ISSN 2039-1676


23 gennaio 2017 |

La tutela del diritto alla salute in carcere nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

Il presente contributo è destinato al volume A. Massaro (a cura di), La tutela della salute nei “luoghi di detenzione”. Un’indagine di diritto penale intorno a carcere, REMS e CIE, Roma TrE-Press, Roma, 2017. Si ringraziano la Curatrice e l’editore per avere consentito ad anticiparne la pubblicazione in questa Rivista.

 

Abstract. Il diritto alla salute, al pari degli altri “diritti sociali”, non trova espresso riconoscimento nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La Corte di Strasburgo ha però progressivamente esteso la tutela convenzionale anche a questo diritto, tramite una interpretazione evolutiva ed estensiva di altre disposizioni della Convenzione, soprattutto l’art. 3. Si tratta, tuttavia, di una forma di tutela indiretta, di riflesso, che sconta la mancata individuazione di un «nucleo irriducibile del diritto»: il diritto alla salute, in altri termini, non viene tutelato in sé e per sé, ma solo se, ed in quanto, la sua lesione si traduca nella violazione di diritti espressamente riconosciuti dalla Convenzione.

Il presente contributo analizza, in particolare, l’evoluzione giurisprudenziale relativa alla tutela del diritto alla salute dei soggetti detenuti in carcere. Nel tentativo di ricostruire un “dover essere normativo” convenzionale, si ripercorrono i principali arresti con cui la Corte EDU ha ricavato, dal divieto di tortura e pene o trattamenti inumani o degradanti, una serie di obblighi a carico degli Stati sul punto. Al tempo stesso, si evidenziano i profili critici che connotano la tutela del diritto in parola, dovuti appunto a quella tecnica di protezione par ricochet. Dovuti, cioè, alla circostanza per cui la salvaguardia della salute dei soggetti in vinculis sia assicurata per il tramite di uno strumento – l’art. 3 CEDU – originariamente pensato per altri fini: con conseguente necessità di adattare la tutela ai caratteri propri di quella disposizione, soprattutto quanto a superamento della “soglia minima di gravità” e riparto dell’onere probatorio.

 

SOMMARIO: 1. L’assenza del diritto alla salute nella CEDU e la sua tutela “indiretta” tramite l’interpretazione evolutiva della Corte: mancanza di un «nucleo irriducibile del diritto». – 2. Il divieto di tortura e pene o trattamenti inumani o degradanti (art. 3 CEDU) tra assolutezza, soglia minima di gravità e onus probandi. – 3. L’inversione del rapporto tra “dover essere normativo” ed “essere applicativo”. – 4. Obblighi degli Stati di assicurare health and well-being dei detenuti. – 4.1. L’apprestamento di cure mediche adeguate e tempestive. – 4.2. Compatibilità dello stato di salute con le condizioni “normali” di detenzione. – 4.3. Condizioni igienico-sanitarie in carcere. – 4.4. Detenzione e mental health. – 4.5. Trattamenti medici arbitrari e “sciopero della fame”. – 5. I rimedi alla violazione dell’art. 3 CEDU nell’Italia post-Torreggiani (cenni): una (ennesima) rinuncia ai tradizionali principi del nostro sistema? – 6. (Tentativo di) Conclusioni: la ricostruzione del “dover essere normativo” convenzionale.