ISSN 2039-1676


20 giugno 2019 |

Rivista italiana di diritto e procedura penale n. 1/2019

Abstract dei contributi

Con l'autorizzazione dell'editore Giuffrè anticipiamo di seguito gli abstract dei lavori pubblicati nell'ultimo numero della Rivista italiana di diritto e procedura penale (n. 1/2019).

 

DOTTRINA

ARTICOLI

Dolcini E., Pena e Costituzione, p. 3 ss.

Il tema della pena è interessato da molteplici principi costituzionali, tra i quali i principi di inviolabilità della libertà personale, di eguaglianza e di legalità ex art. 25 co. 2: di qui l’esigenza, fra l’altro, che la pena — e la pena detentiva, in particolare — rivestano un ruolo solo residuale; che le comminatorie legali lascino spazio all’individualizzazione della pena da parte del giudice; che la pena pecuniaria sia realmente adeguata alle condizioni economiche dell’agente. Circa le funzioni della pena, l’idea di rieducazione — che della pena esprime la finalità primaria in tutti gli stadi, secondo una lettura alla quale è sostanzialmente approdata, per gradi, anche la Corte costituzionale — va ricostruita alla luce dei lineamenti dello Stato democratico di diritto, laico e pluralista descritto nella Costituzione, nonché del divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, con importanti riflessi sul piano dei contenuti dell’offerta di rieducazione. Dei principi costituzionali vengono peraltro proposte, talora, letture lontane da quella che viene illustrata in questo saggio. Non manca, nella stessa dottrina penalistica, chi ritiene che la pena detentiva, da eseguirsi per la maggior parte in carcere, sia l’unica pena principale costituzionalmente legittima: una tesi di cui l’A. dà conto nella parte finale di questo scritto.

 

Sieber U., Linee generali del diritto amministrativo punitivo in Germania, p. 35 ss.

Accanto al diritto penale tradizionale, l’ordinamento tedesco ha sviluppato un secondo strumento sanzionatorio di tipo punitivo, denominato « diritto delle Ordnungswidrigkeiten » (ossia “violazioni” o “illeciti” amministrativi). Tale sistema consente ad autorità amministrative di irrogare sanzioni patrimoniali prive di effetto stigmatizzante, ma in alcuni casi dotate di notevole contenuto afflittivo. Il saggio analizza la disciplina delle Ordnunsgwidrigkeiten allo scopo di valutarne l’assetto vigente e prospettarne i possibili sviluppi. Dopo una sintetica ricostruzione dell’evoluzione storica del sistema tedesco delle sanzioni amministrative, vengono esposti i dati empirici relativi alla recente applicazione di alcune tra le più significative Ordnungswidrigkeiten. Il saggio prosegue descrivendo in dettaglio la disciplina vigente dell’illecito amministrativo sulla base di una distinzione tra il suo impianto tradizionale, introdotto negli anni cinquanta, e i c.d. “macro-illeciti” amministrativi (o mega-Ordnungswidrigkeiten) apparsi negli ultimi decenni nel diritto tedesco e nel diritto dell’Unione europea. Infine, l’indagine affronta la questione della reale natura di siffatti illeciti e delle relative garanzie, per concludere con alcune riflessioni sulla futura politica legislativa.

 

Gialuz M., Il diritto alla giurisdizione dell’imputato e della vittima tra spinte europee e carenze dell’ordinamento italiano, p. 75 ss.

Nella prima parte del lavoro, l’Autore ricostruisce da un punto di vista teorico il concetto di “diritto alla giurisdizione”. La seconda parte è volta a comprendere come tale garanzia si atteggi per l’imputato e per la vittima di reato nelle fonti della piccola e grande Europa. L’analisi consente di affermare che, nei primi trent’anni di vita del codice di procedura penale, il “bisogno di giurisdizione” è progressivamente aumentato anche in Italia, grazie alla spinta congiunta del Consiglio d’Europa e dell’Unione europea.

 

Consulich F., Stat sua cuique dies. Libertà o pena di fronte all’aiuto al suicidio?, p. 101 ss.

