ISSN 2039-1676


11 giugno 2012 |

Le Sezioni Unite escludono la rilevanza penale della condotta di acquisto di merce con marchio contraffatto

Cass. pen., Sez. Un., 19.1.2012 (dep. 8.6.2012), n. 22225, Pres. Lupo, Rel. Fiandanese, ric. Micheli (sui rapporti tra ricettazione e illecito amministrativo di acquisto di merce contraffatta)

1. Il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite

Con la sentenza che può leggersi in allegato, le Sezioni Unite si sono pronunciate in merito alla  seguente questione: «se possa configurarsi una responsabilità a titolo di ricettazione per l'acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata».

La Suprema Corte ha dato al quesito risposta negativa, formulando il principio di diritto secondo cui «non può configurarsi una responsabilità penale per l'acquirente finale di cose in relazione alle quali siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale».

 

2. Un contrasto giurisprudenziale meramente potenziale

L'ordinanza di rimessione - da noi già pubblicata e annotata in questa Rivista - aveva invocato l'intervento delle Sezioni Unite rilevando come la questione avrebbe potuto dare luogo, in futuro, ad un contrasto giurisprudenziale, del tutto indesiderabile «in una materia tanto delicata, che potenzialmente coinvolge migliaia di acquirenti di beni con marchi contraffatti».

Tale rischio di contrasti interpretativi trova un chiarissimo esempio nel caso concreto dal quale era scaturita l'ordinanza di rimessione: pare allora utile richiamarne i passaggi essenziali, al fine di toccare con mano come una questione dal sapore apparentemente soltanto tecnico sia in realtà gravida di conseguenze pratiche di assoluto rilievo.

L'imputato era stato condannato dalla Corte d'Appello di Brescia per tentata ricettazione, in relazione al compimento di atti idonei e diretti in modo univoco a ricevere un orologio Rolex contraffatto - dunque proveniente dal delitto di cui all'art. 473 c.p. - consistiti nell'eseguire un ordinativo tramite corriere espresso, senza riuscire nel proprio intento a causa dei controlli doganali. Ravvisata l'ipotesi di particolare tenuità di cui all'art. 648 co. 2, i giudici del gravame avevano applicato una pena sostitutiva pari a 2.480 euro, riconoscendo altresì il diritto al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, a favore della società Rolex.

Il difensore, nel ricorso per cassazione, aveva invece sostenuto che la condotta di acquisto di merce contraffatta ricadeva nell'ambito di applicazione dell'illecito amministrativo di cui all'art. 1, comma 7 del d.l. n. 35 del 2005, che punisce con la sanzione pecuniaria da 100 a 7.000 euro "l'acquirente finale che acquista a qualsiasi titolo cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale".

Proprio sullo sfondo delle due diverse qualificazioni - quella di ricettazione, applicata dalla Corte d'Appello, e quella di illecito amministrativo, prospettata dal difensore dell'imputato - si colloca il potenziale contrasto giurisprudenziale oggetto dell'ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite.

Ci si chiede infatti se la norma che configura l'illecito amministrativo, pacificamente speciale rispetto alla contravvenzione di incauto acquisto ex 712 c.p., possa o meno vantare analogo rapporto strutturale anche rispetto al delitto di ricettazione ex art. 648 c.p.

È infatti negando la sussistenza di un rapporto di specialità che la Corte d'Appello era pervenuta alla condanna a titolo di (tentata) ricettazione; mentre è affermando la tesi contraria che la difesa dell'imputato chiede, invocando l'art. 9 della l. 689 del 1981, l'applicazione della sola sanzione amministrativa pecuniaria.

Rinviando alla nostra annotazione dell'ordinanza di rimessione per la disamina delle argomentazioni poste dalla Corte d'Appello e dalla difesa a sostegno delle proprie posizioni, preme in questa sede esaminare l'iter logico-argomentativo che ha condotto le Sezioni Unite ad abbracciare la tesi della specialità, e, coerentemente, ad affermare il principio di diritto sopra riportato, il quale come visto esclude la rilevanza penale della condotta de qua.

 

3. I passaggi fondamentali della pronuncia delle Sezioni Unite

Come anticipato, la sentenza in esame perviene al principio di diritto sopra riportato - vale a dire l'esclusione della rilevanza penale dell'acquisto di merce contraffatta da parte dell'acquirente finale - affermando la natura speciale, e dunque la prevalenza sul delitto di ricettazione in base all'art. 9 l. 689/1981, dell'illecito amministrativo configurato dall'art. 1, comma 7 d.l. 35/2005. Riprtiamo di seguito i passaggi fondamentali della pronuncia.

 

I. In primo luogo la Suprema Corte focalizza l'attenzione sulle modifiche che nel corso degli anni hanno investito la norma che configura il citato illecito amministrativo (art. 1, comma 7, l. 35/2005).

A tale proposito, particolare attenzione viene dedicata alla clausola di riserva "salvo che il fatto costituisca reato".  

