ISSN 2039-1676


19 novembre 2010 |

Legittimo impedimento a comparire in udienza del Presidente del Consiglio e dei Ministri: incostituzionale la l. n. 51/2010? Forse no.

 
 
Sommario:
 
 
1. Premessa
 
In due distinti processi penali a carico del Presidente del Consiglio, le sezioni X e I del Tribunale di Milano, con ordinanze rispettivamente del 16 e 19 aprile 2010, hanno sollevato dinanzi alla Consulta due questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 7 aprile 2010 n. 51 (Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza), in riferimento all’art. 138 (parametro evocato da entrambi i giudici a quibus) ed all’art. 3 (parametro evocato soltanto dalla sezione X).
 
Prima di entrare nel thema, è d’uopo una premessa di metodo (o, se si vuole, un invito) simile a quella già posta in occasione dei commenti ai vari “lodi” dichiarati incostituzionali: facciamo finta che la legge n. 51/2010 non rappresenti – come invece manifestamente rappresenta – l’ennesimo provvedimento legislativo calibrato ad hoc sul caso (di un) singolo nonché il tentativo (malcelato) di rendere legibus solutus l’attuale Presidente del Consiglio, immune dalla giurisdizione: è uno sforzo necessario per liberarsi dalle pregiudiziali politiche (che influenzano, almeno a livello subliminale, la decisione) e ragionare giuridicamente.
 
2. Tesi: possibilità di interpretazione conforme
 
Tanto premesso,la questione cruciale è se sia o meno possibile una lettura costituzionalmente orientata della legge n. 51/2010 che escluda una presunzione assoluta ed insindacabile di legittimo impedimento e che, all’opposto, riconosca all’autorità giudiziaria il potere-dovere di verificare la concreta sussistenza del dichiarato impedimento e l’effettiva portata impossibilitante dello stesso.
La risposta negativa conduce inevitabilmente a ritenere ictu oculi incostituzionale la legge n. 51/2010 rispetto al parametro dell’art. 138 Cost. (con assorbimento di ogni ulteriore considerazione rispetto all’art. 3 Cost.): in effetti, introdurrebbe con legge ordinaria un’immunità in aperta violazione con quanto recentemente statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza 262/2009 sul cd. Lodo Alfano, secondo cui le prerogative di cui godono i titolari di organi costituzionali “sono sistematicamente regolate da norme di rango costituzionale [sicché] non è consentito al legislatore ordinario alterare né in peius né in melius)”.
 
Tuttavia, credo che la descritta lettura costituzionalmente orientata della norma sia possibile per le argomentazioni di cui appresso.
Anzitutto, occorre distinguere tra la legittimità astratta dell’impedimento e l’effettiva portata impossibilitante dell’impedimento: la legge n. 51/2010 interviene solo sulla legittimità astratta dell’impedimento, tipizzando in via preventiva una serie di ipotesi di impedimento connesse al concomitante svolgimento delle attribuzioni previste da leggi e regolamenti richiamati dall’art. 1, comma I.
 
Sul piano concreto, a fronte della dichiarazione di impedimento da parte dell’imputato (comma III) e/o a fronte dell’attestazione della Presidenza del Consiglio della continuità dell’impedimento (comma IV), in assenza di indicazioni normative contrarie ed in virtù della predetta lettura conforme, spetta al giudice verificare:
 
a) se sussista realmente l’impedimento dichiarato o attestato (l’onere probatorio al riguardo spetta, secondo le regole comuni, all’imputato);
 
b) se l’impedimento dichiarato o attestato sia riconducibile all’esercizio delle attribuzioni elencate al comma I (“quando ricorrono le ipotesi di cui ai commi precedenti”, come recita il comma III, e “correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge”, come recita il comma IV);
 
c) se l’impedimento dichiarato o attestato abbia, effettivamente e concretamente, portata impossibilitante rispetto alla comparizione all’udienza;
 
d) se, nel caso dell’attestazione del IV comma, l’impedimento sia realmente “continuativo”.
 
Qualora l’esito delle verifiche sia positivo, “il giudice, su richiesta di parte … rinvia [rectius, può rinviare] il processo ad altra udienza” entro sessanta giorni dalla prevedibile cessazione dell’impedimento dichiarato (nell’ipotesi del comma III), o “successiva al periodo indicato, che non può essere superiore a sei mesi” (nell’ipotesi del comma IV).
 
