ISSN 2039-1676


27 febbraio 2015 |

La Corte costituzionale afferma il potere del g.i.p. di pronunciarsi ex art. 129, co. 2, c.p.p. nel caso di domanda di oblazione presentata contestualmente all'opposizione a decreto penale.

Corte cost., sent. 9 febbraio 2015, n. 14, Pres. Criscuolo, Rel. Frigo

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1. La Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità relativa all'art. 464, co. 2, c.p.p., nella parte in cui, secondo il diritto vivente, non consentirebbe al giudice di pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p. ove l'imputato, contestualmente all'opposizione a decreto penale, abbia presentato domanda di oblazione. Ciò perché, secondo la Corte, il diritto vivente, in realtà, non impedirebbe affatto una soluzione di questo tipo.

Questa la vicenda. Tre soggetti erano stati condannati, tramite decreto penale, per una contravvenzione in materia ambientale: gli imputati decidevano quindi di presentare opposizione, corredata da memoria difensiva e documenti, chiedendo di essere prosciolti in base all'art. 129 c.p.p.; in subordine, chiedevano di essere ammessi all'oblazione discrezionale di cui all'art. 162-bis c.p.

Secondo il giudice a quo la documentazione prodotta in sede di opposizione forniva la prova evidente che il fatto non costituiva reato, in quanto gli imputati avrebbero agito nell'incolpevole convincimento della piena liceità dell'attività che era stata loro contestata. Tuttavia, lo stesso giudice riteneva di non potersi pronunciare ex art. 129 c.p.p. in sede di opposizione a decreto penale poiché, secondo il diritto vivente, in questa fase procedimentale tale tipo di pronuncia non sarebbe consentito. Le Sezioni Unite della Cassazione, infatti, con sentenza del 25 marzo 2010, n. 21243, hanno espressamente affermato che la sentenza di proscioglimento pronunciata a seguito di opposizione a decreto penale deve considerarsi abnorme, in quanto il g.i.p., una volta emesso il decreto, deve considerarsi spogliato dei poteri decisori di merito, e conserva unicamente quelli di impulso processuale di cui all'art. 464 c.p.p., con l'unica eccezione della decisione sull'eventuale domanda di oblazione. D'altra parte, se il g.i.p. tornasse a esprimersi sul merito della questione, violerebbe l'art. 34, co. 2, c.p.p., nella parte in cui inibisce al giudice che ha pronunciato il decreto penale di tornare a pronunciarsi sulla medesima questione.

Il rimettente, però, non condivide quest'ultima affermazione: dall'art. 141, co. 4, disp. att. c.p.p. si dedurrebbe che, in caso di istanza di oblazione, dovrebbe essere lo stesso giudice che ha emesso il decreto a pronunciarsi sulla stessa, e ciò «a dimostrazione di una valenza del tutto attenuata della clausola di incompatibilità» in questa fase.

Il giudice a quo osserva inoltre come, ai sensi dell'art. 464, co. 2, c.p.p., egli dovrebbe decidere sulla domanda di oblazione prima di poter emettere i provvedimenti finalizzati all'instaurazione del giudizio: con la conseguenza che gli imputati si vedrebbero preclusa la possibilità di una pronuncia nel merito che ne accerti l'innocenza.

L'art. 464, co., 2, c.p.p., violerebbe quindi l'art. 3 Cost., in quanto vi sarebbe un'irragionevole disparità di trattamento tra la fase che segue l'emissione del decreto penale e quella che la precede, ove è invece possibile, ai sensi dell'art. 459, co. 3, c.p.p., una pronuncia ex art. 129 c.p.p. La norma si porrebbe in contrasto anche con l'art. 24 Cost., in quanto la possibilità di ottenere un proscioglimento prima dell'emissione del decreto penale viene sostanzialmente a dipendere dalla completezza o meno delle indagini compiute dal pubblico ministero, senza che sia possibile per la difesa incidere con un apporto successivo. Vi sarebbe una violazione dell'art. 27 Cost., poiché la norma, interpretata secondo il diritto vivente, lederebbe il diritto dell'imputato di conseguire, in ogni stato e grado del procedimento, una piena assoluzione. Infine, sarebbe leso anche l'art. 111 Cost., sia nella parte in cui viene preclusa all'imputato la possibilità di allegare all'atto di opposizione prove della propria innocenza, sia nella parte in cui, in contrasto col principio di ragionevole durata, questi dovrebbe attendere l'instaurazione di un giudizio per ottenere un'assoluzione già scontata sulla base degli elementi a disposizione.

