16 febbraio 2015 |
La sentenza d'appello sul caso del terremoto dell'Aquila
Corte d'Appello dell'Aquila, sent. 10 novembre 2014 (dep. 6 febbraio 2015), n. 3317, Pres. Francabandera, imp. Barberi e a.
1. Depositate le motivazioni del secondo grado relative alla vicenda giudiziaria che vede come protagonisti gli scienziati della 'Commissione Grandi Rischi', l'organo consultivo della protezione civile riunitosi a L'Aquila il 31 marzo 2009. I componenti della Commissione - come è noto - erano stati condannati in primo grado a sei anni di reclusione per i delitti di omicidio colposo e lesioni colpose plurime, per aver fornito alle vittime informazioni erroneamente rassicuranti, così inducendole a rimanere in casa la notte tra il 5 e il 6 aprile 2009 e, di conseguenza, cagionandone la morte o lesioni in conseguenza del crollo delle rispettive abitazioni dovuto al terribile sisma che quella notte colpì la citta.
La sentenza di secondo grado ribalta il verdetto del Tribunale, assolvendo sei dei sette imputati e rideterminando la pena dell'unico condannato in due anni di reclusione.
Di seguito, schematicamente, i motivi della decisione.
2. In via preliminare, la Corte d'appello afferma che l'incontro svoltosi all'Aquila nel pomeriggio del 31 marzo 2009 tra gli imputati non fosse qualificabile come riunione della Commissione Grandi Rischi. Le numerose anomalie rispetto ai requisiti che la normativa impone (art. 3 DPCM 23582/2006) - relative, nella specie, al numero dei partecipanti ed alle modalità di convocazione - non consentono di qualificare tale incontro come una formale riunione dell'organo nazionale consultivo in materia di protezione civile. Secondo i giudici d'appello, tale riunione risponde piuttosto alle caratteristiche delle 'ricognizioni, verifiche ed indagini' (anche esse disciplinate dall' art. 3 DPCM 23582/2006, al c. 10) che il capo del Dipartimento di protezione civile può in ogni momento richiedere ai componenti della Commissione Grandi Rischi (pp. 176 ss.).
Da tale affermazione discendono tre conseguenze, in ordine crescente di importanza:
a) in primo luogo, in capo ai partecipanti alla riunione del 31 marzo 2009 non è identificabile alcuna posizione di garanzia in relazione agli eventi di morte e lesioni contestati nel capo di imputazione: una tale posizione, infatti, può derivare agli imputati solo dalla qualifica formale di membri della Commissione. Il che già esclude che possa essere ravvisata in capo agli imputati una responsabilità a titolo omissivo, restando semmai da verificare se e in che misura possa loro attribuirsi una responsabilità a titolo commissivo;
b) in secondo luogo, non è possibile muovere agli imputati una contestazione di colpa specifica in relazione alla normativa dedicata a descrivere i compiti e le funzioni della Commissione Grandi Rischi;
c) infine, e soprattutto, in assenza di una deliberazione che possa correttamente definirsi collegiale e attribuirsi formalmente all'organo CGR, il contributo di ogni partecipante alla riunione deve essere analizzato singolarmente, avendo riguardo al ruolo che ciascuno degli imputati ha tenuto in occasione dell'incontro del 31 marzo 2009 (oltre che, ovviamente, nel lasso di tempo intercorso fra la riunione e il sisma).
Cade, insomma, quel modello di accertamento unitario della responsabilità colposa che costituiva l'architrave della sentenza di primo grado, nella quale - lo ricordiamo - il Tribunale aveva identificato un'unica condotta commissiva, costituita dalla somma delle affermazioni degli imputati, che aveva poi attribuito indistintamente a tutti i partecipanti alla riunione.
3. I giudici del gravame scendono a questo punto in medias res, occupandosi innanzi tutto dei profili di colpa ascrivibili agli imputati e dedicandosi solo in un secondo momento all'accertamento del nesso eziologico intercorrente fra la condotta comunicativa tenuta da questi ultimi e gli eventi lesivi contestati. Il Collegio mantiene, dunque, la singolare inversione dell'ordine naturale di trattazione che già caratterizzava l'operato del giudice di prime cure.