Originariamente essa si trovava collocata nell'incipit della disposizione, e pertanto si riferiva a tutte le condotte in essa previste, ossia tanto a quelle realizzate dal soggetto acquirente finale, quanto a quelle, più gravemente sanzionate, poste in essere da altri soggetti (in particolare operatori commerciali o importatori). La legge n. 99 del 2009 ha mutato la collocazione testuale della clausola in esame, la quale attualmente risulta riferibile soltanto alle condotte realizzate da operatori commerciali o importatori. La modifica viene valorizzata dalle Sezioni Unite alla stregua di una manifestazione della volontà legislativa di escludere in ogni caso la rilevanza penale delle condotte poste in essere dagli acquirenti finali.

Invero, ad avviso della Suprema Corte, l'argomento potrebbe essere di per sé sufficiente a ritenere la specialità dell'illecito amministrativo «in applicazione del principio formulato dalle [...] Sezioni Unite n. 1963 del 2010 [relative ai rapporti tra art. 334 c.p. e 213 co. 4 C.d.S., e pubblicata in questa Rivista con nota di Benussi - ndr], laddove si afferma che l'art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689, è diretto a "privilegiare la specialità" in tutti i casi in cui, ad una condotta penalmente sanzionata si aggiunga, soprattutto se ciò avvenga in tempi successivi [...], una disciplina normativa che la preveda anche come violazione amministrativa".

 

II. Le S.U. procedono quindi al raffronto strutturale tra la norma incriminatrice della ricettazione e l'art. 1 comma 7 del d.l. 35 del 2005, ponendo l'accento sui seguenti elementi:

a) quanto al soggetto attivo, mentre il delitto ex art. 648 può essere commesso da chiunque, è evidente come il legislatore abbia inteso ritagliare una speciale ipotesi di illecito amministrativo attorno alla figura del soggetto acquirente finale;

b) quanto all'oggetto materiale, il concetto di "cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale" costituisce specificazione del concetto di "cose provenienti da un qualsiasi delitto", di cui all'art. 648 c.p..

c) né, infine, si potrebbe affermare che il delitto di ricettazione è a sua volta speciale facendo leva sulla struttura dell'elemento soggettivo di cui all'art. 648 c.p.: da un lato, infatti, la formula "inducano a ritenere" - che contrassegna l'illecito amministrativo - è idonea ad abbracciare una mens rea che va dal mero sospetto alla piena consapevolezza della provenienza illecita del bene; dall'altro lato il fine di profitto di cui all'art. 648 c.p. non costituisce elemento specializzante "per aggiunta", «posto che esso certamente è individuabile nei diversi profili di vantaggio che si propone l'acquirente finale di un prodotto contraffatto, sicché si tratta di un elemento che appare inerente alla fattispecie delineata».

 

III. Infine la sentenza prende posizione sull'argomento - avanzato dai difensori della parte civile Rolex s.p.a. - che prospetta un contrasto tra la previsione di un mero illecito amministrativo per le condotte realizzate dall'acquirente finale e la direttiva sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale e industriale (direttiva 2004/48/CE).

La disciplina comunitaria in parola obbliga infatti gli Stati Membri ad introdurre misure effettive, proporzionate e dissuasive nell'ottica di assicurare un livello elevato ed omogeneo di protezione della proprietà intellettuale e industriale nel mercato interno: e ad avviso della parte civile tale risultato potrebbe essere garantito soltanto dall'impiego di sanzioni penali contro le condotte offensive di tale interesse, comprese quelle commesse dall'acquirente finale.

Quanto alla possibilità di interpretare la normativa nazionale in maniera conforme al diritto UE - pervenendo alla conclusione che la disciplina comunitaria impone l'applicazione di sanzioni penali alle fattispecie di acquisto di merce contraffatta da parte di acquirenti finali - la sentenza richiama l'orientamento della Corte di Giustizia secondo cui l'obbligo di interpretazione conforme «non può giungere sino al punto che una direttiva, di per se stessa e indipendentemente da una legge nazionale di trasposizione, crei obblighi per i singoli ovvero determini o aggravi la responsabilità penale di coloro che trasgrediscono le sue disposizioni» (CGUE, 5 luglio 2007, causa C-321/05 Kofoed).

Quanto poi alla possibilità di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE - nell'ottica di chiarire, a monte, se la disciplina comunitaria imponga l'applicazione di sanzioni penali alle fattispecie di acquisto di merce contraffatta da parte di acquirenti finali - le Sezioni Unite abbracciano l'orientamento giurisprudenziale secondo cui lo strumento di cui all'art. 267 TFUE deve ritenersi precluso quando venga richiesto per legittimare un'interpretazione in malam partem della norma penale interna, soluzione ermeneutica impedita - ad avviso del Collegio - dai principi di certezza del diritto e non retroattività.

Analogamente - e infine - la Suprema Corte esclude la percorribilità della questione di legittimità costituzionale ex art. 117, 11 Cost., invocando il limite della riserva di legge rispetto alle pronunce di incostituzionalità con effetto in malam partem.