Il lavoro intende prospettare una ragionevole ipotesi di tutela dell’autodeterminazione del paziente con prognosi infausta. Il diritto penale oggi è inadeguato, perché non riconosce il diverso disvalore tra la condotta di istigazione e aiuto al suicidio e sopravvaluta la distinzione tra eutanasia attiva e passiva. La regolazione di siffatti fenomeni impone di costruire un’articolata scriminante, prendendo le mosse dalla considerazione che il suicidio rappresenta una libertà negativa per ogni malato sofferente. Solitamente l’antigiuridicità è la sede della composizione di un contrasto tra beni in conflitto imputabili a titolari differenti; nell’ambito delle decisioni di fine vita gli interessi contrapposti appartengono al medesimo soggetto, sicché ogni intervento dello Stato che voglia evitare un approccio paternalistico dovrebbe limitarsi a verificare (prima) e garantire (poi) l’autodeterminazione dell’individuo, unico reale protagonista del bilanciamento.

Aimi A., Il “Decreto sicurezza” 2018: i profili penalistici, p. 135 ss.

Il decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, meglio conosciuto come “Decreto sicurezza” o “Decreto Salvini” (cui la legge di conversione 1° dicembre 2018, n. 132 ha conferito carattere di definitività) ha introdotto, tra l’altro, alcune novità che possono presentare profili di interesse per il penalista, avendo il legislatore definito nuove fattispecie incriminatrici, modificato reati già esistenti e messo mano ad alcuni istituti che, pur non rientrando strictu sensu nel campo del diritto penale, incidono significativamente sul diritto fondamentale alla libertà personale. Nella presente lavoro, l’Autore analizza le principali novità di interesse penalistico introdotte dal “Decreto sicurezza”, evidenziandone possibili profili di tensione con i principi costituzionali e sovranazionali che limitano la discrezionalità del legislatore ordinario. 

 

Penco E., Limiti-soglia e responsabilità colposa. Il ruolo incerto delle soglie quantitative, dalla colpa specifica al rischio consentito, p. 195 ss.

Tra le varie questioni che la moderna “società del rischio” pone nell’ambito del diritto penale assume rilevanza primaria il rapporto tra la tecnica legislativa dei limiti-soglia e la colpa. Due sono i percorsi interpretativi che possono essere in questo senso tracciati: l’uno volto a considerare i valori-limite quali fondamento della responsabilità colposa, intendendoli alla stregua di parametri normativi sui quali costruire un addebito di colpa specifica; l’altro, invece, teso ad attribuire ai suddetti valori un’efficacia che all’opposto escluda il rimprovero colposo, considerando i limiti-soglia come espressione di un rischio consentito. Nell’analizzare entrambe le prospettive emerge la necessità di soffermarsi preliminarmente sulle problematiche sottese al “diritto penale dei limiti-soglia”, in particolare al fine di far emergere la distinzione fra valori-soglia ispirati al principio di precauzione, da un lato, e limiti quantitativi espressivi di un pericolo effettivo e scientificamente fondato, dall’altro.

 

NOTE A SENTENZA

Leo G., Nuove strade per l’affermazione della legalità costituzionale in materia penale: la Consulta ed il rinvio della decisione sulla fattispecie di aiuto al suicidi, p. 241 ss.

L’aiuto prestato da un attivista dei diritti civili affinché un soggetto completamente immobilizzato potesse suicidarsi in Svizzera ha indotto l’apertura di un procedimento per il delitto di cui all’art. 580 c.p. Il processo ha messo in luce il conflitto drammatico fra esigenze di libertà e dignità della persona ed esigenze di garanzia della vita umana, pur nel passaggio dall’idea della vita stessa come bene pubblico, “appartenente” allo Stato, all’idea che si tratti d’un bene fondamentale della persona, il quale chiede tutela anche in punto di libertà effettiva nell’autodeterminazione. Con una pronuncia interlocutoria, la Corte costituzionale prospetta chiaramente la necessità che la legge consenta, in condizioni date (ed estreme), di interferire in ambiente medico con sequenze causali avviate all’esito mortale. L’annuncio dunque di una parziale illegittimità della norma censurata, dato con un provvedimento che combina la logica del monito con quella della immediata neutralizzazione di un precetto incompatibile con la Costituzione: di fatto, una “sospensione” motivata del giudizio incidentale, nell’attesa che il Parlamento possa esercitare le proprie prerogative.