Qualora invece l’esito sia negativo, il giudice non è tenuto a rinviare l’udienza, ma deve motivare in modo completo, logico ed adeguato il rigetto della richiesta dell’imputato: sembra ipotizzabile in questo caso la possibilità per l’imputato-Presidente del Consiglio o l’imputato-Ministro di sollevare conflitto di attribuzione tra poteri davanti alla Corte costituzionale, alla quale spetterà quindi, di fatto, l’ultima parola sulla legittimità o meno (in astratto ed in concreto) dell’impedimento addotto.
 
Orbene, ove si ammetta una lettura conforme della norma nei termini poc’anzi precisati, dovrebbe conseguentemente escludersi l’incostituzionalità della legge n. 51/2010 (quantomeno) con riferimento ai parametri evocati dalle citate ordinanze dei giudici a quibus, ossia gli artt. 3 e 138: in effetti, da un lato, non sarebbe violato l’art. 138, in quanto il legittimo impedimento de quo non dissimulerebbe una immunità e/o prerogativa, trattandosi invero di mero istituto processuale disciplinato (e disciplinabile) con legge ordinaria e, dall’altro, non sarebbe violato l’art. 3, in quanto la particolarità, la natura e l’importanza delle attività di governo poste in essere, talora in via assorbente ed incessante, dal Presidente del Consiglio e dai Ministri, ben potrebbero giustificare un ampliamento dei casi di legittimo impedimento già previsti – per tutti gli imputati – dall’art. 420 ter c.p.p. A quest’ultimo proposito, è utile un parallelo con l’art. 205, comma II c.p.p. che, com’è noto, consente al Presidente del Consiglio e ad altre cariche ivi menzionate di rendere testimonianza “nella sede in cui esercitano il loro ufficio, al fine di garantire la continuità e la regolarità della funzione cui sono preposti”: anche in questo caso non v’è chi non veda un trattamento di favore rispetto al quivis de populo, costretto a “presentarsi al giudice” (art. 198 c.p.p.) pena l’accompagnamento coattivo e la condanna al pagamento di una somma (art. 133 c.p.p.) e ad attendere pazientemente, spesso per ore, che venga chiamato: cionondimeno, nessuno dubita – ed ha mai dubitato – della legittimità costituzionale dell’art. 205 c.p.p.
 
3. Antitesi: impossibilità di una lettura conforme
 
Com’è intuibile, i giudici remittenti sostengono l’impossibilità di una lettura della norma conforme a Costituzione giacché, ove così non fosse, sarebbe certa la pronuncia di inammissibilità da parte della Corte. In particolare, secondo la sezione I, la legge n. 51/2010 “introduce una presunzione assoluta di impedimento … da ciò il venire meno per il giudice di qualsiasi possibilità di accertare la sussistenza in concreto dell’impedimento a comparire dell’imputato, inteso come assoluta impossibilità legata ad un fatto contingente e non già ad uno status permanente” (ord. 19 aprile 2010); parimenti, secondo la sezione X, “il rinvio è imposto … da ragioni … insindacabili dall’autorità giudiziaria e si traduce in una causa automatica di rinvio… una diversa lettura della norma che salvaguardasse il sindacato del giudice in ordine alla natura dell’impedimento e alla sua continuità si risolverebbe in una sostanziale disapplicazione della nuova legge [e] non terrebbe conto del canone ermeneutico di cui all’art. 12 delle Preleggi” (ord. 16 aprile 2010).
Anche la maggior parte della dottrina ha escluso la possibilità di una lettura conforme, specie con riferimento al IV comma dell’art. 1: secondo Marinucci è sufficiente l’attestazione dell’impedimento continuativo da parte della Presidenza del Consiglio “per far scattare l’obbligo del giudice di rinviare a un’udienza sino a sei mesi … senza accertamenti di sorta[1]. In questo senso anche Moscarini, il quale rileva come “una volta prodotta una simile documentazione, al giudice [non] sarà più consentito alcun sindacato: né quello sulla sussistenza o non dell’impedimento, né quello sull’effettività o non della sua portata impossibilitante[2]. Analogamente Giostra ha evocato “la situazione di un imputato che si avvale della prerogativa di far sospendere il processo per un certo lasso di tempo, autocertificandosi un impedimento di pari durata, di cui un giudice-notaio viene chiamato a prendere atto[3] e Orlandi ha sostenuto che “la presunzione assoluta di legittimo impedimento … a bene vedere si risolve praticamente in una sospensione del processo per atto unilaterale del politico interessato[4].
 
