14 novembre 2014 |
Una sentenza assolutoria in tema di sicurezza sul lavoro e responsabilità degli enti ex D.Lgs. 231/2001
Trib. Milano, 26 giugno 2014, VI Sezione penale, Giud. Dott. Raffaele Martorelli
1. In data 26 giugno 2014, il Tribunale di Milano ha pronunciato sentenza assolutoria nei confronti di tutti gli imputati e di tutti gli enti coinvolti in una vicenda processuale, sulla quale si aveva avuto modo di intervenire in due occasioni già nella fase dell'udienza preliminare[1].
Al Giudice si chiedeva di accertare se il tragico investimento, da parte di un treno, del dipendente di una società operante su un cantiere ferroviario fosse riconducibile, come sostenuto dalla Pubblica Accusa, alla violazione della normativa in tema di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e se, pertanto, fosse ravvisabile una responsabilità anche ai sensi del D.Lgs. 231/2001.
Si ricorda che, data l'entità dell'opera, il committente aveva appaltato i lavori ad una società la quale, a propria volta, aveva affidato l'esecuzione di singole attività ad altri enti.
Secondo l'assunto accusatorio, la responsabilità degli enti coinvolti si riconnetteva: i) alla mancata predisposizione di un Piano di Sicurezza e Coordinamento (P.S.C.) idoneo; ii) all'omissione di un adeguato coordinamento tra il Piano operativo di Sicurezza (P.O.S.) della subappaltatrice e il P.S.C.; iii) all'aver consentito la prassi di allestire il cantiere in presenza del binario attivo; iv) al non aver valutato il rischio di investimento nella fase di approntamento di cantiere.
Per quello che più rileva in questa sede, alle tre Società implicate veniva addebitata la violazione degli artt. 5, 6, 25-septies, D.Lgs. 231/2001, in relazione al delitto di omicidio colposo (art. 589, comma 2, c.p.). Tale reato sarebbe stato commesso nell'interesse o vantaggio degli enti medesimi, a motivo dell'inosservanza degli obblighi di adozione di Modelli organizzativi idonei a prevenire l'infortunio mortale verificatosi.
2. Visto il perimetro del presente intervento, preme sin da subito chiarire che, benché gli enti siano stati assolti "perché il reato presupposto non sussiste", il Tribunale meneghino non si è limitato a valutare l'idoneità del coordinamento tra tutte le imprese operanti nel cantiere e ad escludere la commissione di un omicidio colposo da parte delle persone fisiche, ma è entrato ugualmente nel merito dell'adeguatezza dei Modelli organizzativi e della sussistenza, nel caso concreto, di un interesse o vantaggio riconducibili alle persone giuridiche coinvolte.
Sul punto, si permetta di rilevare come a livello logico-giuridico (art. 5, comma 1, D.Lgs. 231/2001) il Tribunale di merito avrebbe ben potuto prescindere dalla valutazione dell'idoneità dei Modelli organizzativi degli enti in questione, focalizzando la propria attenzione solo sull'insussistenza del reato presupposto che aveva ingenerato la contestazione a mente del D.Lgs. 231/2001.
3. Fatta questa considerazione di carattere ermeneutico, si evidenzia come il Tribunale di prime cure abbia, innanzitutto, ribadito che l'adozione di un modello, tanto più scritto, non costituisce un obbligo, ma - utilizzando la terminologia della Relazione ministeriale al D.Lgs. 231/2001[2] - un "onere" rimesso alle valutazioni discrezionali delle persone giuridiche.
Dopodiché, viene preso in esame il Modello organizzativo adottato dalla committente, nei cui confronti era stata, peraltro, modificata l'imputazione nel corso dell'udienza preliminare. In particolare, a fronte dell'iniziale qualificazione dell'autore materiale del reato presupposto quale "soggetto apicale" - art. 5, comma 1, lett. a), D.Lgs 231/2001 - si era poi passati ad una contestazione ai sensi della lett. b) del predetto articolo, con conseguente onus probandi gravante sulla Pubblica Accusa[3].
Il Giudice, nel considerare idoneo il Modello organizzativo formalizzato dalla committente, pone l'accento sul fatto che debba considerarsi "efficiente", benché al momento del verificarsi dell'incidente mortale non fosse aggiornato ai reati richiamati all'art. 25-septies D.Lgs. 231/2001, in quanto era in atto un progetto di aggiornamento del suddetto Modello organizzativo avviato all'indomani dell'introduzione della L. 123/2007[4]. Dall'altra parte, nel corso dell'istruttoria dibattimentale, era stata fornita prova del fatto che il Modello organizzativo vigente all'epoca dei fatti fosse strutturato in modo da rimandare integralmente al comparto procedurale in tema di sicurezza sul lavoro, ed in particolare, alle procedure aziendali in materia di appalti e costruzione. Dunque, il mancato richiamo ai reati in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro doveva considerarsi un vizio meramente formale[5].
