ISSN 2039-1676


9 gennaio 2014 |

In tema di abusivismo finanziario

A proposito di Cass. pen., Sez. V, 29.5.2013 (dep. 20.6.2013), n. 27246, Pres. Ferrua, Est. Lapalorcia

1. Con la sentenza che segnaliamo, la Corte di Cassazione torna ad occuparsi del c.d. reato di abusivismo finanziario, previsto dall'art. 166 del D.Lgs. 58/1998 (d'ora innanzi, TUF).

La complessa vicenda sottoposta all'attenzione dei giudici di legittimità può essere così riassunta: un cittadino olandese residente a Lugano trasferiva a titolo gratuito un pacchetto di titoli obbligazionari JP Morgan, per un valore di 10 di milioni di euro, su un conto italiano aperto presso una filiale dell'istituto di credito UBI.

Una parte di tali titoli, per un valore pari a 1 milione di euro, veniva poi trasferita dall'indagato, marito dell'intestataria del conto, a un commercialista, mentre, con una seconda operazione, l'indagato trasferiva un'ulteriore porzione di tali titoli, per un valore di 6 milioni di euro, a un cliente che chiudeva l'affare al fine di rifinanziare il capitale di una società ligure oggetto, a sua volta, di sequestro preventivo in un distinto procedimento.

Una terza operazione, sempre avente ad oggetto i titoli trasferiti sul conto dell'indagata, non andava invece in porto.

Insospettito dalla vicinanza temporale tra le operazioni, il Tribunale di Como apriva così nei confronti dei due coniugi un procedimento penale per violazione dell'art. 166 - in considerazione della circostanza secondo cui l'indagato risultava un promotore finanziario privo tuttavia dell'apposita abilitazione per lo svolgimento di servizi di investimento destinati al pubblico - e disponeva il sequestro preventivo dei titoli obbligazionari rimasti, al netto delle due operazioni finanziarie andate a buon fine, sul conto dell'indagata.

Contro il provvedimento di sequestro i due indagati proponevano ricorso per Cassazione lamentando l'insussistenza, nella vicenda in esame, dei presupposti necessari per l'integrazione dell'art. 166 TUF.

La Corte, con la decisione in esame, respinge tuttavia il ricorso e conferma il sequestro dei titoli con un'argomentazione che, in ragione di alcune interessanti statuizioni in merito alla fattispecie di abusivismo finanziario (art. 166 TUF), merita di essere ripercorsa.

 

2. In primo luogo, la Corte, pur riconoscendo l'imprecisione del termine "collocamento" enunciato nel capo d'accusa (in quanto privo di riferimenti tecnici e non perfettamente inquadrabile nella fattispecie di abusivismo), cura di precisare il sostanziale abbinamento di tale termine ai servizi di investimento e quindi la potenziale sussunzione del fatto contestato in una delle sottofattispecie descritte alle lett. a), b) e c) dell'art. 166 TUF.

A nulla vale obiettare, quindi, l'imprecisione dei termini usati, dal momento che i fatti contestati possono comunque attagliarsi sia alla lettera b) (opzione preferibile, secondo la Corte), sia alla lettera c) di detto articolo, rientrando così entrambe le ipotesi delittuose "nel genus dei servizi di investimento e, risultando peraltro la fattispecie ascritta chiaramente contestata in fatto".

Maggiormente rilevanti, ai fini della sussistenza del fumus boni juris, sono invece le argomentazioni circa i requisiti di professionalità e pubblicità quali elementi necessari per la configurabilità delle ipotesi di abusivismo finanziario. La Corte, infatti, riprendendo le perplessità circa la modalità di redazione dell'art. 166 TUF già avanzate dalla dottrina penalistica, precisa che "l'art. 166 vigente ha adottato una formulazione neutra"[1], che si ispira alla "discutibile tecnica, diffusa nel settore del diritto penale economico, di incriminazione per rinvio, e cioè mediante la rinuncia a descrivere compiutamente l'essenza della condotta vietata e l'introduzione di una fattispecie sanzionatoria di precetti contenuti altrove, in nome di stampo più prettamente civilistico/amministrativistico"[2].

Tale scelta, infatti, aveva suscitato perplessità già all'indomani dell'entrata in vigore del Testo Unico Finanziario da parte di autorevole dottrina, che si era infatti premurata di censurare le tecniche di redazione delle disposizioni penali facenti parte del decreto stesso, evidenziando come il semplice aggancio di una sanzione penale a norme extrapenali finisse per comportare, in ultima istanza, una normativa penalistica scarsamente coerente e sistematica e potesse, addirittura, comportare il rischio di porre a carico della generalità dei consociati un inesigibile obbligo di conoscenza di una disciplina altamente tecnica e settoriale[3].

Infatti, in ragione del fatto che tale norma configura un reato comune, un'interpretazione letterale del delitto di abusisvismo finanziario potrebbe estendere a dismisura l'ambito di applicazione della norma fino a ricomprendere addirittura un qualunque soggetto che negozi sporadicamente strumenti finanziari in assenza della dovuta abilitazione a tale attività presso una strettissima cerchia di amici fidati.

Proprio per scongiurare tali inconvenienti interpretativi, che, come evidente, risulterebbero difficilmente compatibili con il principio di colpevolezza, la Corte accoglie una lettura sistematica dell'art. 166 TUF che tenga conto "dell'art. 18 dello stesso TUF, il quale statuisce che l'esercizio professionale nei confronti del pubblico di servizi di investimento è riservato alle imprese di investimento e alle banche"[4].

