15 gennaio 2012 |
Accesso difensivo alle registrazioni delle intercettazioni, tra limiti normativi ed evoluzione tecnologica
Nota a 1) Cass. pen., sez. VI, 9 novembre 2011 (dep. 24 novembre 2011), n. 43654, Pres. De Roberto, Rel. Petruzzellis, ric. Aga e a 2) Tribunale di Trani, ord. 16 giugno 2011, Pres. Carone, Est. Gadaleta
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1. Come ampiamente prevedibile il mancato adeguamento della normativa sulle intercettazioni alla "rivoluzione" digitale e gli echi della sentenza n. 336/2008 della Corte Costituzionale continuano a porre rilevanti problemi all'interprete.
La menzionata pronunzia della Consulta è, come noto, quella con cui il giudice delle leggi ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 268 c.p.p., nella parte in cui non consentiva alla difesa il diritto di estrarre copia delle registrazioni delle intercettazioni utilizzate per l'adozione di una misura cautelare, ma non ancora depositate, riconoscendo così un diritto di accesso alle registrazioni delle conversazioni specificamente preordinato al soddisfacimento dell'esigenza di esperire efficacemente i rimedi processuali avverso l'ordinanza cautelare.
Nell'occasione la Corte ha lasciata impregiudicata la questione relativa all'individuazione delle modalità di esercizio del diritto di accesso alle registrazioni, rimettendo alla giurisprudenza il delicato compito di ricostruire (rectius: di "inventare") le regole procedurali applicabili. Compito che, come altrettanto noto, si sono tempestivamente assunte le Sezioni Unite, le quali, con la sentenza n. 20300 del 22 aprile 2010, Lasala, hanno provveduto a redigere una sorta di regolamento volto a disciplinare il diritto di accesso nel subprocedimento cautelare. In tal senso la sentenza Lasala ha così stabilito che:
1) il diritto di accesso è riservato solo al difensore;
2) l'autorità deputata al rilascio delle copie può essere solo il pubblico ministero, e il diritto di accesso riguarda solo le registrazioni delle intercettazioni effettivamente utilizzate ai fini cautelari;
3) il diritto di accesso è esercitabile solo dopo l'esecuzione o la notifica della misura cautelare;
4) non esiste un termine finale per esercitare il diritto;
5) il diritto del difensore implica l'obbligo per il pubblico ministero di assicurare l'accesso;
6) il termine in cui deve essere esaudita la richiesta non può essere quello di cinque giorni fissato dall'art. 268 c.p.p.;
7) la copia deve comunque essere rilasciata in tempo utile per esercitare il diritto di difesa nel procedimento di riesame o in vista dell'interrogatorio di garanzia;
8) i relativi termini sono fissati dal codice e sono dunque noti al pubblico ministero, il quale è pertanto tenuto ad attrezzarsi preventivamente in modo da poter far fronte tempestivamente ad eventuali richieste di rilascio di copie delle registrazioni;
9) la richiesta deve essere a sua volta tempestiva e compatibile con le cadenze temporali indicate, e tale aspetto deve essere valutato con riguardo alla complessità delle operazioni di duplicazione (numero delle conversazioni, difficoltà di estrazione ecc.);
10) il pubblico ministero ha l'onere di motivare in un provvedimento il diniego della consegna tempestiva delle copie, risolvendosi pertanto il controllo del giudice nella verifica della logicità e completezza di tale motivazione;
11) per dedurre dinanzi al giudice del riesame l'illegittimità del diniego o dell'inerzia del pubblico ministero grava sulla parte un onere di allegazione e documentazione, la cui mancata soddisfazione comporta la rinuncia al diritto di contestare la presunzione di esistenza e conformità dei brogliacci alle conversazioni registrate;
12) l'ingiustificato diniego o l'inerzia del pubblico ministero non comportano la nullità della misura (adottata legittimamente sulla base degli atti trasmessi al gip), non determinano nemmeno l'inutilizzabilità delle intercettazioni (perchè nulla prevede in tal senso l'art. 271 c.p.p.), non provocano infine la perdita di efficacia della misura (giacché ciò avviene solo nei casi tassativamente previsti), ma integrano un vizio nel procedimento di acquisizione della prova per la illegittima compressione del diritto di difesa, senza intaccare l'attività di ricerca ed il risultato probatorio, configurandosi in tal senso una nullità generale a regime intermedio ex art. 178 lett. c) c.p.p.
2. Nonostante l'intervento del Supremo Collegio si è negli ultimi tempi comunque registrato un contenzioso sull'effettiva estensione del "nuovo" diritto.