Non da ultimo, in sentenza viene dato, altresì, rilievo alle dichiarazioni rese dai componenti dell'Organismo di Vigilanza, dai quali si evinceva che la Società poneva grande attenzione alle tematiche afferenti la sicurezza sul lavoro. Il giudizio di adeguatezza del Modello organizzativo della committente, che pur non recava una specifica menzione dei reati di cui all'art. 25-septies del D.Lgs. 231/2001, si è fondato, altresì, sul principio di esigibilità[6], in quanto al momento dell'infortunio era da poco entrata in vigore la L. 123/2007. Detta norma aveva interpolato nel novero dei c.d. reati presupposto anche l'omicidio colposo e gli infortuni gravi e gravissimi commessi in violazione della normativa in tema di sicurezza sul lavoro. Posto, infatti, che ogni adeguamento del modello organizzativo richiede lo sviluppo di un lavoro complesso, che non può esaurirsi in tempi eccessivamente brevi, l'ente non poteva essere chiamato a rispondere per non essere riuscito a concludere, prima dell'infortunio, il progetto di aggiornamento tempestivamente avviato all'indomani dell'entrata in vigore della L. 123/2007. Anche perché all'epoca dei fatti non era ancora entrato in vigore l'art. 30 D.Lgs. 81/2008, primo strumento normativo che disciplina i contenuti di un modello organizzativo ai fini della sicurezza sul lavoro.
Ad analoghe conclusioni è pervenuto il Tribunale di Milano anche in relazione al secondo degli enti dotato di Modello organizzativo non allineato alla L. 123/2007. Qui l'addebito originariamente mosso nei confronti della Società era a mente della lett. b), dell'art. 5, comma 1, D.Lgs. 231/2001, ritenendo che l'autore materiale del reato di omicidio colposo fosse "sottoposto". In seguito, l'Ufficio Requirente aveva modificato l'imputazione, poiché l'istruttoria dibattimentale aveva messo in evidenza che tale figura fosse meglio qualificabile come apicale. Da qui ne conseguiva il rovesciamento dell'onere della prova previsto dall'art. 6 D.Lgs. 231/2001 ("l'ente non risponde se prova che..."), in forza del quale, si ricorda, l'ente non risponde se non prova di aver un sistema di controllo idoneo e, soprattutto, se è in grado di dimostrare la fraudolenta elusione delle prescrizioni del modello da parte del soggetto apicale (c.d. probatio diabolica).[7]
Inoltre, sempre con riferimento al Modello del secondo Ente, in sentenza viene dato giustamente risalto al fatto che la Società, prima dell'incidente, aveva sviluppato un sistema di gestione della sicurezza secondo lo standard OHSAS 18001 del 2007.
Nulla viene detto, invece, sulla posizione della ditta sub-appaltatrice la quale, a differenza degli altri due Enti coinvolti, non aveva mai adottato un Modello di organizzazione, gestione e controllo ex D.Lgs. 231/2001; questa posizione soggettiva è stata sic et simpliciter mandata assolta, in forza dell'insussistenza del reato presupposto, senza del quale viene meno ogni profilo di addebito a titolo di responsabilità della persona giuridica.
Con riferimento all'interesse o vantaggio, il Tribunale rileva come non sia "stato accertato in alcun modo quale fosse l'interesse che le Società potessero aver nutrito, né tanto meno il vantaggio che avessero potuto conseguire" (pag. 7) dalla morte del dipendente.
La pronuncia in parola parrebbe aderire, seppur non sia espressamente specificato, alla ricostruzione dell'interesse o vantaggio che la giurisprudenza prevalente ritiene più conciliante con la struttura dei reati colposi in cui difetta la coscienza e volontà[8]. Nella fattispecie, è stata infatti dimostrata l'assenza del perseguimento di politiche aziendali di risparmio di spesa in presenza dell'obbligo cogente di disporre misure di sicurezza e di prevenzione, tanto di tipo strutturale quanto organizzativo. Né, a maggior ragione, gli enti coinvolti svolgevano attività di impresa connotata da sistematiche violazioni di norme cautelari ai fini del contenimento degli investimenti in materia di sicurezza in una logica di ottimizzazione dei profitti[9].
4. Il provvedimento in argomento ha, dunque, il pregio di aver valorizzato i Modelli organizzativi dei due enti, ancorché non fossero aggiornati alla L. 123/2007, sul presupposto che le Società avevano dimostrato di avere a cura le politiche in materia di sicurezza sul lavoro, nonché erano stati prodotti documenti di carattere formale (P.S.C., procedure aziendali ecc...).
