ISSN 2039-1676


22 novembre 2010 |

Recidiva reiterata e preclusione all'accesso alle misure alternative alla detenzione

Nota a Corte cost., 8 ottobre 2010, n. 291

Con la sentenza n. 291 del 2010 la Corte costituzionale ha affermato che il c. 7-bis dell’art. 58-quater ord. penit., secondo il quale “l’affidamento in prova al servizio sociale […], la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere concessi più di una volta al condannato al quale sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, quarto comma, del codice penale”, per essere conforme a Costituzione deve essere interpretato nel senso che il divieto di seconda concessione della misura alternativa opera soltanto quando il delitto non colposo espressivo della recidiva reiterata sia stato commesso dopo aver fruito di una misura alternativa concessa in esecuzione di una pena a sua volta inflitta con applicazione dell’aggravante ex art. 99, c. 4, c.p.
 
In altri termini, chi viene dichiarato recidivo reiterato per la prima volta, può ancora accedere alle suddette misure alternative; la preclusione, infatti, opera solo se, successivamente alla fruizione della misura alternativa, il soggetto commette un nuovo delitto non colposo alla cui condanna consegua la dichiarazione di recidiva reiterata.
 
Per comprendere appieno la pronuncia in esame, appare utile osservare più da vicino la ratio decidendi fatta propria dalla Corte costituzionale, partendo da una sintetica ricostruzione del caso di specie.
 
Il Tribunale di sorveglianza di Genova doveva vagliare la posizione di un detenuto condannato a pena detentiva per tentato furto, al quale, con la medesima sentenza di condanna, era stata applicata la circostanza aggravante della recidiva reiterata. Dal momento che il condannato aveva già usufruito (peraltro, con esito positivo) dell’affidamento in prova ai servizi sociali concesso a seguito di una precedente condanna ed era stato dichiarato recidivo reiterato (a norma dell’art. 58-quater, c. 7-bis, ord. penit.), egli non poteva accedere una seconda volta a tale beneficio, benché la misura di cui all’art. 47 ord. penit. fosse senz’altro da ritenersi – anche in considerazione del deficit intellettivo e culturale che affligge il condannato – la misura più idonea ad assicurargli un proficuo percorso rieducativo.
 
Secondo i giudici remittenti, tuttavia, l’impossibilità, sancita dalla norma in esame, di accedere alla misura alternativa risulterebbe costituzionalmente illegittima. In particolare, essa contrasterebbe con il principio di ragionevolezza: farebbe infatti dipendere l’esclusione dai benefici penitenziari dall’applicazione della recidiva reiterata, cioè da una condizione soggettiva che non è necessariamente sintomatica di una maggiore pericolosità attuale del condannato.
 
 Paradigmatica, sotto questo profilo, è la situazione di chi viene dichiarato recidivo reiterato a seguito di condanne per fatti commessi prima di aver avuto accesso ad una misura alternativa; in questi casi, essendo i fatti antecedenti, il riconoscimento della forma reiterata di recidiva non sarebbe affatto indicativo di una maggiore pericolosità del soggetto, ma cionondimeno questi non potrebbe più usufruire di misure alternative, con conseguente (ed irragionevole) interruzione del processo rieducativo.
 
La preclusione in esame, poi, appare contraria anche al principio di necessaria finalizzazione rieducativa della pena, in quanto essa  priverebbe integralmente il giudice del potere di valutare quale sia, in concreto, la modalità di esecuzione della pena più proficua per consentire il reinserimento del condannato nel consorzio civile. Per tali ragioni, i remittenti chiedono che la norma censurata sia dichiarata incostituzionale.
 
Rispondendo a tali censure, tuttavia, la Corte chiarisce che eventuali presunzioni assolute in materia di benefici penitenziari possono essere costituzionalmente legittime se “rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella forma dell’id quod plerumque accidit”, cioè se è ragionevole attendersi il verificarsi di un evento del tipo di quelli oggetto della generalizzazione posta dalla legge.
 
Premessa questa considerazione generale, la Corte la declina con riferimento al caso di specie, facendo notare che, se si interpreta la norma in esame come preclusiva dell’accesso ai benefici penitenziari già alla prima applicazione della recidiva reiterata, la regola di principio appena descritta risulta senz’altro violata, poiché – al contrario di quanto presume la legge – è ragionevole ritenere che il condannato possa ancora rispondere positivamente ad un trattamento penitenziario extra moenia.
 
Diverso è invece il caso in cui il soggetto già dichiarato una prima volta recidivo reiterato, dopo aver fruito di una misura alternativa, commetta un nuovo delitto per il quale viene applicata l’aggravante della recidiva ex art. 99, c. 4, c.p.; in questo caso, stante il fatto che si tratta (almeno) del quarto delitto commesso e che il soggetto ha già usufruito di benefici penitenziari, non è arbitraria la pretesa del legislatore che la pena sia eseguita senza accesso a misure alternative, dal momento che tale pretesa si fonda su una prognosi di segno negativo circa la futura condotta del condannato che non appare irragionevole.
 
Per conseguenza, la Corte pronuncia una decisione di inammissibilità della questione di legittimità sollevata dai ricorrenti, in quanto il giudice a quo non ha previamente esperito un tentativo di interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione in esame, nel senso sopra chiarito, idonea a superare i dubbi di costituzionalità.