 

Capone A., Appello dell’imputato contro la condanna. Le Sezioni unite negano l’obbligo di rinnovazione istruttoria, p. 288 ss.

Le Sezioni unite confermano l’orientamento secondo cui la riassunzione della prova dichiarativa in appello è obbligatoria solo dopo un proscioglimento, quando si tratta di superare, ai fini di un’eventuale riforma, la soglia del ragionevole dubbio; non quando ad essere impugnata è una sentenza di condanna. Il metodo di accertamento della verità, perciò, sarebbe asimmetrico. Gli argomenti a sostegno di tale affermazione tuttavia, per quanto ormai consolidati, non risultano del tutto persuasivi. Essi, peraltro, impediscono di mettere a fuoco una significativa disparità tra i poteri delle parti, perché l’imputato, dopo una condanna in primo grado, può veder respinta la sua richiesta di rinnovazione, se il giudice ritiene di poter decidere allo stato degli atti. Nell’argomentare della Corte, tuttavia, s’intravvede sotto traccia, a tutela dell’efficienza del processo, il progetto di attenuare quella disparità, assoggettando anche la richiesta di rinnovazione del pubblico ministero a un vaglio di ammissibilità.

 

Bacco F., Libertà di espressione o vilipendio della religione islamica? A proposito di due discutibili titoli giornalistici, p. 313 ss.

Due recenti sentenze del Tribunale di Milano si interrogano sulla liceità di contenuti espressivi adoperati in articoli giornalistici, riportando all’attenzione il problema di eventuali limiti penali alla libertà di espressione. Viene contestata l’offesa a una religione mediante vilipendio di coloro che la professano: l’esito del processo è l’assoluzione perché il fatto non sussiste. Al di là di tale esito processuale, entrambe le sentenze rimarcano, con motivazioni particolarmente incisive e stigmatizzanti, il disvalore delle espressioni pubblicate, spostando il focus del discorso sul tema delle offese discriminatorie e del discorso d’odio.

 

Santangelo A., Ai confini tra common law e civil law: la prevedibilità del divieto nella giurisprudenza di Strasburgo, p. 332 ss.

Nella decisione Dallas c. Regno Unito, la Corte di Strasburgo esclude all’unanimità la violazione dell’art. 7 CEDU dal momento che l’interpretazione seguita dai giudici del merito non è innovativa bensì, al più, chiarisce l’ambito di applicazione del reato di juror contempt of court, nel pieno rispetto del consolidato orientamento sovranazionale in punto di prevedibilità. Eppure, la vicenda si distingue giacché, poco dopo la condanna, il Parlamento inglese approva un nuovo statuto che positivizza il tradizionale reato di common law allo scopo di sanare proprio le ambiguità della fattispecie. Il caso Dallas, allora, si trasforma in un utile punto di osservazione per saggiare il percorso ermeneutico seguito dal principio di legalità a livello sovranazionale e riflettere su presupposti e oggetto del sindacato di prevedibilità della norma penale.

 

SPECIALE

 

“IL DIRITTO PENALE TRA RECENTI MODIFICHE E PROGETTI DI RIFORMA”

 

Atti del VII Convegno nazionale dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale

(Torino, 9/10 novembre 2018)

 

 

Pulitanò D., Idee per un manifesto sulle politiche del diritto penale, p. 361 ss.

Un manifesto programmatico su principi guida di un diritto criminale/penale ragionevole, sulla linea del congresso dell’AIDP del novembre 2019, può essere un contributo della cultura penalistica italiana di fronte all’inasprimento della legislazione penale, cui si riduce la politica penale populista. Hanno valenza liberale i principi della teoria del reato, che danno forma e limiti al principio di responsabilità. I problemi aperti riguardano le risposte al reato, sulle quali si confrontano concezioni di giustizia diverse. La consapevolezza che il penale è farmakon, medicina o veleno secondo le dosi, fonda l’esigenza di delimitazione secondo criteri di stretta necessità, sia dell’ambito che delle misure di pene detentive.

 

Stortoni L., Il diritto penale sotto il segno dell’efficienza del sistema, p. 379 ss.