 Così argomentando, la Corte finisce per aderire all'interpretazione correttiva dell'art. 166 TUF suggerita da larga parte della dottrina, secondo cui sarebbe oggetto di tutela penale esclusivamente lo svolgimento di attività e servizi di investimento che assuma congiuntamente i connotati della professionalità e della pubblicità, come indicati dall'art. 18 TUF[5].

 

3. A ulteriore supporto di tale soluzione, poi, la Corte porta altri due argomenti: in primo luogo, richiama la recente giurisprudenza affermatasi con riferimento all'esercizio abusivo di attività bancaria[6] puntualizzando che, anche con riferimento a tale delitto, la giurisprudenza tende a richiedere i requisiti della professionalità e dell'offerta al pubblico.

In ulteriore battuta poi, la Corte ritiene che tale soluzione esegetica sia conforme alla ratio ispirante l'art. 166 TUF il quale "prevede un reato di pericolo presunto"[7], che  richiede, ai fini della rilevanza oggettiva del fatto, una serie coordinata di atti svolti professionalmente e rivolti a una platea non qualitativamente determinata di soggetti.

Così argomentando, la Corte si pone in linea di continuità con l'orientamento giurisprudenziale prevalente, che interpreta la disposizione in questione come reato di pericolo e non di danno.

Una posizione, la tesi del reato di pericolo "astratto", che mira a tutelare il regolare funzionamento dei mercati e l'affidabilità tecnica, morale e professionale dei soggetti intermediari, in conformità con i principi fondamentali sanciti dall'art. 47 della Carta Costituzionale[8], il quale, come noto, mira a proteggere in via generale la dimensione dinamica del risparmio[9].

In definitiva, sono sostanzialmente accolte le riflessioni della più attenta dottrina, secondo cui le norme penali che intervengono nel settore degli strumenti finanziari quotati o regolamentati non possono che essere necessariamente di pericolo e non di danno, proprio per l'imprescindibile necessità di privilegiare l'elemento preventivo rispetto a quello repressivo e di dettare così previamente le "regole del gioco" in considerazione del delicato equilibrio tra interessi sociali ed economici che necessariamente si connettono con il settore degli strumenti finanziari quotati o regolamentati[10].


[1] In relazione a tale profilo, si veda ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell'economia, Milano, 2008, p. 363, secondo cui tale reato rientra nella categoria dei c.d. "illeciti a condotta neutra".

[2] Cfr., p. 3 della sentenza in commento. Evidenziano tale profilo, in dottrina, ZANNOTTI, op. cit., pp. 363 ss.; ALESSANDRI (a cura di), Reati in materia economica, Torino, 2012, pp. 221 ss.; SORBELLO, L'abusivismo finanziario tra atto giuridicamente lecito e fatto penalmente rilevante, in Giur. mer., 2009, pp. 2499 ss.

[3] Cfr. CONTI, Profili penalistici del testo unico sull'intermediazione finanziaria, in Dir. Pen. Proc., 1998, secondo cui "Si deve evitare il semplice aggancio di una sanzione penale a norme extrapenali [...] da ricercarsi, per effetto di generici rinvii, nell'ambito di una serie di norme che non hanno diretta rilevanza penalistica, magari caratterizzate da rimandi a catena, così che il quivis de populo il quale voglia sapere che cosa gli è consentito e che cosa gli è vietato è costretto a rincorrere più disposizioni ognuna delle quali ne richiama altre, magari soltanto per una precisazione di minimo rilievo". Sul punto, inoltre, GALANTI, Diritto delle banche e degli intermediari finanziari, Cedam, Padova, 2008, pp. 1373 ss.; LUCCARIELLI, Commento all'art. 166, in (a cura di RABITTI BEDOGNI), Commentario al Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, Milano, 1998, pp. 906 ss.)

[4] Così p. 3 della sentenza che si commenta.

[5]A favore di tale soluzione, in ambito dottrinale, LUCCARELLI, op. cit., pp. 906 ss.; ZANNOTTI, op. cit., pp. 368; TARGETTI, Il rischio penale nelle operazioni societarie, bancarie e finanziarie, Torino, 2006, p. 49, secondo cui risulterebbe penalmente irrilevante lo svolgimento di tali attività se svolto sporadicamente e occasionalmente e coinvolgendo un cerchio ristretto di persone, quali, a titolo esemplificativo, amici o parenti.

[6] Tale reato è previsto dall'art. 132 del D.Lgs 132/1993.

[7] Si tratta della tesi prevalente in dottrina. Così, ZANNOTTI, op. cit., p. 365; ALESSANDRI, op. cit., p. 222. A favore della tesi del reato di pericolo, in giurisprudenza, Cass. Pen., Sez. II, 9.11.2010, n. 42085, in Cass.pen., 2011, pp. 2359 ss.; Cass. Pen., Sez. V, 24.4.2009, n. 43026, in Dejure; Cass. Pen., Sez. V, 2.4.2003, n. 22419, in Riv.pen., 2003, pp. 999 ss. e in Cass.pen., 2004, pp. 1957 con nota di VALENTINI, Brevi osservazioni in tema di abusivismo finanziario a tutela del mercato, dei risparmiatori e dgli investitori".

[8] Il quale, come noto, dispone che " La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito".

[9] In tal senso, ZANNOTTI, op. cit., pp. 364-365.

[10] Cfr, per tutti, ALESSANDRI (a cura di), op. cit., pp. 223-224.