 

2. Come anticipato, la Corte costituzionale ha tuttavia ritenuto la questione infondata.

I giudici ricordano innanzitutto che l'art. 129 c.p.p. è norma che si applica «in ogni stato e grado del processo». Le Sezioni Unite, con la pronuncia del 2010 richiamata dal giudice remittente, hanno però escluso che il g.i.p., in sede di opposizione a decreto penale, abbia il potere di prosciogliere l'imputato ai sensi della citata disposizione, ribadendo quanto le stesse avevano già affermato in precedenza (con sentenza del 25 gennaio 2005, n. 12283), e cioè che l'art. 129 c.p.p. non conferisce al giudice un potere decisorio atipico, ma enuncia una regola generale, destinata a trovare applicazione in modo diverso in funzione della fase processuale in cui ci si trova, e comunque nel pieno rispetto del principio del contraddittorio. Per quanto riguarda il momento dell'opposizione a decreto penale, il g.i.p. non può applicare l'art. 129 c.p.p. poiché ormai privo della possibilità di tornare a pronunciarsi sul merito della questione, con l'unica eccezione della decisione sull'eventuale domanda di oblazione. Il g.i.p., d'altra parte, non può esercitare un potere che si risolverebbe in una revoca del decreto di condanna, che altrimenti avverrebbe al di fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge.

Ciò premesso, la Corte costituzionale rileva però che i principi espressi dalle Sezioni Unite non si applicano all'ipotesi in cui, contestualmente all'opposizione, sia presentata domanda di oblazione. Se così fosse, infatti, si darebbe luogo a un'irragionevole preclusione, poiché la decisione sull'istanza di oblazione, in base alla norma impugnata, è pregiudiziale rispetto ai provvedimenti finalizzati all'instaurazione del giudizio. Di conseguenza, qualora emergesse in modo evidente dalle deduzioni svolte nell'atto di opposizione l'assenza di responsabilità penale dell'imputato, il giudice non potrebbe rilevarla, e sarebbe costretto a imporre all'imputato il pagamento di una somma di denaro in realtà non dovuta.

Tuttavia, rileva la Corte, le Sezioni Unite hanno specificato espressamente che, in caso di richiesta di oblazione contestuale all'opposizione, il g.i.p. conserva, eccezionalmente, i poteri decisori sul merito dell'azione penale. La domanda di oblazione, infatti, determina l'instaurazione di un sub-procedimento che, ai sensi dell'art. 141 disp. att. c.p.p., prevede anche l'interlocuzione del pubblico ministero, di cui deve essere acquisito il parere. Al termine di tale procedimento, il giudice è chiamato a emanare un provvedimento che implica, necessariamente, un esame nel merito dell'imputazione: e ciò tanto più nel caso di oblazione discrezionale, dove deve necessariamente essere valutata la gravità del fatto. D'altra parte, la Consulta condivide quanto affermato dal remittente, e cioè che, in relazione all'oblazione, non opera l'incompatibilità prevista dall'art. 34, co., 2, c.p.p., come si deduce espressamente dall'art. 141 cit.

Non sussistono quindi le ragioni che hanno indotto le Sezioni Unite ad affermare l'inapplicabilità dell'art. 129 c.p.p. in sede di opposizione a decreto penale, poiché nel sub-procedimento di oblazione ben può innestarsi la regola di precedenza della declaratoria delle cause di non punibilità rispetto agli altri provvedimenti adottabili dal giudice; e ciò vale anche per la gerarchia tra le formule delineata dal comma 2 dello stesso articolo.

