11 gennaio 2018 |
Prove di dialogo tra psichiatra-psicoanalista e giurista a proposito di neuroscienze e diritto penale
A seguito della pubblicazione dell'articolo a firma di Luca Santa Maria Diritto penale sospeso tra neuroscienze ancor giovani e una metafisica troppo antica abbiamo ricevuto, inviata tramite e-mail, la nota a firma del Dott. Mario Iannucci Le neuroscienze, la "neuropsicologia" e la pretesa "rifondazione del diritto", pubblicata su DPC lo scorso 8 gennaio.
Quello che riportiamo di seguito è lo stimolante scambio di opinioni che è spontaneamente nato tra gli autori dei due contributi.
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02 gennaio 2018, ore 18:22
Caro dottore,
intanto “grazie!” per l’attenzione che ha voluto riservare al mio breve articolo.
Rispondo di getto, accettando quindi che il mio Es e forse il mio Superio prendano il sopravvento sul mio io!
Constato una coincidenza davvero straordinaria. Lei mi scrive di Musil, e proprio in questi giorni sto rileggendo L’uomo senza qualità. Ho riletto con stupore – non me ne ricordavo – il paragrafo 60, che Lei certo conosce benissimo e ciò mi esime dal doverlo citare.
Quella “escursione nel regno logico – morale” di Musil sull’imputabilità vale quasi tutti i libri e articoli che sull’imputabilità hanno scritto i giuristi, o almeno quelli che io ho letto!
Musil – Lei lo scrive chiaramente – è un critico tagliente e feroce della psicologia forense ma ancor prima ma ancor più – e questo nella sua mail è meno chiaramente intelligibile – egli fu implacabile critico della giurisprudenza, cioè del diritto penale e quindi del giudice, che della vita – profonda – dell’uomo – chi è Moosbrugger – non si interessa, anche se, comunque, col diritto penale alla mano, lo condanna a morte.
Di certo lei rammenterà l’altro passo di Musil in cui il geniale scrittore suggerisce che Moosbrugger è l’immagine del sogno collettivo di tutti, anima l’inconscio collettivo, e ciò è tanto vero che nessuno dei personaggi del libro comprende fino in fondo la profondità oscura del proprio interesse affascinato per Moosbrugger.
In Ulrich l’interesse per quello sventurato, che sembra portare su di sé il male di tutti – come un capro espiatorio – è tanto cogente che lo spinge a chiedere che il conte Leisdorf si occupi di lui, di Moosbrugger, prima che di sé, e la ragione è che Moosobrugger non ha colpa – parola di Ulrich – se non per una (in) giustizia che è vecchia di millenni e che nessuno – non per caso – vuol cambiare.
La satira di Musil è così feroce che – ricorderà – le lettere del padre di Ulrich, professore e sedicente riformatore del diritto penale, suonano pompose quanto ridicole, quando il vecchio si affanna – in lizza col collega di università, amico e nemico nella accademia – a giocare con le parole per definire o ridefinire l’imputabilità, mostrando tutta la lugubre impotenza di quei giuochi linguistici che i giuristi fanno ancor oggi, esattamente come ai tempi di Musil (e di Freud).
Il Giudice non può capire l’uomo più di quanto lo possa qualsiasi altro uomo al suo posto – non possiede infatti alcun sapere misterico o spirituale che lo porti a comprendere l’uomo meglio di chiunque altro – ma in verità – questo è il lato tragico del diritto penale – non potrebbe farlo nemmeno se volesse, perché non deve, e non deve perché il diritto penale non glielo chiede, perché al diritto penale non interessa – o almeno non interessa solo di essere – né giusto né utile per l’uomo.
Il diritto penale ha (anche) scopi diversi – raramente chiari alla ragione – e nessuno meglio di Lei può capirlo. Il diritto penale forse è meglio spiegato attraverso Moosbrugger che coi manuali e i commentari!
Il diritto penale – quasi suo malgrado – può concepire quasi solo uomini imputabili! Nessuno deve sottrarsi alla Legge! L’uomo può sempre, con un adeguato sforzo dell’intelligenza e della volontà, resistere alle pulsioni e tenere la barra sulla retta via. Se non vi riesce, è perché non volle abbastanza. D’altra parte punire l’uomo significa – Kant – conferirgli il rispetto che si deve a un soggetto morale. Rammenta l’ironia tagliente del grande scrittore viennese sul punto?
