ISSN 2039-1676


16 aprile 2014 |

Al vaglio delle Sezioni unite la natura dei termini per la richiesta di giudizio immediato: un'inaspettata autocritica da parte della Cassazione

Cass., Sez. I, ord. 5 novembre 2013 (dep. 31 marzo 2014), 14774, Pres. Vecchio, Rel. Bonito, Ric. Squicciarino

1. Con un'ordinanza tutt'altro che scontata, la Cassazione ha fornito un'interpretazione innovativa dei presupposti temporali che regolano la richiesta di giudizio immediato.

Nel caso di specie, il pubblico ministero aveva presentato istanza di accesso al rito speciale, abbondantemente oltre i termini previsti dal codice, basandola - fra l'altro - su atti investigativi (consulenze medico-legali e intercettazioni) depositati soltanto il giorno precedente. La difesa dell'imputato eccepiva l'illegittimità di siffatto modus agendi: secondo la giurisprudenza, infatti, i limiti temporali, fissati per la presentazione della richiesta di giudizio immediato, sarebbero perentori almeno in relazione all'esaurimento delle attività investigative, su cui la richiesta stessa viene fondata.

In breve, affermava il ricorrente, quelle consulenze e intercettazioni, in quanto compiute (o, quantomeno, depositate) al di là dei predetti termini, non avrebbero potuto essere allegate all'istanza della parte pubblica.

 

2. La Corte, dopo aver illustrato la vicenda processuale, decide di non addentrarsi nel merito del ricorso e indaga pregiudizialmente la natura dei termini per la richiesta di giudizio immediato, di cui la difesa aveva eccepito l'inosservanza.

Il nostro codice - viene anzitutto ricordato - prevede due diversi modelli di tale rito speciale: il primo, definito "ordinario", può essere chiesto, dal pubblico ministero, entro novanta giorni dalla iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. (art. 454, comma 1, c.p.p.); il secondo, invece, detto "custodiale", «entro centottanta giorni dall'esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare» (art. 453, comma 1, bis, c.p.p.)[1].

Un consolidato orientamento giurisprudenziale - spiega la Cassazione - ritiene che entrambi questi termini abbiano «carattere tassativo» soltanto «per quanto attiene al completamento delle indagini»; gli stessi avrebbero invece «natura ordinatoria» relativamente «alla materiale presentazione della richiesta»[2]. In altre parole, al pubblico ministero sarebbe consentito trasmettere la domanda di giudizio immediato, anche oltre i limiti temporali fissati dagli artt. 453, comma 1, bis e 454, comma 1, c.p.p.; l'importante è che, entro tali termini, siano stati compiuti gli atti investigativi posti a sostegno della richiesta[3].

 

3. Nell'ordinanza in esame, la prima Sezione ha ritenuto che questo inveterato indirizzo interpretativo debba essere rimesso in discussione.

Innanzitutto, non sarebbe mai stata chiaramente esplicitata «la ragione giuridica» della doppia natura dei termini in questione: si ammette, infatti, che, alcune volte, «ad un primo pronunciamento sulla questione giuridica, anche se non adeguatamente approfondita la problematica connessa, segu[o]no, per le ragioni di nomofilachia alle quali il giudice di legittimità deve sempre fare riferimento, riaffermazioni spesso acritiche di quel medesimo principio».

In secondo luogo, viene posto in rilievo il dato testuale: la lettera del codice non consentirebbe «alcuna differenziazione» fra il tempo imposto per portare a termine le indagini e quello fissato per la richiesta.

Infine, si afferma che sarebbe «contrario al principio di parità delle parti processuali» consentire al pubblico ministero di domandare «a suo piacimento, nei tempi che vorrà», un rito che priva l'imputato dell'accesso all'udienza preliminare; per giunta, una simile potestà si porrebbe anche in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo e con la ratio del giudizio immediato, «caratterizzato dalla rapidità del suo svolgimento».

Pertanto, ritenendo - in contrasto con quanto costantemente sostenuto in giurisprudenza - che i termini di novanta e centottanta giorni, utili per la proposizione della domanda di giudizio immediato, debbano essere considerati perentori anche in relazione alla materiale presentazione della richiesta da parte del pubblico ministero, la Cassazione ha scelto di rimettere la questione alle Sezioni Unite.