 

3. Preliminarmente, si deve evidenziare che tanto il giudice remittente, quanto la stessa Corte costituzionale, partono dal presupposto che, anche qualora la domanda di oblazione venga proposta in via subordinata rispetto all'opposizione, sia la prima delle due istanze a dover essere analizzata preventivamente dal g.i.p., e ciò in forza dell'art. 464, co. 2, c.p.p. [1]; ed anzi, è proprio per tale ragione che la norma è stata impugnata, in quanto, nell'ottica del giudice a quo, tale meccanismo avrebbe impedito all'imputato di ottenere un'assoluzione nel merito.

La Corte costituzionale, però, rileva come anche nel sub-procedimento di cui all'art. 141 disp. att. c.p.p. sia possibile per il giudice pronunciare immediata sentenza di assoluzione qualora via sia una prova evidente in tal senso: ciò in quanto l'art. 129 c.p.p. è norma applicabile in ogni stato e grado del processo.

Dunque, il ragionamento della Corte è il seguente: anche se la domanda di oblazione viene proposta in via subordinata, questa deve sempre essere vagliata per prima; ed è in questo procedimento - non in sede di opposizione - che il giudice può pronunciarsi ai sensi dell'art. 129 c.p.p.

 

4. La sentenza annotata è particolarmente interessante dal punto di vista sistematico: la stessa, infatti, stimola l'interprete a verificare se le conclusioni cui essa giunge siano effettivamente compatibili con i principi enunciati negli ultimi anni dalle Sezioni Unite in tema di declaratoria immediata di cause di non punibilità. Si anticipa sin da ora che, a parere di chi scrive, la risposta a tale quesito deve essere positiva.

La prima pronuncia con cui ci si deve confrontare è quella richiamata dallo stesso giudice a quo, con cui, nel 2010, la Cassazione ha statuito che «è affetta da abnormità genetica o strutturale la sentenza di proscioglimento emessa dal g.i.p. successivamente all'opposizione a decreto penale di condanna, poiché il giudice è vincolato in tale fase all'adozione degli atti di impulso previsti dall'art. 464 c.p.p., e non può pronunciarsi nuovamente sullo stesso fatto-reato dopo l'emissione del decreto né revocare quest'ultimo fuori dai casi tassativamente previsti»[2].

Le Sezioni Unite sono giunte a tale conclusione rilevando come, una volta emesso il decreto penale di condanna, il g.i.p. deve considerasi spogliato dei poteri decisori di merito: egli, in caso di opposizione, conserva unicamente poteri di propulsione processuale. Inoltre, ammettere che il g.i.p. possa pronunciarsi ai sensi dell'art. 129 c.p.p. a seguito dell'opposizione significherebbe riconoscergli un potere di revoca del decreto di condanna del tutto atipico ed estraneo all'ordinamento.

Tutto ciò, però, vale con un'eccezione - che è stata correttamente posta in rilievo dalla Corte costituzionale - rappresentata dalla decisione sull'eventuale domanda di oblazione.

Alla luce di quanto appena detto, si devono condividere le conclusioni cui è giunta la Corte costituzionale: la sentenza delle Sezioni Unite del 2010 non preclude al giudice dell'opposizione di riesaminare il merito della vicenda qualora vi sia una contestuale domanda di oblazione.

Quando poi, nel corso di questo sub-procedimento, emergessero ragioni evidenti per la pronuncia di una sentenza più favorevole, non si vede perché non dovrebbe applicarsi il secondo comma dell'art. 129 c.p.p., norma che, come sottolineato dalla Corte costituzionale, esprime un principio generale, valido in ogni stato e grado del processo, e quindi applicabile anche ove non espressamente richiamato[3]. Del resto, è proprio questo l'argomento principale in base al quale la dottrina che si è occupata del tema ha ritenuto che l'art. 129 c.p.p. sia applicabile anche nel procedimento di oblazione, benché l'art. 141 disp. att. c.p.p. non vi faccia riferimento[4].