4. Per quanto concerne l'accertamento di una condotta colposa in capo agli imputati, il Collegio ritiene di dover vagliare due diversi profili di responsabilità:
a) una possibile responsabilità per il contenuto delle valutazioni scientifiche svolte durante la riunione tenutasi a l'Aquila il pomeriggio del 31 marzo 2009.
b) una possibile responsabilità per l'(eventuale) attività di informazione della popolazione aquilana.
Sotto il primo profilo - quello relativo alla possibilità di muovere un rimprovero di colpa i partecipanti alla riunione del 31 marzo in relazione alla qualità dell'analisi scientifica svolta - devono essere prese in considerazione unicamente le posizioni dei presenti con competenze tecniche, di coloro cioè che, in sede di riunione, furono chiamati ad esprimere opinioni di merito circa la pericolosità della situazione in atto e le sue potenzialità lesive. Si tratta di tutti gli imputati fuorché De Bernardinis che era intervenuto alla riunione in qualità di vice capo del Dipartimento di protezione civile e si era limitato, pertanto, a svolgere un ruolo 'operativo'.
Per quanto concerne, invece, il profilo dell'attività di informazione, della comunicazione del rischio sismico alla popolazione, un ruolo cruciale fu svolto proprio da De Bernardinis, autore di una intervista all'emittente TV UNO rimbalzata su tutti i media dopo il terremoto (e della quale meglio si dirà).
5. Quanto al primo profilo, la Corte formula la domanda cruciale - in buona sostanza - nei termini seguenti: può la valutazione espressa dagli imputati essere definita scientificamente errata e, dunque, indebitamente rassicurante?
È questa infatti, per i giudici di secondo grado, la condizione in presenza della quale si può rimproverare agli imputati il comportamento da loro tenuto durante la riunione del 31 marzo. «Dal punto di vista degli scienziati, infatti, il fine della riunione non poteva essere che quello di effettuare e riferire alla Protezione Civile, da scienziati quali erano, una corretta valutazione scientifica delle problematiche relative allo sciame sismico in atto, ai fini della previsione e prevenzione delle ipotesi di rischio, nei limiti in cui questa era formulabile a quel momento sulla base dei dati rilevati e seguiti da mesi» (p. 182).
La sentenza censura invece duramente l'argomento della pubblica accusa - accolto dal Tribunale - secondo cui la colpa degli imputati risiederebbe nell'avere svolto una valutazione dei rischi «approssimativa generica e inefficace» al metro dei compiti di previsione e prevenzione normativamente previsti dalla disciplina in materia di Commissione Grandi Rischi.
Come si rammenterà, nell'impostazione accolta dal Tribunale il rimprovero di colpa in ordine alle valutazioni scientifiche svolte dagli imputati era essenzialmente un rimprovero di colpa specifica, ancorato ad un parametro definito dallo stesso giudice di primo grado come esclusivamente normativo: la colpa degli scienziati stava tutta, per il giudice di primo grado, nel non aver rispettato gli obblighi di previsione e prevenzione loro imposti dalla normativa in materia di protezione civile, e in particolare gli obblighi di accurata valutazione dei dati a disposizione ai fini della valutazione del concreto rischio sismico nel contesto urbano aquilano, tenendo conto della particolare vulnerabilità degli edifici ivi esistenti.
Ebbene, tale modello 'tutto normativo' seguito in primo grado è ribaltato in appello (pp. 198 ss.): «la verifica devoluta al giudice [...] deve prescindere dal parametro metodologico di tipo normativo del quale il primo giudice ha dichiarato di volersi avvalere in via esclusiva. E ciò non solo per l'accertata impossibilità di applicare alla riunione de qua lo statuto normativo dell'organo collegiale CGR (cui consegue il venir meno della individuata posizione di garanzia dei suoi partecipanti), ma soprattutto per l'impossibilità di rinvenire nella normativa elencata nell'imputazione un coordinato ed utilizzabile catalogo di regole di condotta che consentano di delimitare con precisione il modello della condotta richiesta agli agenti e di individuare la contestata violazione (colpa specifica)» (p. 200). Le normativa in materia di Grandi Rischi infatti - osservano i giudici - è del tutto priva di contenuto prescrittivo in ordine alla qualità della consulenza che gli imputati erano tenuti a fornire. Né potrebbe essere diversamente - proseguono i giudici -, «non potendo nemmeno ipotizzarsi che sia regolamentabile ex lege il modo, o addirittura il quantum di approfondimento o il contenuto delle valutazioni tecnico scientifiche richieste nei diversi contesti e campi del sapere all'organo consultivo» (p. 201).