Come avrà certo inteso, io vorrei – sarebbe già molto – aprire qualche spazio di pensiero in cui il diritto penale possa finalmente pensare riflessivamente sé stesso, far risalire alla superficie quella metafisica vecchie di migliaia di anni su cui esso si dice fondato, così come sia possibile discutere quanto sia scopi reali e quanto pretesto ideologico sedicente utilitaristico vi sia dietro la perdurante e sempre meno giustificabile – ammesso che lo sia mai stata – crudeltà che la Società col diritto penale esercita sull’uomo.
Lei considera ridicolo il tentativo delle neuro scienze di capire la mente passando del cervello. La mente, però, senza il cervello non è, il cervello senza la mente può essere. Sebbene migliaia di scienziati nel mondo, in questo momento, cooperano partendo dal postulato che la mente debba essere ridotta al cervello e che questo sia l’unico modo per provare a spiegarla, il suo disincanto potrebbe avere qualche ragione.
Mi spiacerebbe di averLe dato l’impressione d’essere un mistico delle neuro scienze. Non era il mio scopo né il mio pensiero. Intanto perché di neuroscienze in senso stretto io capisco poco o nulla. Come potrei? Come ogni profano cerco di catturare dagli studi di neuroscienze che leggo, l’essenziale delle scoperte intorno all’uomo che da esse posso capire.
Io per primo sono certo che da sola la neuro scienza fa poca strada se non sarà costantemente vivificata da una teoria della mente profonda, quale, probabilmente, solo Freud ha costruito, e/ o da un sapere filosofico che interpreti le conoscenze empiriche.
Il problema mente – cervello è tra i più difficili.
Che la mente non sia quando il cervello non c’è è sicuro almeno quanto il fatto che se il cervello c’è la mente può non essere, è chiaro. Come il cervello produca la mente, invece, è (ancora?) molto meno chiaro.
Potrebbe anche esser vero – io l’ho scritto! – che queste neuroscienze non arrivino mai dove non possono arrivare! Forse la conoscenza totale della fisiologia del cervello non dirà quasi nulla dell’esperienza soggettiva e indicibile che sperimentiamo con la nostra mente. O forse no, arriveremo anche a questo, chi può dirlo? Da sola, però, la psicoanalisi non andrà mai molto oltre la strada che ha già fatto, se non potrà essere corroborata dalla scienza empirica.
Nel mio brevissimo e superficiale articolo, ho citato quegli scienziati come Eric Kandel, Mark Solms, Efran Ginot, Jan Panksepp, che, esplicitamente, stanno cercando nelle neuro scienze il fondamento di molta della straordinaria psicologia che Freud e la psicoanalisi non poterono fondare sulla neuro scienza, perché ai loro tempi questa scienza non c’era.
Esiste, e Lei lo sa meglio di me, una Società Internazionale della Neuropsicoanalisi ed è stato appena tradotto in italiano un volume di Mark Solms sui fondamenti di questa nuova neuroscienza.
Io conosco il mio mondo. Lei conosce il suo.
Anche Lei, però, sa che né Freud né Lacan sono mai entrati nel diritto penale e nelle aule del Giudice.
Non è un caso.
Il diritto penale delimita rigidamente il perimetro dell’Io, e quindi della imputabilità e punibilità, alla coscienza. L’inconscio – una volta che ne fosse ammessa l’esistenza e la rilevanza nella spiegazione dell’azione dell’uomo – sovvertirebbe il diritto penale, perché sovverte l’io, cioè il soggetto della punibilità, che apparirà quel che è, così insostenibilmente debole, così condizionato da processi cerebrali e mentali che non può controllare, che nascono da milioni d’anni di evoluzione e da una vita personale che ha segnato i tratti della personalità in modi che non sempre sono trasparenti alla coscienza. L’io si indebolisce. Un Io allargato all’Es difficilmente potrebbe sostenere, però, il peso della responsabilità senza che quest’ultima, col rimprovero e la punizione, non divenga ingiusta. Rimproverare e punire un uomo, infatti, senza comprendere chi egli sia, e non considerare l’inconscio dell’uomo significa non capire chi sia l’uomo, è disumano!