La decisione della Corte costituzionale appare pienamente conforme anche ai principi espressi da un'altra pronuncia delle Sezioni Unite, anch'essa richiamata, con la quale i giudici di legittimità hanno affermato il principio secondo cui il g.u.p., una volta investito della richiesta di rinvio a giudizio da parte del pubblico ministero, non può adottare un provvedimento ex art. 129 c.p.p. senza aver dato previamente corso all'udienza preliminare. Ciò perché l'immediata declaratoria delle cause di non punibilità, operando in ogni stato e grado del processo, presuppone il contradditorio tra le parti; di conseguenza, la sentenza emessa de plano sarebbe nulla per violazione delle lettere b) e c) dell'art 178 c.p.p., incidendo negativamente sia sulla partecipazione del pubblico ministero, sia sulle facoltà che l'imputato potrebbe far valere solo in sede di udienza preliminare[5].

Come rilevato da tutti gli interpreti che hanno commentato la decisione, l'argomento principale che ha portato le Sezioni Unite ad adottare tale soluzione è quello secondo cui l'immediata declaratoria delle cause di non punibilità «non può e non deve penalizzare il principio del contraddittorio, apprezzato come esigenza preminente sul piano dei valori da tutelare e inteso non solo come metodo di formazione della prova, ma anche come diritto delle parti all'ascolto»[6]. Ciò è confermato dagli artt. 68, 69, 444 e 469 c.p.p.: in tutte queste ipotesi, in cui il legislatore rinvia all'art. 129 c.p.p., è espressamente prevista l'interlocuzione tra il giudice e le parti. Tale conclusione appare pienamente coerente con l'idea espressa da quella dottrina secondo cui il termine "processo" utilizzato dall'art. 129 c.p.p. farebbe riferimento non solo alla necessità che vi sia stato l'esercizio dell'azione penale, ma anche un'esplicazione del contraddittorio, inteso come «collaborazione triadica»[7] tra le parti. L'unica eccezione, in questo senso, è data dall'art. 459, co. 3, c.p.p. in materia di decreto penale, ma qui la deroga è giustificata se si tiene conto del fatto che ci si trova di fronte a un procedimento in cui il contraddittorio è solo eventuale e comunque rinviato a una fase successiva.

La Corte costituzionale sembra aver tenuto conto proprio di questo fondamentale diritto all'ascolto nella parte in cui ha sottolineato che, nel procedimento di oblazione, delineato dall'art. 141 disp. att. c.p.p., è espressamente previsto che debba essere acquisito il parere, obbligatorio, pur se non vincolante, del pubblico ministero.

 

5. È interessante poi notare come la decisione della Corte costituzionale non si ponga in contrasto nemmeno con la pronuncia delle Sezioni Unite con cui si è stato affermato che, in sede predibattimentale, non può trovare applicazione il secondo comma dell'art. 129 c.p.p.[8] Qui le parti hanno non solo il diritto all'ascolto, ma, ai sensi dell'art. 469 c.p.p., possono anche opporsi alla pronuncia di proscioglimento anticipata; tuttavia, una sentenza di assoluzione nel merito non è possibile in questa fase, poiché la stessa presuppone, secondo i giudici di legittimità, l'instaurazione di un giudizio in senso proprio, e quindi del dibattimento. «In verità l'art. 129 c.p.p., allorché fa riferimento ad "ogni stato e grado del processo", deve essere inteso in relazione al giudizio in senso tecnico, ossia al dibattimento di primo grado o ai giudizi in appello ed in Cassazione, perché quelle sono le fasi in cui si instaura la piena dialettica processuale tra le parti e si dispone di tutti gli elementi per la scelta delle formule assolutorie più opportune»[9].