L'insostenibilità dell'impostazione seguita in primo grado è d'altra parte immediatamente evidente - osservano i giudici del gravame - se si considera che il Tribunale aveva dedicato una porzione notevole della motivazione all'indagine, in tesi irrilevante, sulla correttezza scientifica delle affermazioni degli imputati, così discostandosi evidentemente delle premesse del suo discorso.
Non avendo tuttavia ritenuto di disporre un accertamento peritale, il Tribunale aveva ritenuto di poter smascherare l'infondatezza scientifica dell'analisi svolta dagli imputati nella sentenza di primo grado basandosi semplicemente su alcune pubblicazioni a firma, tra l'altro, di alcuni di loro. Anche tale scelta presta il fianco ad una serie di censure: «il Tribunale ha scelto [...] di parametrare la colpa degli imputati al loro stesso patrimonio conoscitivo, o meglio alle pubblicazioni di alcuni di loro, alcune delle quali risalenti agli anni '90 del secolo scorso, evidentemente ritenute la 'migliore scienza' anche alla data del 31 marzo 2009, pur in assenza di una conferma scientifica sulla permanente attendibilità di quegli studi, questione di non poco conto in un ambito quale quello della scienza sismologica che, come è emerso, non solo offre ben poche certezze [...] ma, avvalendosi di dati di natura prettamente empirica e statistica, procede per 'salti' [...]. La debolezza di tale impostazione non può che riverberarsi sulle conclusioni cui è pervenuto il Tribunale, anche esse deboli e comunque contraddittorie, come tali inidonee a costituire il fondamento di un giudizio di sussistenza della condotta colposa» (p. 207).
Ai fini della verifica della correttezza o - all'opposto - scorrettezza delle valutazioni espresse dagli imputati nel corso della riunione, occorre però, secondo la Corte, anzitutto comprendere esattamente, in punto di fatto, quali siano state queste valutazioni. A tal fine, la sentenza analizza il verbale ufficiale della riunione ma soprattutto la bozza di verbale (redatta, diversamente dal primo, nei giorni immediatamente successivi alla riunione, e dunque prima che sopravvenisse il terremoto).
I due documenti - che forniscono una quadro attendibile ed effettivo dello svolgimento della riunione - consentono in particolare di evidenziare come nella riunione non si sia mai parlato della pseudo-teoria dello 'scarico di energia', secondo la quale le piccole scosse, così frequenti in quel periodo a L'Aquila, fossero da salutare come un avvenimento positivo in quanto scaricavano energia, diminuendo la potenza delle scosse successive. Tale teoria, contenuta come vedremo nell'intervista precedentemente rilasciata da De Bernardinis a un'emittente televisiva locale, non è dunque attribuibile agli altri partecipanti alla riunione del 31 marzo (p. 189).
Per quanto concerne, invece, la rilevanza attribuita dal Tribunale alla circostanza che due dei tre indicatori di pericolosità sismica - la vulnerabilità (capacità dei beni esposta al rischio di sopportare danni) e l'esposizione (valore d'insieme delle vite umane e dei beni materiali che possono essere perduti o danneggiati) - non fossero stati approfonditi in sede di riunione, ancora una volta i giudici d'appello marcano il proprio dissenso rispetto alle valutazioni del giudice di prime cure. La mancata valutazione di tali indicatori il 31 marzo 2009, non rileva in alcun modo ai fini del giudizio di colpa che dovrebbe in questa sede essere mosso agli imputati. La valutazione scientifica richiesta agli imputati in sede di riunione era - sottolinea la Corte - tutta «incentrata sulla attualità di un aumento del rischio sismico e soprattutto [...] sulla verifica della fondatezza delle previsioni a breve di forti eventi formulate da Giuliani», e cioè del sismologo che nei giorni precedenti - sulla base dello sciame sismico sin a quel momento registrato - aveva lanciato l'allarme circa la possibilità di un'imminente scossa devastante; sicché in sede di riunione sarebbe stato «del tutto irrilevante [...] un approfondimento teorico dei temi della vulnerabilità e dell'esposizione, peraltro patrimonio comune sia degli esperti che dei responsabili della Protezione Civile presenti alla riunione, e quindi premessa ovvia, per quanto implicita, di ogni valutazione loro richiesta» (p. 215). La trattazione di tali temi nel corso della riunione, allora, non avrebbe certamente potuto mutare la valutazione complessiva formulata dagli imputati, né sarebbe valsa a modificare in alcun modo il quadro che gli esperti hanno fornito ai presenti.