La relazione congressuale — di cui il saggio costituisce il testo — tratteggia la politica penale italiana degli ultimo anni, evidenziando come la stessa sia caratterizzata da un progressivo espandersi della penalizzazione e da un costante aumento del rigore sanzionatorio. L’introduzione di nuove fattispecie penali nei più diversi settori dell’ordinamento penale, lungi dall’esprimere un quadro organico riconducibile a sistema, si caratterizza per frammentarietà e irragionevolezza. Ancor più significativamente, le linee di politica legislativa contenuta nel c.d. “contratto di governo” dell’Esecutivo in carica in materia penale, processualpenale e penitenziaria, così come le prime sue realizzazioni — sintomatica la legge c.d. spazzacorrotti — se, da un lato, si inseriscono in questo trend, ne costituiscono, per altro verso, un superamento in senso nettamente autoritario. In questo quadro le stesse proposte espresse dall’ANM manifestano alcune preoccupanti assonanze con queste posizioni.

 

Ambrosetti E.M., Codice e leggi speciali. Progettare una riforma dopo la riserva di codice, p. 397 ss.

Il rapporto fra codice e legislazione complementare costituisce da tempo un tema fondamentale per la riforma del sistema penale. La necessità di un riordino di una normativa speciale cresciuta in modo eccessivo e allo stesso tempo disordinato è comunemente indicata come una priorità per il legislatore. Vi sono, peraltro, due diversi approcci al problema: il primo teso a riportare la centralità del codice, il secondo volto a proporre un ordinamento a sottosistemi, nel quale al codice si affiancano leggi organiche settoriali. Oggi la riserva di codice, introdotta all’art. 3-bis c.p. dalla riforma Orlando, può rappresentare una svolta se intesa non meramente come criterio topografico ma come fattore vincolante il legislatore a rispettare i principi di sussidiarietà ed extrema ratio. In quest’ottica si rende necessaria anche una profonda rivisitazione delle leggi complementari penali non solamente finalizzata ad una riduzione delle disposizioni ed alla eliminazione degli illeciti di scarso valore offensivo, ma anche a risolvere il nuovo problema della duplicazione del trattamento sanzionatorio da parte di fattispecie penali in senso stretto e di illeciti amministrativi.

 

Papa M., Codici e leggi speciali. Progettare una riforma dopo la riserva di codice, p. 417 ss.

Il principio della riserva di codice risponde indubbiamente all’ esigenza di garantire la razionalità sistematica e l’accessibilità del diritto penale, contrastando il caos delle leggi speciali extra codicem. Tuttavia, secondo l’A., la recente introduzione del principio nell’ordinamento italiano pare criticabile. Innanzitutto perché la riforma non è avvenuta in forza di una legge costituzionale, bensì con un mero decreto legislativo (il n. 21 del 2018, che ha introdotto il nuovo art. 3 bis c.p.). In secondo luogo, perché la riserva di codice così come disciplinata, è una novità che corre il rischio di nascere vecchia. Ciò soprattutto a fronte del processo di rapida “digitalizzazione” cui sono investite oggi le fonti giuridiche positive. La digitalizzazione sgancia le norme dal loro tradizionale supporto cartaceo, le affranca dalla struttura rigida di un testo. Di conseguenza, dovrebbero mutare le stesse forme organizzative della legislazione.  Anziché avere in mente i vecchi codici cartacei, riproponendone una non più realistica centralità, il legislatore dovrebbe pensare oggi le norme (penali ma non solo) come elementi di una rete, di un network. Tale network, potenzialmente comprensivo di tutte le norme dell’ordinamento, dovrebbe prendere il posto dei codici tradizionali. Il legislatore dovrebbe dunque occuparsi di “regolare il network”, stabilendo le regole sulle relazioni tra le norme della rete. Una volta definite legislativamente le regole del network, e ferma restando la consueta riserva di legge per quanto riguarda la determinazione dei contenuti delle norme penali, la digitalizzazione consentirebbe all’’interprete, di riassemblare, attraverso apposite playlist, le norme (ad esempio, le fattispecie incriminatrici) di volta in volta rilevanti o utili per le varie finalità argomentative.

 

Demuro G.P., L’estinzione del reato mediante riparazione: tra aporie concettuali e applicative, p. 437 ss.