Tale ultima affermazione, a prima vista, potrebbe sembrare in contrasto con quanto affermato dalla Corte costituzionale in merito all'applicabilità del comma 2 dell'art. 129 c.p.p. durante il procedimento di oblazione; ma, a guardar bene la motivazione, non è così. Le Sezioni Unite, in questa pronuncia richiamano quanto affermato in una decisione, ormai risalente, della Corte costituzionale, con la quale la stessa, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell'art. 469 c.p.p., aveva ben rilevato come i poteri del giudice mutano in funzione della fase processuale in cui ci si trova e della piattaforma conoscitiva a sua disposizione[10]. Nella fase predibattimentale appare ipotesi quasi impossibile da immaginare che il giudice - tramite il solo fascicolo per il dibattimento, certamente ancora scarno - abbia a disposizione elementi tali da portare a un'immediata assoluzione del merito[11].

Diverso il caso del g.i.p., chiamato ad esprimersi in sede di opposizione a decreto penale e contestuale domanda di oblazione: egli infatti può utilizzare tanto l'intero fascicolo del pubblico ministero, quanto gli eventuali documenti prodotti dalla difesa.

 

6. Dunque, dall'analisi delle tre pronunce delle Sezioni Unite di cui si è detto, si può concludere rilevando come, per una pronuncia ex art. 129, co. 2, c.p.p., sia necessario non solo rispettare il fondamentale diritto all'ascolto delle parti, ma anche disporre di una base cognitiva adeguata; ed entrambe le condizioni appaio rispettate nel caso di domanda di oblazione proposta contestualmente all'opposizione a decreto penale.

Negare in questo contesto la possibilità di pronunciare immediata sentenza di assoluzione, pur di fronte all'evidenza della prova dell'assenza di responsabilità penale, pregiudicherebbe il diritto dell'imputato a essere assolto dall'accusa, specie se si tiene conto del fatto che, come visto, qualora sia proposta istanza di oblazione congiuntamente all'opposizione a decreto di condanna, il g.i.p. è sempre tenuto ad analizzare preventivamente la prima delle due richieste. Se, dunque, il giudice non potesse pronunciarsi in questa sede in base all'art. 129, co. 2, c.p.p., sarebbe costretto a dichiarare estinto un reato che non è avvenuto, imponendo per giunta il pagamento di una somma di denaro non dovuta. Ma tale conclusione sarebbe palesemente contraria al principio del favor innocentiae espresso proprio dalla norma di cui si discute.

Più in generale - e per concludere - si deve rilevare come la soluzione prospettata dalla Corte costituzionale sia coerente con l'interpretazione secondo cui l'art. 129 c.p.p. esprimerebbe non tanto un compromesso, quanto piuttosto una sintesi, tra il principio del contraddittorio e quello della ragionevole durata del processo. In questo senso, omettere un'immediata declaratoria di assoluzione - qualora il giudice disponga di una base conoscitiva adeguata e abbia proceduto ad ascoltare le parti - significherebbe solo imporre sofferenze inutili all'imputato: con chiara violazione dei principi del giusto processo, così come delineato dall'art. 111 della Costituzione[12].

 


[1] Sembra conforme a tale soluzione Cass., sez. I, 7 novembre 2014, n. 49439, in DeJure; ma vi è anche un precedente in senso contrario, secondo cui l'istanza di oblazione, proposta in via subordinata all'opposizione, sarebbe inammissibile (Cass., sez. III, 24 febbraio 2011, n. 12518, in CED Cass. n. 249788). Tale ultima sentenza, però, riprende a sua volta un ulteriore precedente con cui i giudici di legittimità avevano ritenuto inammissibile la domanda di oblazione proposta in sede di opposizione in via subordinata e all'esito del giudizio abbreviato «nell'ipotesi in cui non fosse stata emessa declaratoria di assoluzione dell'imputato» (Cass., sez. III, 12 ottobre 2006, n. 39350, ivi, n. 235499). Quindi, si vede come in questa pronuncia la domanda di oblazione sia stata dichiarata inammissibile perché subordinata, più che alla richiesta di giudizio abbreviato, all'ipotesi in cui il giudice non pronunciasse assoluzione a seguito dello stesso (con evidente tentativo, da parte della difesa dell'imputato, di eludere, aggirandoli, i termini per presentare l'istanza di oblazione).