Se dunque compito degli esperti riuniti il 31 marzo era unicamente quello di valutare se, alla luce dell'intensa attività sismica dei giorni precedenti, fosse prevedibile una scossa di proporzioni devastanti - ciò che avrebbe fatto scattare il dovere per la Protezione Civile di invitare quanto meno la popolazione a non restare nelle case a rischio di cedimenti strutturali -, l'unica verifica che il Tribunale avrebbe dovuto compiere, e che di fatto non ha compiuto, era quella relativa alla erroneità dell'affermazione - questa sì effettuata dai membri della Commissione che parteciparono alla riunione - relativa all'impossibilità di prevedere una scossa di magnitudo molto superiore a quelle sino a quel momento registrate, alla luce delle migliori conoscenze scientifiche disponibili all'epoca dei fatti.
Obbligata allora la conclusione: nessun rimprovero di colpa può essere mosso agli imputati, «non emergendo alcun dato certo che alla data del 31 marzo 2009 fosse possibile - e quindi doveroso - effettuare valutazioni dei fenomeni sismici in atto diverse da quelle formulate dagli imputati [...] e in particolare che fosse possibile - e quindi doveroso - formulare, per effetto dello sciame sismico in corso, un giudizio di aggravamento del rischio di forti eventi, sempre presente nel territorio aquilano, da anni classificato come una delle zone a più alto rischio sismico in Italia».
6. Per quanto riguarda il secondo dei profili di possibile responsabilità colposa vagliati dalla Corte d'appello - segnatamente, le informazioni diffuse alla popolazione aquilana - il Collegio sottolinea come sull'organo Commissione Grandi Rischi non gravasse alcun obbligo di comunicare gli esiti della riunione. Si trattava, sottolineano i giudici, di un compito affidato in via esclusiva agli organi politici: a questi soltanto, infatti, spettava ogni la decisione non solo sulle iniziative di natura operativa, ma anche sulle modalità di informazione della popolazione, che possono soggiacere a scelte di opportunità e sono soggette a discrezionalità.
L'eventuale rimprovero in relazione alle modalità di comunicazione, allora, non può che essere rivolto a quelli fra gli imputati che, effettivamente, si assunsero l'onere di comunicare all'esterno gli esiti della riunione e non può che essere fondato su una generica imprudenza nell'attività di informazione.
Vengono in rilievo, quindi, le condotte dei soli due imputati che rilasciarono interviste a margine della riunione del 31 marzo 2009: Barberi e De Bernardinis.
Per quanto riguarda l'intervista rilasciata dal primo dei due alle testate 'Abruzzo 24 ore' e 'TV 1' immediatamente dopo la riunione, la Corte d'Appello non ritiene di riscontrare alcuna affermazione che possa definirsi imprudentemente rassicurante. Durante l'intervista, Barberi si limitò a ribadire - in evidente polemica con il 'metodo Giuliani' - l'impossibilità di prevedere i terremoti. Pertanto, sostiene il Collegio, «trattasi di comunicazione in cui un contenuto indirettamente rassicurante può essere ravvisato soltanto nell'aver rimarcato l'infondatezza della previsione a breve di forti scosse prospettata da Giuliani; lo stesso, così come il riferimento allo sciame e alla improbabilità [...] di un aumento della magnitudo, è del tutto rispondente ai contenuti delle valutazioni formulate poco prima da tutti gli esperti nel corso della riunione, della cui correttezza scientifica si è detto». Aggiungono poi i giudici - liquidando così il tema dell'accertamento del nesso di causalità - che «nessun teste ha richiamato le dichiarazioni di Barberi a sostegno della decisione propria o dei congiunti di restare a casa la notte del 6 aprile» (pp. 221 e s.).
