ISSN 2039-1676


16 aprile 2019 |

Il riconoscimento "di fatto" dell'ordine europeo di indagine: un'altra censura della Cassazione

Cass., Sez. VI, sent. 7 febbraio 2019 (dep. 2 aprile 2019), n. 14413, Pres. Petruzzellis, Est. De Amicis, ric. Brega

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1. Continua la svalutazione del provvedimento di riconoscimento dell’ordine europeo di indagine penale (OEI) da parte di alcune autorità giudiziarie italiane. E continuano, per fortuna, le censure della Corte di cassazione

Con la precedente decisione n. 8320 del 31 gennaio 2019 – anche essa pubblicata in questa Rivista – la sesta sezione della Corte aveva stigmatizzato la ritardata comunicazione alla difesa del decreto di riconoscimento di un ordine europeo di perquisizione e sequestro emesso dalla Germania in un procedimento per evasione fiscale: una chiara violazione dell’art. 4 comma 4 d.lgs. 21 giugno 2017, n. 108, ai sensi del quale, quando, come avviene per le perquisizioni, la legge italiana prevede “soltanto il diritto del difensore di assistere al compimento dell’atto senza previo avviso”, il riconoscimento dovrebbe essere comunicato “al momento in cui l’atto è compiuto” o, perlomeno, “immediatamente dopo”.

Ancora più grave la trasgressione verificatasi nel caso in esame, relativo ad un analogo OEI sempre di matrice tedesca. Non solo il decreto di riconoscimento non era stato tempestivamente comunicato; esso non era stato neppure formalmente adottato. Negli atti del procedimento era stato possibile rinvenire unicamente l’atto di ricezione dell’OEI, come risultava dall’apposito modulo redatto dall’autorità italiana ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. Un riconoscimento, dunque, di mero “fatto”, in luogo dell’apposito provvedimento che dovrebbe essere emesso entro trenta giorni della ricezione dell’OEI (art. 4 comma 1 del d.lgs.).

 

2. La Corte di cassazione ha, nuovamente, il merito di richiamare l’attenzione sull’importanza del riconoscimento, mirato ad accertare la conformità dell’OEI ai principi fondamentali dell’ordinamento dello Stato di esecuzione e ai diritti fondamentali delle persone coinvolte nelle operazioni istruttorie[1]. Non a caso esso deve essere debitamente motivato, e trasmesso alla difesa in tempo utile per una proficua contestazione tramite l’opposizione al giudice per le indagini preliminari in base all’art. 13 del d.lgs.

Potrebbe generare una pericolosa deriva la pretesa di ritenere equipollente al riconoscimento la sola ricezione dell’OEI: un adempimento materiale che, come ha osservato la Corte, si esplica nella “redazione di un atto dal contenuto prefissato e con finalità meramente informativa in ordine ai dati indicativi dell’OEI e dell’autorità emittente e ricevente”.

Va, poi, deplorato anche il tentativo del giudice per le indagini preliminari che, in questo caso, si era pronunciato sull’opposizione di sminuire l’importanza del riconoscimento, osservando come il d.lgs. n. 108 del 2017 non ne abbia sanzionato l’assenza con nessuna invalidità di ordine speciale. È un ragionamento fondato sul presupposto – fallace – per cui, al di là degli specifici rinvii alle prescrizioni del codice di procedura penale rinvenibili nel d.lgs., il sistema dell’OEI sarebbe tendenzialmente autosufficiente. Il discorso va, in realtà, rovesciato: in mancanza di indicazioni contrarie, devono ritenersi operanti tutte le norme di carattere generale che attengono agli atti processuali penali; una categoria, quest’ultima, a cui senz’altro appartiene anche il riconoscimento dell’OEI effettuato dalle autorità nazionali.

Di qui la piena applicabilità dell’art. 125 comma 3 c.p.p., che colpisce con una nullità la mancanza della motivazione dei provvedimenti giudiziari; nonché dell’art. 178 lett. c c.p.p., che ricollega un analogo vizio alle violazioni del diritto di difesa. Diversamente le norme del d.lgs. sarebbero leges minus quam perfectae, derivandone un regime deformalizzato tale da conferire un’incontrollata libertà nello svolgimento delle attività istruttorie.

 

3. C’è da chiedersi perché dalle prime applicazioni pratiche dell’OEI stia emergendo questa tendenza a forzare le pur chiare scansioni procedimentali delineate dal d.lgs. n. 108 del 2017, omologando il riconoscimento alla ricezione o, come avvenuto nel caso deciso dalla più sopra menzionata sentenza n. 8320 del 2019, all’esecuzione dell’OEI[2].

Si tratta, con ogni probabilità, di un atteggiamento favorito da certi lassismi in passato tollerati con le rogatorie, e motivato dalla comprensibile esigenza di favorire l’efficienza e la rapidità della raccolta delle prove.

È, però, un atteggiamento indifendibile nella misura in cui il rispetto delle regole legislative non pregiudicherebbe in modo sostanziale lo svolgimento delle operazioni istruttorie: un pericolo che, proprio nelle situazioni come quella qui considerata, non sembrerebbe porsi, considerato che l’opposizione della difesa al riconoscimento non è fornita di effetto sospensivo (art. 13 comma 4 del d.lgs.). È, in ogni caso, un atteggiamento non giustificabile. Di fronte a norme ritenute incapaci di bilanciare in modo corretto gli interessi in gioco, la via corretta non è aggirarle ma, nei limiti del possibile, denunciarne l’illegittimità costituzionale.

 


[1] Si rinvia, sul punto, alla trattazione di A. Mangiaracina, Il procedimento di esecuzione dell’OEI e i margini nazionali di rifiuto, in M. Daniele – R.E. Kostoris (a cura di), L’ordine europeo di indagine penale. Il nuovo volto della raccolta transnazionale delle prove nel d.lgs n. 108 del 2017, Giappichelli, 2018, 108 s.

[2] Cfr. M. Daniele, Ordine europeo di indagine e ritardata comunicazione alla difesa del decreto di riconoscimento: una censura della Cassazione, in questa Rivista, 11 marzo 2019.