 

4. La conclusione a cui è giunta la Corte, a un primo esame, è senz'altro convincente.

Esaminando la giurisprudenza di legittimità, si scopre che la tesi della doppia natura dei termini per la richiesta di giudizio immediato si è sviluppata nei primi anni della vigenza del codice Vassalli e si basava sulla valorizzazione di una presunta «ratio» giustificatrice del rito in questione, allora codificato nella sola ipotesi "ordinaria"[4].

Tale forma di giudizio immediato - si affermava - mirerebbe all'elisione dell'udienza preliminare, esclusivamente nel caso in cui, «in ragione dell'evidenza della prova», siano «sufficienti accertamenti di breve respiro». Per questo motivo, l'inosservanza del termine previsto dall'art. 454, comma 1, c.p.p. andrebbe sanzionata solo se dipesa dalla necessità di svolgere ulteriori indagini; soltanto in tal caso, infatti, verrebbe meno il presupposto della brevità della fase investigativa. Al contrario, la mera esitazione del pubblico ministero, a indagini però già concluse nei predetti termini, costituirebbe una semplice irregolarità, priva di conseguenze[5].

Questa linea interpretativa - come osservato nell'ordinanza in esame - è stata acriticamente seguita negli anni successivi, per essere poi adottata anche in relazione all'ipotesi di giudizio immediato "cautelare", introdotta dal d.l. n. 92 del 2008: l'obiettivo del nuovo istituto - ha affermato la Cassazione - sarebbe quello di «limitare il rischio di scarcerazioni per decorrenza dei termini di custodia cautelare», imponendo, alla parte pubblica, un veloce esaurimento delle attività investigative, «al fine di poter celermente esercitare l'azione penale»; per questa ragione, a causa di una pretesa «identità di ratio e di scopo» fra le due forme del rito, il principio di diritto affermato per il giudizio immediato "ordinario" è stato applicato anche alla nuova ipotesi "custodiale"[6].

 

5. A ben vedere, tuttavia, le argomentazioni sottese a questo indirizzo ermeneutico manifestano una palese illogicità: posto che l'obiettivo del giudizio immediato è indiscutibilmente l'accelerazione dei tempi del procedimento, non ha alcun senso obbligare il pubblico ministero a concludere rapidamente le indagini, ma poi consentirgli di posticipare, a proprio piacere, la richiesta del rito. In altri termini, non serve a nulla contrarre fortemente un momento procedimentale, se poi non si pone alcuna limitazione a quello successivo.

L'eventuale ritardo nell'esercizio dell'azione penale compromette la speditezza processuale, tanto quanto una lunga fase investigativa; insomma, al fine di garantire una rapida definizione dei procedimenti, è necessario che sia le indagini preliminari, sia l'esercizio dell'azione penale vengano sottoposti a un unico e perentorio termine, come del resto pare prevedere il codice.

Oltre a pregiudicare un'effettiva possibilità di velocizzare i procedimenti, l'interpretazione maggioritaria sembra anche ledere il diritto di difesa: se il giudizio immediato potesse essere richiesto in qualsiasi momento, senza alcun limite temporale, la persona sottoposta alle indagini si ritroverebbe costantemente in balia delle scelte del pubblico ministero, non potendo mai fare affidamento sul regolare svolgimento dell'udienza preliminare.

Non meno rilevante pare la lettera della legge: effettivamente le espressioni contenute negli artt. 453, comma 1, bis e 454, comma 1, c.p.p. («il pubblico ministero richiede il giudizio immediato [...] entro centottanta giorni dall'esecuzione della misura» e «entro novanta giorni dalla iscrizione della notizia di reato [...], il pubblico ministero trasmette la richiesta di giudizio immediato») sono inequivoche e non sembrano affatto far emergere il "doppio volto" dei termini anzidetti[7].

Infine, la circostanza che né l'art. 453, né l'art. 454 c.p.p. prevedano espressamente una sanzione per l'inosservanza dei limiti temporali, in essi contenuti, non sembra particolarmente significativa: l'art. 455 c.p.p., infatti, «nel prefigurare come possibile epilogo del controllo giurisdizionale sulla richiesta di giudizio immediato il rigetto della stessa, evoca necessariamente un "modello legale" a cui va commisurata la regolarità dell'iniziativa del pubblico ministero»[8]; in sostanza, non si comprende per quale ragione il giudice per le indagini preliminari, chiamato a valutare la ritualità della richiesta formulata dal rappresentante dell'accusa, dovrebbe arbitrariamente ritenere mera irregolarità il mancato rispetto dei termini per la presentazione della stessa.