Da ultimo, si ribadisce che il Tribunale di Milano, nell'escludere la responsabilità amministrativa dipendente da reato "perché l'illecito amministrativo contestato non sussiste", è entrato nel merito dei Modelli organizzativi degli enti che si erano formalmente dotati di tale documento. Ciò, probabilmente, è da ricondursi a due ordini di ragioni: da un canto, l'art. 30 D.Lgs. 81/2008, nel richiamare i modelli adottati ex D.Lgs. 231/2001, richiede un accertamento specifico che determina il sorgere di un sistema di controllo aziendale integrato; dall'altro, non essendo aggiornati i Modelli organizzativi in esame, si è ritenuto correttamente opportuno, comunque, valutarne l'efficacia in un'ottica sostanzialistica volta a valorizzare le politiche aziendali in materia di anti-infortunistica.
[1] P. De Martino, Una peculiare applicazione in udienza preliminare della regola dell'onere della prova in tema di responsabilità degli enti ex D.Lgs. 231/, in questa Rivista, 6 giugno 2012; Reati colposi e 231: manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 25-septies D.Lgs. 231/2001,in questa Rivista, 27 marzo 2012.
[2] Relazione ministeriale al D.Lgs. 231/2001, par. 3.5.
[3] C. E. Paliero, Art. 7 - Soggetti sottoposti all'altrui direzione e modelli di organizzazione dell'ente, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, a cura di M.Levis-A.Perini, Zanichelli, p. 198.
[4] Legge 3 agosto 2007, n. 123, recante disciplina sulle "Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia". Tale norma è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 185 del 10 agosto 2007.
[5] Sul punto, pare interessante la sentenza del Tribunale di Milano, Giudice dell'udienza preliminare, 17 novembre 2009, in questa Rivista, 21 ottobre 2010. Tale pronuncia ha valutato adeguato un modello organizzativo, ispirandosi a canoni d'ordine sostanziale: "Queste considerazioni evidenziano la volontà della Società - giustificata dalla sua dimensione internazionale e dalla delicatezza dei servizi trattati - di adeguarsi alla nuova normativa con una tempestività senza precedenti nel panorama delle aziende italiane del settore costruzioni (...) Questa considerazione appare doverosa in quanto - pur trattandosi indiscutibilmente di valutazioni relative ad illeciti amministrativi e non a illeciti penali commessi da persone fisiche - è evidente che anche nel giudicare la responsabilità delle società, per non cadere in una sorta di responsabilità oggettiva degli enti, occorre verificare l'idoneità del Modello con valutazione ex ante e non ex post rispetto agli illeciti commessi dagli amministratori".
[6] In questo senso, Corte di Appello di Brescia, II penale, del 21 dicembre 2011, secondo cui "la questione del lasso ristrettissimo di tempo (pochi giorni) intercorso tra l'entrata in vigore della norma che ha esteso (anche) alle lesioni colpose la disciplina prevista dal D.Lvo 231/2001 e la data dell'infortunio può essere valutata favorevolmente per la società appellante sulla base del semplice principio che viene comunemente espresso col brocardo latino ad impossibilia nemo tenetur, tenuto conto che la predisposizione ed attuazione di modelli di organizzazione e di gestione ... non poteva umanamente essere attuata ... si tenga presente che il legislatore solo a distanza di mesi dall'entrata in vigore del D.Lgs. 231/2001 aveva dettato (con l'art. 30 del D.Lgs. 81/08) una disciplina specifica circa i contenuti che quei modelli devono necessariamente prevedere".
[7] B. Assumma. - M. Lei, Art. 6 - Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell'ente, in op. cit., p. 166.
[8] In questo senso, Tribunale di Trani - Sezione distaccata di Molfetta, 26 ottobre 2009, in www.rivista231.it. Questa pronuncia ha chiarito che "...una diversa interpretazione priverebbe di ogni intrinseca logicità la novità normativa, essendo ovviamente impensabile che l'omicidio o le lesioni, cagionati per violazioni colpose in materia di sicurezza sul lavoro, possano intrinsecamente costituire un interesse oppure generare un vantaggio concreto per l'ente".
[9] In tal senso, Tribunale di Novara, 1° ottobre 2010, in www.rivista231.it. Tale provvedimento ha chiarito che "non c'è dubbio che solo la violazione delle regole cautelari poste a tutela della salute del lavoratore può essere commessa nell'interesse o vantaggio dell'ente, e cioè allo scopo di ottenere un risparmio dei costi di gestione, mentre l'evento lesivo (in sé considerato, semmai controproducente per l'ente) deve essere ascritto all'ente per il fatto stesso di derivare dalla violazione di regole cautelati. I criteri di interesse o vantaggio devono, quindi, essere riferiti non già al reato (e quindi all'evento di morte o lesione della vittima), bensì alle condotte costitutive di esso, e, quindi, alla violazione di regole cautelare connesse al determinismo dell'evento".