ISSN 2039-1676


18 dicembre 2018 |

I rapporti tra massoneria e mafia in una recente decisione della Suprema Corte

Nota a Cass., Sez. V, sent. 26 marzo 2018 (dep. 17 luglio 2018), n. 33146, Pres. Sabeone, Est. Riccardi

Contributo pubblicato nel Fascicolo 12/2018

Il contributo è stato sottoposto in forma anonima, con esito favorevole, alla valutazione di un revisore esperto.

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Abstract. A distanza di oltre trent’anni dall’introduzione della fattispecie di associazione segreta ex art. 2, legge n. 17/1982, può affermarsi che questa non ha avuto grande riscontro applicativo. Fatta eccezione per la vicenda legata alla loggia massonica cosiddetta “Propaganda 2”, nel 1982 e, successivamente, per quella dell’associazione segreta cosiddetta “P3”, nel 2010, che in un certo senso ha anticipato l’esistenza di un “Mondo di mezzo” poi acclarato nelle note vicende di “Mafia Capitale” e “Mafia Ostiense”, il delitto di associazione segreta è rimasto sostanzialmente inapplicato fino a quando non sono riemerse, in tempi recenti, forme di contiguità tra la massoneria e la ‘ndragheta. In tale contesto si inserisce la sentenza in commento la cui motivazione evidenzia come la Cassazione pretenda una prova rigorosa dell’esistenza dell’associazione segreta, che non può essere desunta dalla mera esistenza di un’organizzazione massonica e da episodi di contatto con la criminalità organizzata, così riproponendo, al centro del dibattito, il ruolo delle “precomprensioni” sociali del giudice nell’ambito dell’accertamento giudiziale e della loro validità quali massime di esperienza.

SOMMARIO: 1. Il caso affrontato dalla Suprema Corte. – 2. La legge “Anselmi” e l’introduzione del delitto di associazione segreta. – 3. Il fondamento del delitto di associazione segreta e l’obbligo costituzionale espresso di incriminazione. – 4. I reati associativi nel distinguo tra associazione per delinquere e che delinque: l’associazione segreta come fattispecie associativa mista. – 5. La prova dell’esistenza dell’associazione segreta e la irrilevanza penale del “mutualismo massonico”: le condotte interferenti e l’irrilevanza delle condotte meramente influenti. – 6. I rapporti con altre fattispecie incriminatrici. – 7. Conclusioni: il ruolo delle “precomprensioni sociali” nell’interpretazione giudiziale per l’efficacia della norma penale.