In generale, sulla domanda di oblazione presentata contestualmente all'opposizione a decreto di condanna, v. A. Marandola, sub art. 464 c.p.p., in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda - G. Spangher, vol. II, Milano, 2010, pp. 6149 e ss.

[2] Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 21243, in Cass. pen., 2010, p. 3765, con nota di A. Scarcella, L'opposizione a decreto penale di condanna priva il g.i.p. del potere di pronunciarsi sull'imputazione; e in Arch. n. proc. pen., 2011, p.68, con nota di A.M. Siagura, Abnormità della sentenza di proscioglimento emessa dal gip a seguito dell'opposizione a decreto penale di condanna.

[3] Lo afferma, riferendosi ai giudizi abbreviato, direttissimo e immediato A.M. Capitta, La declaratoria immediata delle cause di non punibilità, Milano, 2010, pp. 153 e ss. Alle stesse conclusioni giunge F. Falato, Immediata declaratoria e processo penale, Padova, 2010, p. 311. L'autrice rileva come il legislatore richiami l'art. 129 c.p.p. solo nell'ambito dell'applicazione della pena su richiesta delle parti e del decreto penale di condanna per evidenziare che, anche in questi procedimenti, anche se non vi è dialettica, vi è comunque giudizio, nel senso che il giudice non può rinunciare a un accertamento, per quanto sommario, dei fatti di cui all'imputazione (p. 266). Nello stesso senso F. Vergine, voce Cause di non punibilità (immediata declaratoria delle), in Dig. disc. pen., Agg. VI, Torino, 2011, p. 82. Afferma che l'esplicito richiamo all'art. 129 operato dagli artt. 444, co. 2, e 459, co. 3, c.p.p. sia del tutto superfluo, e quindi improprio, esprimendo l'art, 129 c.p.p. un principio generale, L. Scomparin, voce Cause di non punibilità (immediata declaratoria delle), in Enc. dir., Annali, II, t. 2, p. 234.

[4] Si veda R. Lopez, sub art. 141 disp. att. c.p.p., in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda - G. Spangher, vol. III, Milano, 2010, p. 8625. Pur con sfumature diverse, giungono alla stessa conclusione L. Mazza, voce Oblazione volontaria, in Enc. dir., Agg. II, Milano, 1998, p. 640; P. Pomanti, voce Oblazione (diritto processuale), in Dig. disc. pen., Agg. III, N-Z, Torino, 2005, pp. 958-959. Ritiene invece che l'art. 129 c.p.p. non sia applicabile nel procedimento di oblazione, F. Falato, Immediata declaratoria e processo penale, cit., pp. 182 e ss. A fondamento di tale conclusione vi è il rilievo che, nel procedimento di oblazione, non vi è ancora stata un'imputazione e quindi non vi è ancora un processo, come invece richiede espressamente la norma di cui si discute. L'argomentazione è apprezzabile, ma certamente non vale in tutti quei casi in cui il procedimento di oblazione segua il decreto penale: qui l'azione penale è stata esercitata, vi è un'imputazione e, quindi, anche un processo.

In giurisprudenza, afferma che «in sede di valutazione dell'istanza di oblazione la stessa deve essere rigettata dal giudice ove risulti che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, in quanto l'oblazione comporta una rinuncia all'accertamento da parte dell'imputato, ma non esonera il giudice, in fase processuale, dall'applicare il disposto dell'art. 129, comma 2 c.p.p. e in sede di archiviazione dal far prevalere la formula più favorevole» Trib. Verona, Est. Piziali, in Giur. merito, 2004, p. 964.