4. Confutazione dell’antitesi
 
4.1. a) Il tenore letterale
 
Osterebbe all’interpretazione conforme il tenore letterale della legge il quale “segna il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale” (C. cost. sentenza 219/2008): tuttavia, a me pare che l’argomento letterale sia superabile sulla base delle seguenti ragioni.
 
Anzitutto, anche l’art. 420 ter c.p.p. impiega forme verbali all’apparenza espresse in modo perentorio, quali “rinvia”, “dispone”, “provvede”, ma questo non impedisce di ritenere ugualmente esercitabile la discrezionalità del giudice.
 
In ogni caso, il comma III prevede espressamente che “il giudice [può] rinvia[re] il processo ad altra udienza… quando ricorrono le ipotesi di cui ai commi precedenti”, ammettendo quindi, ed anzi implicando, l’esistenza di un controllo giudiziale; non sembra poi decisiva la circostanza che il comma IV non faccia alcuna menzione del potere di sindacato del giudice, in quanto detto comma deve essere interpretato sistematicamente in correlazione ai commi precedenti.
 
4.2. b) L’intentio legislatoris
 
Osterebbe all’interpretazione conforme l’original intent del legislatore così come manifestato nella legge, sotto un duplice profilo: nella parte in cui si dichiara che la finalità della legge è di “consentire al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge” e nella parte in cui si ricollega la cessazione di efficacia della legge “alla data di entrata in vigore della legge costituzionale recante la disciplina organica delle prerogative del Presidente del Consiglio e dei Ministri”. A me pare che anche l’original intent del legislatore non sia decisivo.
 
In primo luogo, deve rilevarsi che, sebbene inequivocabilmente manifestata, l’intenzione del legislatore non è altro che uno dei canoni interpretativi utilizzabili, certamente non prevalente rispetto all’interpretazione letterale, a quella logica-sistematica e, soprattutto, a quella adeguatrice alla fonte superiore: in effetti, “poiché i due criteri della legge sull’interpretazione non sono gerarchicamente collegati sarà l’interprete e l’operatore a scegliere (sia pure con tutti i condizionamenti che gli sono imposti dalla circostante cultura giuridica) tra il significato (da lui) attribuito all’uso ordinario e il significato (da lui) attribuito all’intenzione del legislatore, e ancora una volta la scelta dell’interprete e dell’operatore è co-determinante del significato e della portata delle leggi[5].
 
In ogni caso, “ai fini dell’interpretazione di una disposizione di legge non rileva l’intenzione degli autori, quanto piuttosto il modo in cui la norma si «oggettivizza» nel sistema[6]: ed invero, “le parole sono solo il mezzo mediante il quale si esprime l’«intenzione del legislatore» e come tali vanno interpretate: esse debbono essere prese alla lettera, ma non fino al punto di attribuire alla norma un senso diverso da quello che, dal contesto della legge, risulta corrispondere alla finalità che la norma di propone (tradizionalmente definita anche come ratio legis, ragione giustificatrice della norma)[7].
 
Per quanto riguarda il primo profilo, la ratio (oggettiva) della legge sembra incompatibile con la finalità (soggettiva) della stessa esplicitata all’art. 2, al punto tale da far pensare ad un vero e proprio lapsus calami del legislatore: in effetti, il legittimo impedimento introdotto dalla legge n. 51/2010 non tutela “il sereno svolgimento delle funzioni” del Presidente del Consiglio e dei Ministri (nell’ipotesi in cui siano imputati), bensì il loro diritto di difesa[8], che rischierebbe di essere pregiudicato dal contestuale svolgimento dell’intensa ed assorbente attività di governo. Peraltro, a contrario, se il legittimo impedimento introdotto dalla legge n. 51/2010 fosse davvero posto a tutela del “sereno svolgimento delle funzioni” del Presidente del Consiglio e dei Ministri e, quindi, a tutela del sistema costituzionale, non si spiegherebbe la ragione per cui esso operi solo “su richiesta di parte” e non sia invece indisponibile ed irrinunciabile, alla stessa stregua delle prerogative e/o immunità poste a garanzia dell’Organo in quanto tale (e non del soggetto uti singuli che pro tempore vi appartiene).
 