In particolare si è prospettato che il diritto di accesso riconosciuto alla difesa ricomprenderebbe altresì di quello di ottenere la verifica della conformità delle copie delle conversazioni intercettate alle originali registrazioni realizzate mediante gli impianti presenti nei locali della Procura della Repubblica. Diritto il cui esercizio è ovviamente finalizzato ad accertare se effettivamente le registrazioni siano state ottenute ricorrendo ai suddetti impianti, come imposto a pena di inutilizzabilità degli esiti dell'indagine tecnica dal terzo comma dell'art. 268 c.p.p., piuttosto che attraverso impianti esterni governati dalla polizia giudiziaria al di fuori dei casi in cui tale opzione è praticabile ai sensi della medesima disposizione.
Come si ricorderà, infatti, le Sezioni Unite n. 36359 del 26 giugno 2008, Carli, nel riconoscere la legittimità delle prassi di remotizzazione o instradamento dell'ascolto delle conversazioni intercettate presso gli uffici di polizia, hanno al contempo precisato come la condizione necessaria per l'utilizzabilità delle intercettazioni è che l'attività di registrazione - la quale, sulla base delle tecnologie attualmente in uso, consiste nella immissione dei dati captati in una memoria informatica centralizzata - avvenga nei locali della Procura della Repubblica mediante l'utilizzo di impianti ivi esistenti.
Nella prassi, in realtà, i supporti contenenti le tracce audio delle intercettazioni allegati al fascicolo processuale o rilasciati alla difesa vengono spesso realizzati "in remoto" dalla polizia giudiziaria. Ma i giudici di legittimità, nella medesima occasione, hanno altresì chiarito come possa essere legittimamente eseguita in remoto dalla polizia giudiziaria anche l'attività di riproduzione - e cioè l'attività di trasferimento su supporti informatici di quanto registrato mediante gli impianti presenti nell'ufficio giudiziario - trattandosi di operazione estranea alla nozione di "registrazione" e la cui remotizzazione non pregiudica le garanzie della difesa, alla quale è sempre consentito l'accesso alle registrazioni originali una volta eseguito il deposito degli atti e instauratasi la procedura disciplinata dai commi quarto e sesto dell'art. 268 c.p.p.
Conseguentemente sorge il quesito se l'accesso finalizzato alla verifica di conformità sia ricompreso in quello configurato dalla Corte Costituzionale allo scopo di garantire l'effettività del diritto di difesa nella fase cautelare.
3. Al quesito ha recentemente risposto, in senso negativo, il primo dei provvedimenti qui in commento e cioè Cass. sez. VI n. 43654 del 9 novembre 2011, Aga. La pronunzia in oggetto afferma che il diritto del difensore di accedere alle registrazioni delle intercettazioni utilizzate per l'adozione di una misura cautelare non comporta altresì il diritto dello stesso a conseguire l'attestazione di conformità delle copie delle medesime alle tracce audio originali conservate nel server della Procura della Repubblica, né tantomeno quello di ottenere l'autorizzazione all'accesso diretto di un proprio consulente al medesimo server per verificare tale conformità, non essendo consentito anticipare nel giudizio di riesame la verifica sull'utilizzabilità delle intercettazioni in relazione al presupposto dell'effettiva registrazione delle conversazioni nei locali della Procura, essendo tale verifica demandata al procedimento che si instaura successivamente al deposito degli atti dell'intercettazione.
Nell'occasione la difesa aveva per l'appunto richiesto al pubblico ministero di consentire l'accesso di un proprio consulente all'impianto informatico dell'ufficio giudiziario, per constatare che effettivamente contenesse le registrazioni originali delle conversazioni intercettate, o in alternativa di rilasciare una sorta di certificazione di conformità delle copie delle stesse, delle quali pure aveva rivendicato il rilascio avvalendosi dell'illustrata pronunzia del giudice delle leggi.
La Corte, nel ritenere giustificato il diniego opposto nell'occasione dal pubblico ministero alle richieste difensive, ha sostanzialmente affermato come le finalità del diritto configurato dall'intervento della Corte Costituzionale attengono esclusivamente alla necessaria garanzia di una piena discovery sul mezzo di prova utilizzato in sede cautelare e presuppone logicamente che il provvedimento restrittivo sia stato adottato sulla base dei soli brogliacci o delle trascrizioni di polizia. In altre parole, secondo la pronunzia in commento, il suddetto diritto è stato riconosciuto esclusivamente al fine di consentire alla difesa l'eventuale contestazione della presunzione di conformità del contenuto di tali documenti all'effettivo tenore delle conversazioni intercettate.