 

6. Nonostante questi evidenti rilievi, alcuni ritengono comunque corretta l'interpretazione offerta dalla giurisprudenza: in caso contrario, si sostiene, «verrebbe di fatto ridotto» lo spazio per il compimento delle indagini; inoltre, in alcune circostanze, sarebbe opportuno concedere al pubblico ministero un più ampio «spatium deliberandi»[9].

Sebbene queste considerazioni possano avere un qualche pregio, sono comunque troppi - come si è visto - gli inconvenienti sistematici che si presentano a fronte della mancata apposizione di confini nitidi alla possibilità di scelta del pubblico ministero. Oltretutto, così come la facoltà dell'imputato di accedere ai riti speciali è caratterizzata da limiti precisi e invalicabili, è ragionevole che anche le scelte del pubblico ministero siano temporalmente circoscritte, in maniera altrettanto severa.

In definitiva, interpretazioni giurisprudenziali, basate su una supposta ratio del giudizio immediato, non possono costituire il pretesto per ampliare i margini di manovra del pubblico ministero e fornirgli "armi" supplementari, o strumenti di "pressione", non previsti dalla legge processuale.

 

7. La decisione della prima Sezione, oltre a essere condivisibile per le motivazione appena illustrate, presenta anche profili di apprezzabile originalità.

Capita infatti di rado che un orientamento costante nel tempo e di ventennale adozione venga improvvisamente messo in discussione e subito portato davanti al giudizio delle Sezioni unite. Succede altrettanto infrequentemente che la Cassazione decida di ritornare sui propri passi, riscoprendo la lettera del codice e affermando che, forse, la propria interpretazione - per quanto unanime e consolidata - se ne sia distaccata troppo. Per tali ragioni, questa ordinanza è certamente inconsueta.

È invece sorprendente laddove sembra lasciar trasparire che certi indirizzi interpretativi si protraggono nel tempo, soltanto per una sorta di fedeltà al "precedente", senza che sia stata attentamente valutata, di volta in volta, l'attualità e l'affidabilità della fonte da cui provengono.

Potrebbe forse trattarsi di un primo passo verso la rivisitazione di altri orientamenti della Corte di legittimità, che - benché ormai cristallizzati - possono apparire poco aderenti ai dettami codicistici.

 

 


[1] Per approfondire le differenze fra le due forme di giudizio immediato, si vedano, fra gli altri, T. Bene, Giudizio immediato, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, vol. IV, Procedimenti speciali. Giudizio. Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, t. I, Procedimenti speciali, a cura di L. Filippi, pp. 403-408, 426-430; A. Claudiani-M. Messeri, Il giudizio immediato, Milano, 2012, pp. 33-48; L. Varanelli, Il giudizio immediato, in I procedimento speciali, a cura di A. Bassi-C. Parodi, Milano, 2013, pp. 637-654.

[2] Si vedano, ex multis, Cass., sez. I, 26 ottobre 2010, n. 45079, in C.E.D. Cass., n. 249006, in relazione all'ipotesi di giudizio immediato "ordinario"; Cass., sez. VI, 20 ottobre 2009, n. 2321, in C.E.D. Cass., n. 244858, in merito al giudizio immediato "custodiale".

[3] Per ulteriori approfondimenti, si vedano G. Fumu, Il giudizio immediato, in Riti camerali e speciali, coordinato da S. Nosengo, Torino, 2006, pp. 548-553; G. Pangallo, I procedimenti speciali, Forlì, 2007, pp. 419-420.

[4] Si veda, in questo senso, Cass., sez. III, 26 settembre 1995, n. 273, in Cass. pen., 1997, p. 114, con nota di A. Marandola, In tema di richiesta "tardiva" di giudizio immediato da parte del pubblico ministero, p. 115.

[5] Si veda ancora Cass., sez. III, 26 settembre 1995, n. 273, cit.

[6] In questo senso, si veda Cass., sez. I, 9 dicembre 2009, n. 2321, in C.E.D. Cass., n. 246036.

[7] Nello stesso senso, si veda A. Claudiani-M. Messeri, Il giudizio immediato, cit., p. 55.

[8] Così, testualmente, G. Dean, Sul rispetto del termine per l'instaurazione del giudizio immediato, in Giur. it., 1992, II, c. 523.

[9] In questo senso, si esprime L. Varanelli, Il giudizio immediato, cit., p. 703.