Per quanto riguarda il secondo profilo, il legislatore, nell’esercizio della sua insindacabile discrezionalità, ha sottoposto ad un termine l’efficacia della legge n. 51/2010, riconoscendo a questa “una funzione meramente transitoria rispetto alla necessità di approntare una più compiuta ed esaustiva disciplina[9] organica delle immunità mediante fonte di rango costituzionale, come imposto dalla Corte costituzione con la citata sentenza 262/2009: di talché, diversamente da quanto sostenuto, non pare rinvenire una “excusatio non petita, accusatio manifesta [come se fosse] lo stesso legislatore a riconoscere, così, l’insufficienza di una legge ordinaria in materia[10].
 
4.3. c) L’eccessiva ampiezza delle ipotesi di legittimo impedimento
 
Osterebbe all’interpretazione conforme l’eccessiva ampiezza delle ipotesi di legittimo impedimento previste dall’art. 1 al I comma (per il Presidente del Consiglio) ed al II comma (per i Ministri) e, in particolare, il riferimento alle “attività preparatore e consequenziali, nonché di ogni altra attività comunque coessenziale alle funzioni di governo[11]. A me pare che anche questo argomento sia superabile.
 
Anzitutto, mette conto di rilevare come l’elenco di attribuzioni contenuto nel I comma attraverso il rinvio a specifiche previsioni legislative e regolamentari sia tassativo, come dimostra il fatto che i richiami normativi sono ivi svolti non a titolo esemplificativo ma a titolo esaustivo ed assorbente sì da determinare un numerus clausus: ergo, l’elenco non è fumoso, vago od indeterminato ma, al contrario, è particolare e concreto, relativo alle attività in cui normalmente si declinano le funzioni dell’Esecutivo. Inoltre, il riferimento alle attività preparatorie, consequenziali e connesse non amplia ad libitum l’elenco, poiché tratta di semplice formula di chiusura, capace di riassumere tutte le attività indicate dalle precedenti disposizioni di legge, alla stregua cioè di una clausola di stile riassuntiva e non innovativa.
 
In ogni caso, anche a prescindere da ciò, ben può farsi riferimento, mutatis mutandis, alla sentenza 120/2004 con cui la Corte costituzionale, investita della questione di legittimità dell’art. 3, I comma, della legge n. 140/2003 in tema di insindacabilità parlamentare[12], ha respinto le doglianze dei giudici rimettenti alla luce di un’interpretazione conforme collocata nel solco della sua giurisprudenza, in virtù della quale, sebbene l’esternazione del parlamentare rientri nell’elenco dei cd. “atti tipici insindacabili”, non viene meno di per ciò solo la necessità di verificare la sussistenza del nesso di collegamento con l’esercizio delle precipue funzioni parlamentari.
 
4.4. d) L’inutilità della legge
 
Osterebbe all’interpretazione conforme la circostanza che, in tal modo, la legge perderebbe il carattere innovativo, diventando una mera (ed inutile) riproduzione dell’istituto del legittimo impedimento già previsto – per tutti gli imputati – dall’art. 420 ter c.p.p.[13]. A me pare che anche questo rilievo non sia condivisibile.
 
Anzitutto, va detto che nulla impedisce al legislatore, se lo ritiene, nell’ambito della sua insindacabile discrezionalità politica, di emanare norme ricognitive e, perfino, inutili.
 
In ogni caso, a fronte di una lettura conforme che riconosca il potere-dovere del giudice di sindacare, la legge sarebbe tutt’altro che inutile: avrebbe invero l’innegabile effetto di tipizzare, in via assoluta e preventiva, alcune ipotesi astratte di impedimento legittimo, che dovranno comunque essere successivamente vagliate, caso per caso, dall’autorità giudiziaria quanto alla effettività e concretezza della portata impossibilitante.
 
4.5. e) La difficoltà di sindacato giudiziale
 
Osterebbe all’interpretazione conforme la difficoltà per il giudice di sindacare in concreto l’impedimento dichiarato o attestato, sia dal punto di vista fattuale (in quanto l’inevitabilità di un impegno di natura istituzionale difficilmente potrebbe essere valutata sul piano materiale e degli eventi) sia dal punto di vista ordinamentale (in quanto il sindacato del giudice, spingendosi fino a valutazioni di opportunità politica, rischierebbe di creare interferenze costituzionalmente inammissibili nelle funzioni riservate ad altro Potere dello Stato. A me pare che questo argomento “provi troppo”: ed invero, com’è intuibile, difficoltà di sindacare non significa impossibilità tout court di sindacare.
 