In tal senso perimetrato, sempre secondo i giudici di legittimità, l'accesso alle registrazioni nella fase cautelare non può quindi essere strumentalizzato per procedere alla verifica della regolarità delle operazioni di captazione, verifica immanente al procedimento che si instaura successivamente al deposito degli atti relativi alle intercettazioni, così come era stato sottolineato dalle Sezioni Unite Carli.
In conclusione, nella fase cautelare instauratasi precedentemente al deposito degli atti dell'intercettazione, non è configurabile un diritto della difesa di procedere al controllo sulla regolarità delle operazioni di captazione sotto il profilo dell'effettiva registrazione delle conversazioni mediante gli impianti normativamente dedicati all'uopo e conseguentemente non può a tal fine essere utilizzato il "grimaldello" del diritto di accesso alle originali tracce audio, concesso dall'ordinamento per i diversi scopi precedentemente illustrati.
La sentenza precisa infine - ma a questo punto ad abundantiam - che l'accesso di un consulente della difesa alla memoria informatica della Procura non sarebbe in ogni caso ammissibile e ciò in quanto determinerebbe un inaccettabile vulnus alla segretezza delle intercettazioni, consentendo una "esplorazione" anche di quelle non effettivamente utilizzate ai fini cautelari o comunque la potenziale acquisizione abusiva di informazioni sulla complessiva attività di captazione svolta dall'autorità giudiziaria anche in altri procedimenti. Ciò a tacere del fatto che, come precisato da Sezioni Unite Lasala, il diritto di accesso configurato dalla Corte Costituzionale deve ritenersi riservato al solo difensore.
4. Sebbene la fattispecie non sia sovrapponibile, del tema in qualche modo si occupa anche il secondo provvedimento qui in commento. Il Tribunale di Trani (ord. 16 giugno 2011) ha deliberato, in sede dibattimentale, sulle preliminari eccezioni di inutilizzabilità e di nullità delle intercettazioni avanzate dalla difesa e motivate in relazione alla sopravvenuta inesistenza delle registrazioni originali e alla conseguente violazione dei diritti difensivi che ne consegue.
Nel caso di specie l'indagine tecnica era stata sì effettuata mediante gli impianti fisicamente localizzati presso la Procura della Repubblica, ma gli stessi erano stati noleggiati presso una ditta privata ed al termine delle operazioni restituiti a questa ultima, previo riversamento su supporti informatici delle tracce audio contenute nella memoria dei medesimi, doverosamente cancellata prima della restituzione. La difesa ha pertanto sostenuto che tali tracce non costituivano le registrazioni originali, ma solo una copia, mentre per l'appunto le prime erano state irritualmente distrutte (violando tra l'altro l'obbligo di conservazione previsto dall'art. 269 c.p.p.), privando in tal modo la stessa difesa della possibilità di esercitare il controllo di conformità anche attraverso l'accesso all'impianto di registrazione per verificare l'effettiva sussistenza nella sua memoria delle suindicate registrazioni originali oramai non più fisicamente esistenti.
Il Tribunale ha sostanzialmente respinto le eccezioni illustrate, per un verso rifacendosi ad un passaggio della motivazione delle Sezioni Unite Carli citate in precedenza, per cui i supporti informatici su cui vengono riversate le registrazioni digitali delle conversazioni telefoniche costituiscono il corredo documentale «in precedenza rappresentato dai nastri magnetici» (gli unici, come noto, che continuano ad essere menzionati dalla normativa processuale vigente), per l'altro rilevando che l'accesso alle registrazioni è facoltà riconosciuta alla difesa entro i rigorosi termini previsti dall'art. 268 comma sesto c.p.p., potendo in seguito la stessa difesa solo pretendere una copia delle tracce audio selezionate all'esito della procedura di stralcio, ma non più l'accesso "diretto" alle registrazioni originali.
In sostanza, secondo i giudici pugliesi, la cancellazione della memoria informatica dell'impianto digitale utilizzato per la captazione e registrazione delle conversazioni intercettate sarebbe accidente del tutto irrilevante una volta che del suo contenuto sia stato effettuato il riversamento, nel mentre la verifica sull'effettività della captazione mediante il medesimo impianto sarebbe facoltà esercitabile esclusivamente entro i ristretti termini descritti nell'art. 268 c.p.p. e comunque, come pure precisa l'ordinanza in commento, non certo attraverso l'esecuzione da parte del difensore di un controllo "personale" sulla memoria dell'impianto residente nell'ufficio giudiziario.
