDU, comunicato stampa n. 203 (2014) dell'8 luglio 2014, commentato in questa rivista da Viganò F., Ne bis in idem: la sentenza Grande Stevens è ora definitiva, in data 8 luglio 2014.

[3] Artt. 77 n. 13, 81 del D.P.R. 230/2000 e art. 33 n. 2, 39 n. 5, 40 c. 2 della l. n. 354/75.

[4] Ulteriore modalità per assicurare al diritto al ne bis in idem una tutela "immediata" è quella, prospettata da Viganò, op. cit., della diretta applicazione dell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE): possibilità però che è circoscritta, in base all'art. 51 CDFUE, al solo ambito di applicazione del diritto dell'Unione europea, e che per tale assorbente ragione non poteva essere esperita nel caso qui all'esame (cfr. anche, sul punto, le considerazioni di M. Scoletta, Ne bis in idem e illeciti tributari per omesso versamento delle ritenute: un problematico rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, in questa Rivista, 17 novembre 2014, a commento di una recente ordinanza in materia di ne bis in idem del Tribunale di Torino).