Quanto al punto di vista fattuale, si ricorda che l’onere probatorio in merito alla sussistenza dell’impedimento ricade esclusivamente ed in toto sull’imputato, cosicché ove il giudice non ritenga detto onere adeguatamente soddisfatto potrà agevolmente rigettare, motivando, la richiesta di rinvio.
 
Quanto al punto di vista ordinamentale, le preoccupazioni in merito a possibili interferenze tra Poteri sono francamente eccessive e, ove prese sul serio, dovrebbero coerentemente sussistere in ogni caso di contrasto tra giurisdizione e politica.
 
5. Postilla
 
Rimangono aspetti dubbi di costituzionalità della legge n. 51/2010, relativi all’irragionevole durata del processo, alla non applicabilità per i reati funzionali, alla tutela giurisdizionale della parte civile, all’estensione dal legittimo impedimento ai Ministri ed alla contestuale esclusione dei parlamentari, all’obbligatorietà dell’azione penale: tuttavia, tali aspetti non sono stati dedotti dai giudici remittenti sicché in quest’occasione non dovrebbero essere presi in considerazione dalla Corte costituzionale ai fini della decisione.
 


[1] MARINUCCI, Impedimento a comparire in giudizio del Presidente del Consiglio dei ministri: davvero “legittimo”?, in www.forumcostituzionale.it.
[2] MOSCARINI, Funzioni ministeriali e legittimo impedimento a comparire, in Dir. pen. proc. , 2010, 1148.
[3] GIOSTRA, Con la sospensione di tutti i processi penali l’immunità si traveste da legittimo impedimento, in Guida dir., 2010, 9, 102
[4] ORLANDI, Le immunità politiche fra ragionevoli deroghe al principio di uguaglianza e illegittimi privilegi, in www.associazioneitalianacostituzionalisti.it.
[5] TARELLO, L’interpretazione della legge, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1980, 26.
[6] CAPOTOSTI, Intervento, in Il Lodo Alfano. Prerogativa o privilegio?, a cura di Celotto, Roma, 2009, p. 98. Nello stesso senso PUGIOTTO, Inutile o incostituzionale (Sul destino della legge n. 51 del 2010), in Corr. Giur., 2010, 5, secondo cui ciò che conta “è il significato oggettivo che la disposizione assume, una volta inserita nel sistema normativo (di cui fa parte, in posizione apicale, la Costituzione)”. Siffatto principio era felicemente espresso già un secolo fa dalla Cassazione civile di Torino con la sentenza 29 novembre 1912 (in Giur. it., 1913, I, 1,44): “con l’escludere l’influenza esegetica dei lavori preparatori non si viola l’art. 3 [oggi art. 12] disposiz. prel. cod. civ., in quanto prescrive che nel dubbio si accerti la intenzione del legislatore, perché la legge, dopo la sua apparizione, si stacca dai suoi compilatori e sfugge alle influenze di tutte le intenzioni con le quali ne è stata accompagnata la preparazione”.
[7] Galgano, Diritto privato, Cedam, 2008, p. 64.
[8] Dal quale discende il basilare diritto alla partecipazione diretta e personale dell’imputato al processo penale (come rilevato da C. cost. sent. 341/1999).
[9] SALERNO, Procedure, effetti e destinatari del Ddl con cui si regolano le assenze in udienza, in Guida dir., 2010, 13, 22, 25.
[10] PUGIOTTO, op. cit.
[11] Come rileva GIOSTRA, op. cit., si tratta di un “fumogeno elenco … [dal] valore meramente esemplificativo di tutte le attività” e, di conseguenza, “allora tanto varrebbe dire che il Presidente, in questa sua qualità, ha sempre diritto alla sospensione del processo”. Parimenti, MOSCARINI, op cit., per cui “se si considerano analiticamente queste richiamate disposizioni, è dato constatare agevolmente com’esse ricomprendano un novero di attribuzioni vastissimo”.
[12] Il comma citato nel testo prevede che la prerogativa di cui all’art. 68 Cost. “si applica in ogni caso per la presentazione di disegni o proposte di legge, emendamenti, ordini del giorno, mozioni e risoluzioni, per le interpellanze e le interrogazioni, per gli interventi nelle Assemblee e negli altri organi delle Camere, per qualsiasi espressione di voto comunque formulata, per ogni altro atto parlamentare, per ogni altra attività di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento”.
[13] In questo senso per tutti PUGIOTTO, nel citato contributo dall’emblematico titolo “inutile o incostituzionale (sul destino della legge 51 del 2010)”.