5. Come si vede, da opposte prospettive, entrambe le pronunzie illustrate concludono che, qualora la difesa, per verificare il rispetto del disposto di cui al terzo comma dell'art. 268 c.p.p., voglia esercitare il diritto di accesso agli originali delle registrazioni, deve necessariamente muoversi all'interno del subprocedimento innescato dal deposito degli atti relativi all'indagine tecnica (che, è bene ricordarlo, nella prassi è assai di frequente differito fino alla conclusione delle indagini preliminari).
Se per la Cassazione la verifica mediante accesso non può essere anticipata alla fase cautelare, per il Tribunale di Trani la stessa non può addirittura essere più svolta una volta che la procedura di stralcio si sia conclusa.
Conclusioni apparentemente ineccepibili, alla luce della sequenza procedurale descritta nello statuto codicistico delle intercettazioni, ma che inevitabilmente possono suscitare qualche perplessità.
Il problema di fondo, com'è intuibile, riguarda l'interferenza tra l'irregolarità delle operazioni di captazione e registrazione con la disciplina speciale sull'utilizzabilità delle intercettazioni dettata nell'art. 271 c.p.p., che, per l'appunto, espressamente annovera il mancato rispetto del menzionato terzo comma dell'art. 268 tra le patologie cui consegue la sanzione processuale dell'inutilizzabilità.
In tale ottica potrebbe dunque non sembrare del tutto comprensibile perché, ad esempio, in sede cautelare la difesa sia ammessa a contestare senza limiti la legalità della procedura di autorizzazione delle intercettazioni, ma non quella di "esternalizzazione" dell'esecuzione delle operazioni, venendo in proposito limitata nell'acquisizione della prova dell'assenza delle registrazioni originali nella memoria dell'impianto deputato per legge a contenerle. Ed analoghe perplessità potrebbero sorgere circa i vincoli temporali ipotizzati dal Tribunale di Trani per l'esercizio del diritto di accesso funzionale a far valere l'inutilizzabilità delle intercettazioni nel dibattimento.
In realtà proprio quanto stabilito dai giudici pugliesi trova un autorevole precedente nella giurisprudenza del Supremo Collegio. Infatti già Sezioni Unite n. 17 del 21 giugno 2000, Primavera, avevano avuto modo di negare la sussistenza di un diritto della difesa all'accesso indiscriminato e continuo alle registrazioni delle intercettazioni, precisando come la disciplina codicistica abbia per l'appunto configurato nel sesto comma dell'art. 268 c.p.p. una specifica finestra temporale in cui tale accesso debba avere luogo.
Val peraltro la pena di ricordare che, secondo la pronunzia citata, la ragionevolezza dei limiti frapposti all'esercizio del diritto di difesa risiederebbe nel fatto che il materiale prodotto attraverso l'attività di intercettazione è particolarmente sensibile e suscettibile di danneggiamento, anche «per effetto di errori nell'ascolto e nella manipolazione». La Corte si è indistintamente riferita alle intercettazioni di conversazioni e a quelle di flussi informatici, ma non sembra azzardato ritenere che la sua ricostruzione sia stata ispirata soprattutto dalla "deperibilità" dei nastri magnetici utilizzati per la registrazione delle comunicazioni telefoniche ed ambientali prima dell'avvento dell'era digitale. Non è peraltro dubitabile che proprio i limiti tecnologici dell'epoca abbiano ispirato i codificatori nella configurazione della disciplina di cui si tratta. Venuti meno tali limiti potrebbe forse allora chiedersi se la stessa disciplina mantenga quei caratteri di ragionevolezza che le Sezioni Unite le hanno riconosciuto, ovvero se abbia invece contratto i germi di un potenziale conflitto con il diritto di difesa. Peraltro è doveroso evidenziare in proposito che nemmeno gli apparati informatici sono assolutamente affidabili nel tempo e che i ripetuti accessi ad un file possono - in teoria - aumentare i rischi di un suo deterioramento, ragion per cui le argomentazioni della sentenza Primavera potrebbero risultare ancora attuali.
