ISSN 2039-1676


28 novembre 2017 |

Paolo Lobba e Triestino Mariniello (eds.), Judicial Dialogue on Human Rights. The Practice of International Criminal Tribunals, Leiden, Boston: Brill, 2017, XX, 304 p.

Recensione

1. La recente e fervida proliferazione di tribunali penali internazionali che, negli ultimi decenni, ha investito il diritto internazionale arricchendolo di cospicui e inediti protagonisti non è certamente passata inosservata. Tuttavia, tali nuovi attori della scena globale e la loro notevole giurisprudenza hanno incontrato altra e ben più radicata elaborazione: quella in tema di diritti umani, orbitante intorno a corti regionali ad hoc e organi delle Nazioni Unite. Infatti, sebbene prima facie potrebbe sembrare che queste due realtà siano indipendenti e a sé stanti, in realtà il diritto penale internazionale nasce precipuamente come reazione a gravi e massive violazioni dei diritti umani, dovendo, dunque, tenere in debita considerazione la protezione di questi e gli standard a riguardo enucleati. Di conseguenza, tali realtà non possono atteggiarsi a monadi.

Questa circostanza ha destato una basilare ma fondamentale domanda: in che modo i tribunali penali internazionali si rapportano con la giurisprudenza dei tribunali e degli altri organi operanti nell’ambito dei diritti umani e quali effetti questo rapporto ha sulla giurisprudenza dei tribunali penali internazionali?

 

2. Interamente in lingua inglese, il volume collettaneo Judicial Dialogue on Human Rights. The Practice of International Criminal Tribunals, curato da Paolo Lobba (Università di Bologna) e Triestino Mariniello (Edge Hill University), si pone l’obiettivo di affrontare a fondo tale quesito, andando al di là della retorica che spesso ha investito una tematica non nuova, ma il cui dibattito si presenta come ancora acerbo. Tale dialogo, in particolare, ha suscitato reazioni fortemente altalenanti: da un lato, vi è la convinzione che l’interazione tra corti eviti la frammentazione dei diritti umani e, individuando standard nuovi e uniformi, ne permetta la più attenta protezione; dall’altro, posizioni più critiche si fanno strada, a causa della ritenuta artificiosità di ciò che viene descritto, piuttosto, come un monologo.

L’opera, introdotta da un’importante prefazione del giudice europeo Paulo Pinto de Albuquerque e dal contributo preliminare dei curatori, che funge da preludio agli elaborati susseguenti, si articola in quattro parti. Esse si prefiggono l’obiettivo di analizzare il quid disputandum tramite una caleidoscopica prospettiva d’insieme offerta da quindici diversi autori.

 

3. La prima parte si presenta come fondamento dell’opera tutta, avendo vocazione prettamente metodologica. Il suo scopo è quello di individuare e adottare un sistema di regole condivise che consenta di orientare il dialogo tra i tribunali penali internazionali e le istituzioni operanti nell’ambito dei diritti umani, al fine di ricondurre il fenomeno di cross-referencing a basi dogmatiche e metodologiche solide, generando così un’autentica cross-fertilisation. Muovendo da questa prospettiva, Sergey Vasiliev sottolinea la necessità di individuare una vera e propria “grammatica” di questa comunicazione trans-giudiziaria, che possa indicare se, quando e in che modo i tribunali penali internazionali debbano invocare la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Ciò al fine di evitare, soprattutto, un approccio guidato dal risultato che si intende ottenere e, quindi, abusi erronei o manipolativi di questa giurisprudenza. Le regole individuate da Vasiliev sono di estrema semplicità, ma essenziali e imprescindibili nella loro ferma e necessaria enunciazione, stante la difficoltà spesso mostrata dai tribunali penali internazionali ad aderirvi. Innanzitutto, si enuclea l’urgenza di evitare l’uso, da parte dei tribunali penali internazionali, di false analogie con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. In secondo luogo, viene enunciata la necessità di riaffermare e applicare correttamente i concetti e le formule giuridiche enucleati dalla giurisprudenza della Corte europea. Inoltre, si sottolinea l’importanza di tenere in considerazione il contesto giurisprudenziale di riferimento. Infine, la quarta regola suggerisce di adattare concetti e formule giuridiche quando ciò sia reso opportuno rispetto al contesto e alle circostanze del caso concreto. In questo modo è possibile porre le basi per una metodologia di “judicial dialogue” proficua e fruttuosa.

Diversamente, nel secondo contributo, Julia Geneuss sostiene che la chiave di questo salto di qualità metodologico debba essere il concepimento degli standard dei diritti umani, così come enucleati dalle istituzioni ad hoc individuate per la protezione di questi non come semplici “persuasive authority”, bensì come “directory authority”. Di conseguenza, vi sarebbe la necessità di giustificare casi di deviazioni, al fine di creare standard coerenti con riferimento ai diritti umani, facendo attenzione ad utilizzare un approccio attento al contesto dei tribunali penali internazionali. Christoph Burchard, invece, pone l’accento sul fondamentale ruolo che il metodo comparatistico dovrà avere, operando come un meccanismo di “checks and balances”.