Musil, Lei ed io, su questo siamo d’accordo.
Che fare, però?
La riforma del diritto penale è possibile solo se cambia la cultura della società, ma cambiare la cultura, probabilmente, richiede che si cambi il diritto penale, che è l’ombra, il lato oscuro della società!
Cambiare? Come?
Punire l’uomo incolpevole è ingiusto, non punirlo può essere altrettanto ingiusto, se riduce il livello della difesa della società contro l’uomo pericoloso. Sostituire la colpevolezza con la pericolosità porta con sé altri dilemmi e altri pericoli.
É un dilemma che può diventare tragico.
Trasformeremo i concetti di imputabilità e colpevolezza per integrarli con una diversa e più realistica immagine dell’uomo? Non è affatto semplice incorporare l’inconscio – cioè i condizionamenti interni che lavorano sotto traccia ma che, sono capaci, come in Moosbrugger, di diventare irresistibili – nei concetti penalistici attuali.
Freud però potrà entrare nel diritto penale e nelle aule dei giudici solo attraverso la porta della scienza empirica. Giusto o sbagliato che sia, la nostra cultura può accettare solo la scienza empirica e la sua razionalità, per quanto sopravvalutata essa sia.
Solo quando la psicoanalisi mostrerà di essere (almeno in parte) vera, cioè empiricamente corroborata dalle scienza del cervello, potrà – forse – cambiare qualcosa nel diritto penale!
Di qui l’importanza, per me almeno, delle neuroscienze.
Come ho scritto nell’articolo, a breve, nascerà una nuova rivista che voglio dedicare quasi per intero al dialogo a tra diritto penale e psicologia, di cui la neuro scienze è una branca.
Mi farebbe gran piacere se vorrà, in futuro, ancora contribuire a questo dialogo che, comunque, deve essere avviato, anche se per ora non è minimamente certo quale ne sarà – se ve ne sarà uno – l’approdo finale!
I miei migliori saluti
Luca Santa Maria
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02 gennaio 2018, ore 23:53
Carissimo Avvocato,
sono io a ringraziarla per una consonanza che era peraltro facile intuire dal suo articolo su DPC. Stasera poche parole per lei, nella speranza di poterle rispondere nei prossimi giorni con maggiore agio.
Una prima rassicurazione: sappia che non c'è nessuna parte del suo articolo che io ho trovato "ridicola". La sua speranza nelle neuroscienze l'ho senz'altro ritenuta spontanea e apprezzabile, intelligente perché ingenua e dunque genuina. Siamo più che disposti a confidare nelle supposte competenze se si soddisfano in questo modo i nostri wishful thinkings (anglicizzare Lacan le sembrerà una eresia!).
Una seconda rassicurazione: proprio perché non dubito minimamente che "se l'umanità potesse fare un sogno collettivo sognerebbe Moosbrugger", confido in un oculato esercizio dell'azione penale. Voglio dire che da sempre, insieme a persone come Alessandro Margara, come Paolo Cendon e come Gemma Brandi, confido nel 'diritto mite' e nella 'coazione benigna' (è nella clinica del diritto che si declina tutto il valore "fondativo" e rivoluzionario di questi apparenti ossimori).
Poi alcune piccole precisazioni: Jacques Lacan ha dedicato lunghi anni al suo lavoro per la Prefettura di Parigi. La sua tesi sul caso Aimée ("La psychose paranoïaque dans ses rapports avec la personnalité", 1932) è una pietra miliare per chiunque intenda occuparsi della "responsabilità". Freud ha avuto esperienze forensi limitate ma intense. Inoltre si è occupato come nessun altro del Presidente di Corte di Appello Daniel Paul Schreber. Le segnalo infine Sándor Ferenczi, che ci ha regalato un patrimonio inestimabile sul tema della "responsabilità".