Non può peraltro esimersi dall'osservare che il vizio di captazione e di registrazione invocabile vanta un rischio assai remoto. Infatti, laddove la documentazione relativa all'esecuzione delle operazioni di intercettazione sia fedele, l'avvenuta esternalizzazione fuori dai casi consentiti o in assenza del provvedimento autorizzativo richiesto dal terzo comma dell'art. 268 c.p.p. risulterà per tabulas e non necessiterà, per essere provata, di alcun accesso agli impianti di registrazione. L'accesso diviene strumento imprescindibile solo laddove si voglia dimostrare la falsità della suddetta documentazione, ipotesi che ovviamente presuppone la contestazione all'inquirente di gravissimi comportamenti criminosi. Insomma ciò che la normativa sembra non consentire alla difesa è di raggiungere la prova di una frode processuale il cui rischio è tutto sommato remoto.
Per contro va invece osservato che le due pronunzie in commento concordano nell'escludere che l'eventuale configurazione del diritto di cui si tratta al di fuori dei limiti in precedenza descritti possa risolversi nel riconoscimento al difensore - o addirittura ad un suo consulente - della facoltà di accedere direttamente agli impianti della Procura della Repubblica.
In tal senso, al di là delle condivisibili argomentazioni esposte nei due provvedimenti, è appena il caso di ricordare che il sesto comma dell'art. 268 c.p.p. non prevede nulla del genere, consentendo invece che l'accesso si sostanzi nel diritto del difensore di essere messo nelle condizioni di procedere all'ascolto degli originali delle registrazioni. In definitiva, nemmeno quando tali registrazioni erano contenute nei nastri magnetici, il legislatore ha mai pensato di attribuire alla difesa poteri di verifica diretta - e non mediata dall'ufficio istituzionalmente deputato alla conservazione delle stesse - della loro genuinità.
Conclusivamente va invece avanzato qualche dubbio su un passaggio della motivazione dell'ordinanza del Tribunale di Trani (e per vero, come già ricordato, anche della sentenza Carli delle Sezioni Unite), secondo cui la tracce audio contenute nei supporti informatici sui quali vengono riversate quelle captate dall'apparecchiatura presente nei locali della Procura (e poi allegati al fascicolo processuale), rappresenterebbero a tutti gli effetti gli originali delle registrazioni cui fa riferimento la disciplina normativa.
Tale affermazione non mi sembra pienamente condivisibile, giacché nel processo di riversamento i dati che integrano le suddette tracce possono subire delle alterazioni o comunque danneggiarsi. Non accade di frequente, ma non è una eventualità remota. Ovviamente non si tratta di "manipolazioni" volontarie, bensì del tutto accidentali e dunque nella quasi totalità dei casi del tutto riconoscibili ictu oculi, ma ciò sembra sufficiente per concludere che i supporti di cui si è detto contengano esclusivamente la copia e non l'originale della registrazione. Non di meno, nel riversamento, il contenuto trasferito può essere altresì manipolato dolosamente ed anche sotto questo profilo sembra incontestabile che il supporto non può contenere l'originale della registrazione (né a questo punto il riscontro sulla genuinità di tale contenuto può essere costituito, come invece dimostrano di credere i giudici pugliesi, dalla documentazione che certifica le operazioni di intercettazione, atteso che in caso di comprovata manipolazione dolosa sarebbe quantomeno lecito dubitare della sua affidabilità).
In definitiva sostenere che il supporto informatico contenente il riversamento dei dati estrapolati dalla memoria dell'impianto costituisca l'originale della registrazione sulla base di una sorta di presunzione assoluta della fedeltà del riversamento medesimo non è affermazione che si possa condividere, e che mostra i suoi limiti nel confronto con le finalità per cui alla difesa è concesso il diritto di ottenere una copia delle intercettazioni ovvero di procedere all'ascolto delle registrazioni originali.
Al di là dell'effettiva probabilità che possano verificarsi "incidenti" come quelli descritti, mi sembra che le prassi interpretative imposte dall'evoluzione tecnologica finiscano per palesare evidenti segni di scollamento dalla traccia normativa. Il difetto si annida in realtà in quest'ultima e nel suo anacronistico regolamento dell'esecuzione delle operazioni di intercettazioni, giacché è effettivamente impensabile - soprattutto sotto il profilo della sostenibilità economica - rinunziare alle pratiche di noleggio degli impianti o prolungare il noleggio fino al termine del processo o ancora utilizzare per ogni procedimento una autonoma memoria esterna collegata al computer di registrazione e così via.
In ogni caso, allo stato della legislazione e tenendo conto dei principi affermati sull'art. 268 c.p.p. dagli stessi provvedimenti qui in commento, sembrerebbe allora necessario che alla cancellazione delle tracce audio contenute nel server della Procura si proceda solo all'esito della procedura di stralcio o quantomeno allo spirare del termine concesso alla difesa per esercitare il proprio diritto di accesso.