La riparazione del danno, nel suo rapporto con il diritto penale, può proporsi come pena, senza pena, nella pena e con la pena. Essa è pertanto un concetto relazionale, che non si autogiustifica ma ha sempre bisogno di una specificazione del suo modo di interagire con la pena. In tutte queste versioni risulta comunque problematico il rapporto con il giudizio di colpevolezza e con i fini della pena nel nostro sistema positivo. Dopo aver analizzato queste diverse ipotesi, la relazione prende in esame quello che sembra l’approdo ultimo, l’estinzione del reato per condotte riparatorie (art. 162-ter c.p.). I suoi problemi riguardano l’assenza di discrezionalità del giudice, il campo di applicazione, il ruolo marginale della vittima e il mancato riferimento alle esigenze di riprovazione e prevenzione. L’incerto impatto pratico della sua finalità, cioè la deflazione del carico penale, motiva una proposta che volge in positivo i suoi problemi e cerca di recuperare questa misura estintiva anche al campo della giustizia riparativa, realizzando una mediazione tra i principi di sussidiarietà, di eguaglianza, le finalità della pena e la tutela della vittima.

 

Giunta F., Querela-selezione e condotte riparatorie. Verso un cambio di passo della deflazione in concreto?, p. 473 ss.

L’articolo esamina la più recente evoluzione normativa in materia di reati procedibili a querela, alla luce del d.lgs. n. 36/2018. La riforma è analizzata da due diversi angoli prospettici. Innanzitutto, l’attenzione si concentra sugli effetti derivanti dall’ampliamento del catalogo dei reati procedibili a querela di parte, dando conto del dibattito sviluppatosi sul punto. In secondo luogo, l’autore approfondisce i rapporti tra il d.lgs. n. 36/2018 ed il nuovo art. 162-ter c.p. dettato in materia di condotte riparatorie.

 

Risicato L., L’illecito civile punitivo come ircocervo giuridico: brevi considerazioni su pregi, difetti e possibili degenerazioni della privatizzazione del reato, p. 487 ss.

L’ipertrofia normativa degli ultimi decenni, legata allo scadimento graduale della percezione dei principi penalistici basilari e alla degenerazione del lessico legislativo, ha dato impulso a tentativi di deflazione non sempre riusciti (si pensi ai limiti intrinseci dell’illecito punitivo amministrativo). Con il d.lgs. n. 7 del 2016 si tenta, invece, un percorso parzialmente inedito, che conferisce definitiva legittimazione (anche) in Italia al discusso istituto delle pene private. Le ragioni del crescente interesse verso l’illecito civile sanzionatorio come alternativa alla pena pubblica, criminale o amministrativa, vanno ricercate nella forte valenza dissuasiva di sanzioni pecuniarie assai più consistenti della pena detentiva originariamente prevista per gli ex illeciti penali oggetto di decriminalizzazione ad opera del d.lgs. n. 7/2016. L’attuale disciplina non consente, tuttavia, un approdo pacifico alla materia qui trattata. Non chiara è la natura giuridica del nuovo istituto, non lineari sono i suoi risvolti processuali (dai problemi di costituzione delle parti a quello dello standard probatorio utilizzabile), non immediatamente evidente la relazione tra illecito civile sanzionatorio e risarcimento del danno. A parte si pone, poi, la fondamentale questione delle garanzie, condizionata dalla perdurante appartenenza dell’illecito decriminalizzato alla “materia penale”. Dal chiarimento di questi fondamentali meccanismi operativi dipenderà, senza mezzi termini, il successo o il fallimento — l’ennesimo — del nuovo strumento deflattivo.

 

Dolcini E., Il sistema sanzionatorio penale tra minacce di involuzione e l’antidoto offerto dalla carta costituzionale, p. 501 ss.

Il sistema sanzionatorio penale si è faticosamente evoluto, nella seconda metà del ‘900 e nel primo scorcio di questo secolo, secondo le indicazioni che si ricavano dalla Costituzione: protagonisti di tale processo, il legislatore, la Corte costituzionale e, da ultimo, la Corte europea dei diritti dell’uomo. Un momento significativo di questo percorso poteva essere rappresentato dalla c.d. legge Orlando (l. n. 103 del 2017). Quel disegno riformatore è stato però drasticamente ridimensionato in sede di attuazione delle deleghe contenute nella legge, a seguito del cambiamento intervenuto nella maggioranza parlamentare e, conseguentemente, nel Governo, ora portatore di una linea politico-criminale diversa, e talora antitetica, rispetto a quella espressa dalla riforma penitenziaria Orlando. In effetti, i decreti legislativi 2 ottobre 2018, n. 123 e n. 124, al di là di alcune enunciazioni di principio, hanno operato soltanto ritocchi della disciplina penitenziaria e penale, segnando in definitiva un netto rallentamento del processo in corso. In tale contesto va espresso con forza l’auspicio che la Corte costituzionale possa arginare le spinte involutive alle quali è oggi esposto il sistema.