[5] Cass., Sez. Un., 25 gennaio 2005, n. 12283, in Cass. pen., 2005, p. 1835, con nota di G. Varraso, Richiesta di rinvio a giudizio, proscioglimento immediato e «diritto delle parti all'ascolto»; in D&G, 2005, n. 17, p. 34, con nota di A. Macchia, Proscioglimenti, mai senza contraddittorio, nonché di G. De Falco, Ma il Cpp parla di declaratoria d'ufficio; in Dir. pen. proc., 2006, p. 344, con nota di M. Valieri, Richiesta di rinvio a giudizio e declaratoria di cause di non punibilità; in Giur. it., 2006, p. 363, con nota di L. Iafisco, Il no delle Sezioni unite alla declaratoria immediata di una causa di non punibilità nella fase che va dalla ricezione della richiesta di rinvio a giudizio allo svolgimento dell'udienza preliminare; in Guida dir., 2005, n. 16, p. 71, con nota di G. Leo, La regola della «immediata declaratoria» non sottende una scorciatoia procedurale.

[6] Cass., Sez. Un., 25 gennaio 2005, n. 12283, cit., p. 1840.

[7] L'espressione è di F. Falato, Immediata declaratoria e processo penale, cit., p. 223.

[8] Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2001, Angelucci, in Cass. pen., 2002, p. 1618, con nota di A. Marandola, Mancata opposizione delle parti e appellabilità della sentenza di proscioglimento predibattimentale. Il quesito posto alle Sezioni Unite era, in particolare, relativo all'interpretazione del richiamo all'art. 129, co. 2, operato dall'art. 469 c.p.p.: dalla sola lettera della legge, infatti, è poco chiaro se lo stesso debba essere inteso in senso esclusivo o inclusivo.

[9] Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2001, Angelucci, cit., p. 1680.

[10] C. cost., sent. 21 febbraio 1992, n. 91, in Giur. cost., 1992, p. 895 (la sentenza è commentata da S. Buzzelli, In tema di atti utilizzabili dal giudice ai fini della sentenza predibattimentale ex art. 469 c.p.p., in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, p. 780). L'art. 469 c.p.p. era stato impugnato per violazione degli artt. 3, 101 e 112 Cost. nella parte in cui non consente al giudice di conoscere gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero per pronunciarsi. La Corte costituzionale ha dichiarato la questione non fondata, poiché il giudice del dibattimento ha a disposizione tutti gli elementi necessari per valutare se la causa non doveva essere iniziata, non doveva essere proseguita o se il reato si è estinto. In merito a questi aspetti, inoltre, lo stesso giudice può fare riferimento al contributo delle parti, che devono essere obbligatoriamente sentite.

Deve però essere chiarito che le stesse parti, in questa fase processuale, non possono, semplicemente con le loro argomentazioni, trasferire al giudice il sapere acquisito durante le indagini sul merito dell'imputazione, e ciò coerentemente col principio di separazione delle fasi, che materialmente si manifesta nella separazione dei fascicoli (in argomento v. F. Falato, Immediata declaratoria e processo penale, cit., p. 251). È anche per tale ragione che, in sede predibattimentale, non è possibile pronunciare immediata assoluzione nel merito: perché non vi possono ancora essere né prova, né ascolto, sul punto.

[11] In dottrina, lo rilevano ad es. A.M. Capitta, La declaratoria immediata delle cause di non punibilità, cit., pp. 89-90; P. Rivello, Gli atti preliminari al dibattimento, in Giust. pen., 1990, III, c. 328.

[12] Sul tema, ampiamente, A.M. Capitta, La declaratoria immediata delle cause di non punibilità, cit., pp. 13 e ss. V. anche F. Falato, Immediata declaratoria e processo penale, cit., pp. 30 e ss.; L. Scomparin, voce Cause di non punibilità (immediata declaratoria delle), cit., p. 219; F. Vergine, voce Cause di non punibilità (immediata declaratoria delle), cit., pp. 70-71.