Del tutto diversa deve considerarsi, a giudizio del collegio, la posizione di De Bernardinis: «in particolare, egli, attraverso l'intervista che rilasciò all'emittente locale TV 1 prima dell'inizio della riunione degli esperti tenutasi in quella data, diede ai cittadini, senza prima verificarne la fondatezza scientifica, notizie non corrette e imprecise sia sulla rilevanza dell'attività sismica in atto, sia sui suoi possibili sviluppi, affermando che lo sciame in corso si collocava in una fenomenologia senz'altro normale dal punto di vista dei fenomeni sismici che ci si dovevano aspettare, che non vi era pericolo, e che la situazione era favorevole perché era in atto uno scarico di energia continuo» (p. 233 e s.).
Tale condotta fu caratterizzata, a giudizio della Corte d'appello, da colpa generica, e segnatamente: da negligenza, essendosi l'imputato determinato ad esprimere valutazioni scientifiche sull'attività sismica in corso, senza essere un esperto (anzi, essendosi più volte dichiarato incompetente in materia) e senza attendere di verificare, in sede di riunione, la correttezza dei concetti che si accingeva ad esprimere; e da imprudenza, per avere fornito alla popolazione notizie rassicuranti senza che vi fossero i presupposti per farlo (e ciò tanto per la conclamata imprevedibilità dell'evoluzione del fenomeno in atto, quanto per l'inesattezza scientifica della affermazioni relative allo scarico di energia).
Inoltre, afferma il Collegio:
a) che l'imputato era senz'altro in grado di rendersi conto - sulla base di una serie di consolidate massime di esperienza- che da tale sua condotta sarebbe potuto derivare, come prevedibile conseguenza, un effetto di rassicurazione tale da indurre i cittadini aquilani ad 'abbassare la guardia' e modificare cautele e precauzioni fino ad allora scrupolosamente seguite (pp. 255 ss.);
b) che l'evento verificatosi rientrava tra quelli che la norma cautelare violata mirava a prevenire: la regola generale di prudenza nelle situazioni di rischio violata dall'imputato si poneva, infatti, proprio l'obbiettivo di evitare che i cittadini dell'Aquila tenessero, in forza della rassicurazione ricevuta, comportamenti che potessero esporli al rischio di crolli (p. 268);
c) che l'evento era, altresì, senz'altro evitabile: se proprio le dichiarazioni colposamente rassicuranti di De Bernardinis indussero alcuni degli abitanti a rimanere nelle proprie case, allora una comunicazione rispettosa delle generiche norme di prudenza dettate in circostanze di rischio avrebbe impedito il verificarsi degli eventi lesivi (pp. 268 e s.);
d) il comportamento tenuto dall'imputato era da lui esigibile nelle circostanze di tempo e di luogo nelle quali egli agì (p. 269).
7. Esclusa allora la sussistenza di una responsabilità per colpa in capo a tutti gli imputati tranne De Bernardinis, è solo in relazione a quest'ultimo che la Corte d'appello procede a verificare la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta da quest'ultimo tenuta, rappresentata in particolare dall'intervista di cui si è detto, e gli eventi a lui contestati.
La Corte ritiene qui raggiunta la prova di tale nesso, pur discostandosi in parte dal percorso motivazionale compiuto da Tribunale.
Come forse si ricorderà, il giudice di prime cure aveva cercato di applicare al caso di specie lo schema di accertamento seguito dalla sentenza Franzese, individuando una legge scientifica di copertura di matrice antropologica - il c.d. 'modello delle rappresentazioni sociali' - idonea a correlare la condotta agli eventi, e procedendo poi ad escludere possibili decorsi causali alternativi. Solo in subordine, facendo uso del medesimo accertamento bifasico, il Tribunale si era servito di un accertamento basato su massime di esperienza.