 

4. La seconda parte entra più nel merito della questione, ponendosi il fine di offrire una prospettiva di insieme all’uso della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, vera e propria protagonista del volume, da parte dei tribunali penali internazionali. A tal fine, Volker Nerlich apre questa seconda parte trattando della porta d’ingresso attraverso cui i diritti umani entrano nel sistema della Corte Penale Internazionale, cioè l’articolo 21(3) del suo Statuto, che richiama i diritti umani internazionalmente riconosciuti. La portata fortemente incerta di tale norma è analizzata anche da Cristophe Deprez, che mostra come l’articolo 21(3) dello Statuto renda positivamente obbligatoria la presa in considerazione dei diritti umani da parte della Corte Penale Internazionale. Spostando poi l’attenzione al prezioso antenato della Corte Penale Internazionale, il Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia, Frauke Sauerwein svolge un’analisi quantitativa sui numerosi riferimenti operati da quest’ultimo alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, mettendone in luce le diverse metodologie, portata, scopi ed elementi critici.

 

5. La terza parte del volume tratta, invece, di alcuni dei temi di diritto sostanziale maggiormente investiti dalla dinamica di cross-fertilisation. In primo luogo, Damien Scalia si sofferma sulla portata del principio cardine del nulla poena sine lege, segnalando le interazioni intervenute tra la Corte Penale Internazionale e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul tema, i miglioramenti rispetto all’indirizzo dei tribunali ad hoc e le ancora attuali criticità dettate dall’ampia discrezionalità lasciata ai giudici nella determinazione della pena. Più in dettaglio, i profili dell’accessibilità della norma e della prevedibilità della pena, cuore pulsante del citato principio di legalità, sono criticamente analizzati da Giulio Vanacore per come mal applicati dai tribunali penali internazionali, a confronto dei più convincenti approcci adottati da organismi di protezione dei diritti umani. Alice Riccardi sposta il focus sul dialogo tra la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e i tribunali penali internazionali ad hoc in merito al fondamentale principio di riabilitazione del reo, evidenziando le convergenze tra i due rispettivi filoni giurisprudenziali. Simile analisi viene poi svolta da Elena Maculan sulla definizione di tortura e sulla sua portata nei tribunali penali internazionali, influenzati fortemente dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Il tema è ripreso anche da Elisabeth Santalla Vargas, con speciale riferimento allo Statuto della Corte Penale Internazionale.

 

6. L’ultima parte dell’opera concentra la propria attenzione sul principio del giusto processo come mutuato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nei tribunali penali internazionali e sugli effetti, spesso controproducenti, che sotto tale profilo la cross-fertilisation ha avuto su questi ultimi, stante anche la difficoltà di individuare in merito standard uniformi, data l’attenzione, in questo caso in particolare, della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, al contesto di volta in volta in questione. Come primo esempio di ciò, Yvonne McDermott tratta la questione del testimone assente e del diritto dell’imputato a confrontarsi con i testimoni. In secondo luogo, Yael Vias Gvirsman sostiene come la Corte Speciale del Sierra Leone abbia mal recepito la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo intorno all’ammissibilità e al valore probatorio da attribuire alla prova testimoniale indiretta (c.d. hearsay). Un’influenza ancora più evidente è poi messa in luce da Paolo Caroli, il quale si concentra sulle modalità di esportazione dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo alla Corte Penale Internazionale di un nuovo diritto, cioè il diritto delle vittime alla verità, mettendo a rischio i diritti dell’imputato nel processo penale. Kerstin Braun mette, in seguito, in guardia da un pericolo di “self-cross-fertilisation”, che sembra essere emerso nel tentativo, da parte della Corte Penale Internazionale, di giustificare la partecipazione delle vittime al procedimento.

 

7. Nella molteplicità di riflessioni sollevate e punti di vista presentati, il volume in discorso si pone come un’imprescindibile rosa dei venti delle opinioni che soffiano, da più direzioni, sul tema. Per tale motivo risulta essere una lettura ad oggi necessaria per gli operatori del diritto vicini alle realtà dei tribunali penali internazionali e per chi opera nell’ambito dei diritti umani, così come per l’accademico internazionalista, penalista e comparatista che voglia ben districarsi nella fitta rete di connessioni e collegamenti che le corti di ieri, di oggi e del domani stanno silenziosamente tessendo.

In quanto opera giuridico-scientifica di pregio, questa collettanea non offre al lettore facili e confezionate risposte, bensì solleva ulteriori domande e insinua più elaborati dubbi nella trattazione plurale e polifonica che la caratterizza, invogliando il lettore all’approfondimento, anche con riferimento a realtà regionali diverse da quella della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Nazioni Unite, per certi versi più atte a definire standard universali di diritti umani rispetto alla Corte europea, che ha vocazione regionale.