ISSN 2039-1676


27 ottobre 2014 |

La Consulta dichiara incostituzionale l'art. 4 bis ord. penit. laddove non esclude dal divieto di concessione dei benefici la detenzione domiciliare speciale e ordinaria in favore delle detenute madri

Corte Cost., sent. 22 ottobre 2014, n. 239, Pres. e Rel. Tesauro

Per scaricare il testo della sentenza in commento, pubblicata sul sito www.giurcost.it, clicca qui

 

1. Segnaliamo ai lettori l'importante sentenza della Corte Costituzionale n. 239/14, depositata il 22 ottobre 2014, in materia di preclusioni alla concessione della detenzione domiciliare speciale (art. 47-quinquies o.p.) e della detenzione domiciliare ordinaria, in relazione alle detenute madri condannate per taluno dei delitti di cui all'art. 4 bis ord. penit. Con tale arresto, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 bis ord. penit. nella parte in cui non esclude dal divieto di concessione dei benefici penitenziari, da esso stabilito, la misura della detenzione domiciliare speciale prevista dall'art. 47 quinquies e della detenzione domiciliare di cui dall'art. 47 ter, comma 1, lettere a) e b), della medesima legge penitenziaria.

 

2. La questione di legittimità era stata sollevata dal Tribunale di sorveglianza di Firenze, il quale  dubitava della compatibilità dell'art. 4 bis, comma 1, della l. 354/75, con gli artt. 3, 29, 30 e 31 Cost., nella parte in cui vietava la concessione della misura della detenzione domiciliare speciale, prevista dall'art. 47 quinquies o.p. in favore delle condannate madri di prole di età non superiore a dieci anni. Il profilo di illegittimità rilevante è stato individuato dalla Corte nell'irragionevolezza della disposizione - e dunque nel contrasto con l'art. 3 Cost. - nella parte in cui preclude alle detenute madri, condannate per i delitti indicati nel comma 1, art. 4 bis ord. penit. (i c.d. reati di 'prima fascia'), che non abbiano prestato collaborazione con la giustizia ai sensi dell'art. 58 ter, ord. penit., o che non possano invocare le ipotesi di collaborazione impossibile, irrilevante o inesigibile, l'accesso alla detenzione domiciliare speciale, introdotta dal legislatore, con la l. 8 marzo 2001, n. 40, allo scopo di salvaguardare il valore costituzionale della famiglia e il connesso diritto dei minori in tenera età alla convivenza con la madre ed a ricevere un'educazione da parte dei genitori. Ad avviso del giudice rimettente, le esigenze di sicurezza e difesa sociale condensate nella disciplina restrittiva introdotta agli inizi degli anni '90, precludendo l'applicabilità delle misure esterne al carcere alle madri di prole in tener età, oblitera del tutto la finalità di tutela del rapporto di convivenza del figlio minore con la madre in ambiente esterno al carcere, perseguite dall'istituto della detenzione domiciliare speciale, operando in tal modo un irrazionale e discriminatorio sbilanciamento dei valori in gioco, poiché finisce per colpire non già il soggetto detenuto che si rifiuti di collaborare utilmente con l'autorità giudiziaria, bensì una persona incolpevole - quale è il minore - al quale viene precluso l'esercizio del diritto fondamentale a fruire della vicinanza della madre e dell'educazione impartita dal genitore.

 

3. La Corte ha accertato che il compendio normativo sottoposto a scrutinio non potesse essere corretto mediante una lettura costituzionalmente orientata, tale da sottrarre la detenzione domiciliare speciale all'operatività del divieto posto dall'art. 4 bis, ord. penit., non solo per l'inequivoco dato testuale, che riconduce anche tale istituto speciale nel novero delle misure alternative alla detenzione cui si applica il regime restrittivo; ma anche per considerazioni di natura sistematica, considerato che altre misure speciali sono state, dal legislatore, espressamente escluse dal divieto in esame (quale la species di detenzione domiciliare per i condannati affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria di cui all'art. 47 quater, comma 9, della legge n. 354 del 1975).

 

4. Ciò posto, la Corte ha sottolineato che  "nell'economia dell'istituto assuma un rilievo del tutto prioritario l'interesse di un soggetto debole, distinto dal condannato e particolarmente meritevole di protezione, quale quello del minore in tenera età ad instaurare un rapporto quanto più possibile 'normale' con la madre (o, eventualmente, con il padre) in una fase nevralgica del suo sviluppo". Tale interesse - osserva il Giudice costituzionale -  "oltre a chiamare in gioco l'art. 3 Cost., in rapporto all'esigenza di un trattamento differenziato, evoca gli ulteriori parametri costituzionali richiamati dal rimettente (tutela della famiglia, diritto-dovere di educazione dei figli, protezione dell'infanzia: artt. 29, 30 e 31 Cost.)". L'esigenza che la pretesa punitiva dello Stato non arrechi nocumento al valore costituito dalla tutela del minore trova riconoscimento anche in fonti di livello sopranazionale, che qualificano 'superiore' l'interesse del minore, e tale da dover essere considerato 'preminente' nell'ambito delle decisioni giurisdizionali (la Corte richiama, al proposito, l'art. 3, comma 1, Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, e l'art. 24, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo). La disciplina restrittiva sottoposta al vaglio di costituzionalità, dettando una disciplina uniforme, tale da valere indistintamente per le misure a esclusiva finalità rieducativa e per quelle che, invece, inseguono anche obiettivi di tutela di altri beni costituzionali, tre le quali appunto la detenzione domiciliare speciale, realizza un trattamento discriminatorio che contrasta con l'art. 3 Cost., e le cui pesanti conseguenze incidono inoltre su quei valori preminenti che i parametri costituzionali di cui agli artt. 29, 30 e 31 Cost., invocati dai rimettenti, ampiamente tutelano.  

 

5. Alla luce di tali considerazioni, la Consulta conclude che l'omologazione di trattamento che l'art. 4 bis , ord. penit. opera con riguardo a tutti i benefici penitenziari "appare lesiva dei parametri costituzionali evocati", poiché incide - in nome del contrasto della criminalità organizzata - sul valore preminente rappresentato dalla tutela dell'interesse del minore in tenera età "a fruire delle condizioni per un migliore e più equilibrato sviluppo fisio-psichico", traslando "su un soggetto terzo, estraneo tanto alle attività delittuose che hanno dato luogo alla condanna, quanto alla scelta del condannato di non collaborare". In tale prospettiva, il corretto bilanciamento tra gli interessi contrapposti - quello di difesa sociale, sotteso al perseguimento del contrasto alla criminalità organizzata, e quello inerente alla tutela del minore - deve operarsi non già in via astratta, sulla base di presunzioni cristallizzate nel dettato normativo, bensì in concreto, nel senso cioè che il giudice deve verificare nel caso di specie la eventuale sussistenza nella specifica situazione sottoposta al proprio vaglio, la concreta sussistenza del pericolo di commissione di ulteriori delitti da parte della condannata.

 

6. Nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 bis, comma 1, della legge n. 354 del 1975, nei termini sopra indicati, la Corte ha altresì esteso la declaratoria, in via consequenziale, anche alla misura della detenzione domiciliare ordinaria disciplinata dall'art. 47 ter, comma 1, lettere a) e b), della medesima legge, ad evitare che tale misura "avente finalità identiche alla detenzione domiciliare speciale, ma riservata a soggetti che debbono espiare pene meno elevate, resti irragionevolmente soggetta ad un trattamento deteriore in parte qua".