Ebbene, i giudici d'appello non ritengono sia possibile utilizzare, ai fini dell'accertamento del nesso eziologico, la legge scientifica in parola: «la legge di copertura di natura sociologica prospettata dall'accusa tramite il proprio consulente, prof. Antonello Ciccozzi, e fatta propria dal primo giudice (il quale pure le ha attribuito un basso coefficiente statistico), difetta invero di adeguata validazione scientifica, con riferimento ai noti criteri della 'controllabilità', 'falsificabilità' e 'verificabilità' della stessa, tenuto conto della percentuale di errore conosciuto o conoscibile, della possibilità che la teoria abbia formato oggetto di controllo da parte di altri esperti in quanto divulgata [...], della presenza di standard costanti di verifica. Detta legge di copertura [...] è stata infatti elaborata ex post dal consulente [...], sulla scorta di dichiarazioni - rilasciate nel corso del processo dai testimoni - selezionate a sua discrezione, in evidente funzione di riscontro e corroborazione di una tesi anticipatamente prospettata [...]. Detta legge di copertura, inoltre, trova origine dallo stesso vissuto del consulente nato e residente in L'Aquila, con conseguente perdita del necessario requisito della terzietà da parte del medesimo» (p. 270 e s.).
Più in generale - osserva il Collegio - la ricerca di una legge di copertura in grado di attribuire un valore generalizzante alle condotte umane si rivela sempre vana, essendo i comportamenti dell'uomo strutturalmente caratterizzati da motivazioni intime e soggettive.
Una tale considerazione, però, non vale di per sé ad escludere la possibilità di accertare in concreto che almeno alcune delle vittime del terremoto di determinarono a rimanere in casa la notte fra il 5 e il 6 aprile 2009 proprio per effetto determinante delle affermazioni, largamente pubblicizzate, di De Bernardinis. A giudizio della Corte, infatti, non può «costituire un ostacolo non superabile all'accertamento del nesso causale la sua natura 'psichica', implicante la sussistenza di un nesso di condizionamento mentale tra la condotta di tipo comunicativo dell'imputato De Bernardinis e la [...] decisione delle vittime, tenuto conto che il condizionamento psichico, nel relazionarsi tra diversi soggetti, costituisce un fenomeno niente affatto raro e appartenente all'esperienza del vivere comune» (p. 273).
Il giudizio circa la sussistenza del nesso eziologico nel caso di specie - prosegue il Collegio - dovrà allora fondarsi su un accertamento che valorizzi le massime di esperienza, ovvero i giudizi di carattere generale formulati sulla base dell' id quod plerumque accidit.
L'accertamento del nesso di causalità dovrà, quindi, svolgersi in relazione a ciascuna vittima, valutando sulla base delle testimonianze raccolte in istruttoria (p. 274):
a) se la vittima abbia effettivamente recepito quale messaggio rassicurante proprio quello promanante dall'imputato (con l'esclusione, dunque, di possibili fonti alternative);
b) se nella formazione della decisione di non fuggire in strada proprio tale massaggio abbia avuto incidenza determinante;
c) e se, infine, si debba ritenere che la vittima, una volta fuggita dall'abitazione, non vi avrebbe fatto rientro (con alto grado di probabilità logica) fino all'ora della scossa distruttiva delle 3.32 del 6 aprile 2009.
Sulla base di tale meccanismo di accertamento viene dunque riscontrato un nesso di causalità fra la condotta di De Bernardinis ed il decesso di tredici delle vittime del sisma (pp. 278 ss.). In relazione alle altre vittime, invece, il legame eziologico viene ritenuto insussistente (pp. 320 ss.).
8. La pena inflitta all'unico imputato condannato è rideterminata dalla Corte d'Appello in due anni di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale; pena «cui si perviene dalla pena base di anni uno e mesi sei di reclusione, ridotta per effetto delle già concesse circostanze attenuanti generiche ad anni uno di reclusione ed aumentata ad anni due di reclusione ai sensi del 4° comma dell'art. 589 c.p.» (p. 383).
Con riferimento alla pena base i giudici precisano che, dal momento che il combinato disposto dei commi 1° e 4° dell'art. 589 c.p. delinea un ipotesi di concorso formale di resti unificati quoad poenam, la determinazione va compiuta - diversamente da quanto effettuato dal Tribunale - in relazione a un solo evento, e non a tutti gli eventi per i quali è stata riconosciuta la sussistenza del nesso di causalità.
Quanto alla riduzione della pena, essa trova giustificazione, nonostante l'enorme gravità del danno cagionato:
a) nel grado della colpa, qualificato come sicuramente lieve;
b) nell'insussistenza della capacità a delinquere dell'imputato;
c) nell'esistenza di concause (seppur non sufficienti a determinare l'evento) rappresentate dalla vulnerabilità degli edifici dovuta al fatto illecito altrui e dalla scossa tellurica distruttiva.