Una ultima precisazione: proprio perché ritengo che le indicazioni che fornisco nel mio "commento" non siano contraddittorie, la invito a non trascurare l'ironia del mio ricorso al supremo giudizio del giudice! Un caro amico magistrato, che ha ricoperto un ruolo di prestigio nelle istituzioni giudiziarie di questa città, quando scherzai sulla tendenza dei suoi colleghi a ritenere di "essere seduti alla destra del Padre", mi invitò a non avere questo pregiudizio e a valutare le cose con maggiore obiettività: "I giudici, quasi sempre, siedono sopra il Padre!" Eppure, perché abbia una qualche consistenza "l'avvenire della civiltà", occorre che si confidi nella presenza, seppure sporadica, di giudici come Porfirij Petrovič.
In ogni caso la presenza di persone come lei ha, almeno per me, un effetto rassicurante.
Buona notte e buon Anno
Mario Iannucci
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03 gennaio 2018, ore 03:26
Caro dottore,
pare anche a me che le consonanze tra noi siano più delle dissonanze!
Rinviando anch’io ad altri tempi e ad altre ore (!) il prosieguo del dialogo, mi preme comunque sottolineare da subito che confido assai poco nel diritto mite e nella coazione benigna.
Questi sì sono wishful thinkings, poiché, da quel che mi è dato sapere dopo trent’anni di diritto penale, nulla di quanto abbiano promesso quelle belle parole, è mai stato mantenuto.
Non per cattiva volontà, sia chiaro, ma solo perché il problema della violenza nel diritto non è risolvibile con i mezzi del diritto stesso, o almeno di questo diritto penale, che, difatti, non regge la critica riflessiva e la rimuove, perché non può far altro che tutelare la propria buona coscienza con rimedi velleitari – ovvero pezze da attaccare per coprire le falle in fretta e furia magari quando la CEDU ci umilia tutti accusandoci di trattamenti inumani nelle nostre carceri – e/o consolatorie speranze d’essere forse un giorno un po’ meno.....cattivo di quel che è oggi.
Non resta, allora, perché si possa dire di sé di aver vissuto una buona vita, che provare qualche assalto al cielo, qualche pensiero ardito magari troppo ardito.
Come tutte le cose umane il diritto penale come rimedio alle debolezze umane – venute da dentro, la biologia del cervello, e da fuori, ambienti sociali degradati e degradanti – che con l’etichetta del libero arbitrio si sono sempre occultate. Esso è nato e cresciuto, sotto ben determinate contingente storiche religiose sociali e filosofiche, ma come tutte le cose umane anche il diritto penale un giorno morirà.
Che cosa nascerà allora – il libero arbitrio è morto con Dio e con l’anima e con loro è morta la colpevolezza così come il diritto penale l’ha intesa da millenni – è però il vero problema che richiederà per essere compreso pensieri e soluzioni nuove.
Non siamo pronti, però.
Ci vorrà un bagaglio scientifico filosofico giuridico tutto o quasi da inventare. Nessuno, infatti, – questo è anche il bello – potrà sperare di non doversi mettere in discussione e esonerarsi dal riflettere sui limiti delle proprie competenze.
Saremo all’altezza?
Leggerò con molto interesse i documenti che mi ha indicato (la stupefacente autobiografia del giudice Schreber mi era nota, il resto no).
Certo Lei sa che Freud cominciò la sua carriera come neuro scienziato e che, non ricordo dove, ebbe a scrivere che un giorno la neuro scienza avrebbe confermato le sue teorie.
Non è nemmeno possibile – io credo – negare che le neuro scienze possano svelare la via per comprendere altri straordinari misteri della natura umana che nemmeno Freud o Lacan videro.
Forse è vero che ignoriamo ancora come l’LSD agisca sul cervello, ma – credo almeno – nessuno pensa che quella sostanza induca effetti sull’es senza passare dal cervello.
I miei saluti
Luca Santa Maria
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03 gennaio 2018, ore 10:04
Caro Avvocato, vorrei che molti altri – fra gli avvocati, i giudici, i neuroscienziati e gli psicoanalisti – avessero i suoi interessi e la sua energia, persino contro il sonno (quello della ragione è il più temibile: Moorbrugger e Goya docent).
Mi farebbe senz'altro piacere vedere pubblicato su DPC il mio "commento" e il nostro scambio di opinioni. Specie nella speranza che un coro a più voci possa elevarsi su temi che, ahinoi, vengono in genere trattati con una superficialità che sconcerta.
Buona giornata
Mario Iannucci