 

Fiorella A., Masucci M., Logica, criticità e riforme del sistema punitivo per l’illecito dell’ente da reato, p. 517 ss.

A quasi venti anni dall’introduzione nell’ordinamento italiano della responsabilità da reato degli enti, possono suggerirsi riforme della disciplina? Il chiarimento positivo della natura “penale” (o da assimilarsi ad essa) di tale responsabilità nell’ottica delle garanzie da applicare consentirebbe soluzioni più certe di importanti problemi interpretativi ed applicativi; favorendo al contempo lo sviluppo di criteri utili a “individualizzare” la pena dell’ente, con piena attuazione anche nei suoi confronti di specifiche finalità rieducative. Andrebbero nuovamente valutate l’opportunità o la necessità di estendere all’ente istituti oggi operanti per la sola persona fisica. Come pure essenziale è riflettere su meccanismi idonei ad evitare ingiustificate estensioni degli effetti della pena nei confronti di quanti, estranei all’illecito, appartengano alla struttura dell’ente, a partire da soci e lavoratori.

 

Moccia S., Da Kant al ‘binario unico’, p. 533 ss.

L’inaffidabilità, in termini di certezza del diritto, dei parametri fondativi di pena e misura di sicurezza — colpevolezza e pericolosità sociale — impone l’adozione di un binario sanzionatorio unico. Esso deve basarsi sul concetto ‘laico’ di responsabilità personale, sancito in Costituzione.

 

Palazzo F., Quale futuro per le “pene alternative”?, p. 539 ss.

Dopo aver ripercorso la cronaca dei più recenti tentativi legislativi di introdurre pene alternative al carcere nel sistema sanzionatorio italiano, si procede ad un inventario dei principali nodi problematici da affrontare e sciogliere qualora si ritenesse effettivamente praticabile tale prospettiva di attuazione del principio di ultima ratio della pena carceraria. Lo scritto è destinato a costituire il documento di base per l'avvio di un più articolato e collegiale lavoro di ricerca da svolgere nel quadro dei programmi dell'AIPDP.

 

COMMENTI E DIBATTITI

Manes V., Sulla riforma della prescrizione, p. 557 ss.

La riforma dell’istituto della prescrizione con “blocco” della decorrenza dopo la sentenza di primo grado presenta molteplici profili di illegittimità costituzionale, rivelandosi irragionevole sia rispetto ai valori che rispetto agli scopi. Non produrrà, verosimilmente, tempi processuali più ragionevoli, ma getterà i soggetti sottoposti a procedimento penale in una assurda condizione esistenziale di “eterni giudicabili”.

 

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Tra gli ulteriori contributi presenti nel fascicolo della Rivista, oltre alle consuete rassegne di giurisprudenza costituzionale e di giustizia penale sovranazionale, si segnalano, nella Rassegna bibliografica, le recensioni delle seguenti monografie:

D’Ambrosio L., Giudicelli-Delage G., Manacorda S. (dir.), Principe de précaution et métamorphoses de la responsabilité, Mare & Martin, Paris, 2018, pp. 363. (Francesca Brembati)

Di Landro A., La responsabilità per l’attività autorizzata nei settori dell’ambiente e del territorio. Strumenti penali ed extrapenali di tutela, Giappichelli, Torino, 2018, pp. 424. (Mario Caterini)

Ferrajoli L., Contro il creazionismo giudiziario, Stem Mucchi Editore, Modena, 2018, pp. 80. (Stefano Sammarco)

Kostoris R.E., Processo penale e paradigmi europei, Giappichelli, Torino, 2018, pp. 256. (Luca Lupária Donati)

Sorbello P., Abuso del diritto e repressione penale, Dike Giuridica Editrice, Roma, 2018, pp. 201. (Paolo Aldrovandi)