28 luglio 2017 |
Responsabilità delle società per reati alimentari. Spunti comparatistici e prospettive interne di riforma
Contributo pubblicato nella Rivista Trimestrale 4/2017
Il testo riproduce, con integrazioni e l’aggiunta di note, la versione italiana della relazione al convegno «Los dos filos de la espada: humanidad de las penas y tutela de intereses globales», svoltosi il 14 e 15 dicembre 2016 presso la Universidad de Castilla-La Mancha, Ciudad Real.
Abstract. Lo stato attuale del mercato mondiale degli alimenti, dominato dalle multinazionali del settore e caratterizzato da concentrazione societaria, globalizzazione e finanziarizzazione, rende necessario responsabilizzare direttamente le società commerciali per la realizzazione dei food crimes.
Circa la struttura di tale responsabilità, il paradigma basato sulla carente organizzazione interna appare il più adatto allo scopo ed anche il più coerente con la filosofia ispiratrice della fitta regolamentazione europea in materia alimentare, secondo cui i relativi rischi vanno gestiti dalle imprese con un approccio di tipo preventivo, sistematico e documentato.
La questione della scarsa determinatezza dei requisiti giuridici del modello organizzativo di prevenzione del rischio-reato può essere affrontata sia attraverso un’accorta integrazione legislativa, sia recependo, in sede applicativa, gli indirizzi rivenienti dalla normativa europea, dalla soft law internazionale e dalla standardizzazione privata, che vantano una lunga tradizione nel campo dei sistemi di gestione per la sicurezza alimentare.
Il recente progetto italiano di riforma dei reati in materia agroalimentare, elaborato dalla Commissione Caselli, è apprezzabile per lo sforzo di “codificazione” di un modello organizzativo-tipo dell’impresa alimentare (nuovo art. 6-bis del d.lgs. n. 231/2001). Tuttavia, il potenziamento dell’etero-normazione in questo delicato settore, per il modo in cui è stato tecnicamente congegnato, presenta diverse incongruenze e potrebbe sollevare un nuovo sciame di problemi interpretativi.
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Rilevanza empirico-criminologica dei rischi alimentari e necessità della responsabilizzazione diretta dell’ente societario. – 3. I ritardi europei nell’introduzione della responsabilità delle persone giuridiche per i reati agro-alimentari. Il surrogato individualistico: la responsabilità penale dell’imprenditore o amministratore societario. – 4. L’apparente paradosso: la “riscoperta” della responsabilità individuale del corporate officer negli Stati Uniti. – 5. Lo ius novum della responsabilità penale o punitiva degli enti collettivi per reati alimentari nell’Europa continentale. – 6. Quale paradigma di responsabilità delle persone giuridiche per i reati alimentari? – 7. La c.d. colpa organizzativa dell’ente: i requisiti generali del modello organizzativo avente efficacia esimente della responsabilità. Un confronto tra Italia e Spagna. – 8. Parametri di riferimento nella costruzione del modello di prevenzione dei reati alimentari. – 8.1. L’apporto della normativa sovranazionale. – 8.1.1. Il carattere cogente delle procedure europee di sicurezza alimentare nell’ordinamento interno e la soft law ministeriale. – 8.2. Le novità in materia di gestione della sicurezza alimentare al di là dell’Oceano: l’U.S. Food Safety Modernization Act 2011. – 8.3. Il ruolo della standardizzazione privata e della soft law internazionale. – 8.4. Dal sistema di gestione della sicurezza alimentare alla prevenzione del rischio di commissione di reati alimentari. – 9. Le proposte della Commissione Caselli (d.d.l. S. 2231) in tema di responsabilità degli enti da reato alimentare. – 9.1. L’alterazione della logica ascrittiva delineata dal d.lgs. n. 231/2001. – 9.2. Dubbi concernenti i requisiti essenziali del modello dell’impresa alimentare. – 9.3. L’incongrua esclusione dei delitti colposi e delle contravvenzioni in materia alimentare dal novero dei reati-presupposto della responsabilità dell’ente. – 9.4. Imprecisioni lessicali. – 9.5. Il nodo irrisolto dell’organismo di vigilanza sull’attuazione del modello organizzativo nella PMI. – 10. Conclusioni.